Chiusa a Catanzaro l’inchiesta
“Toghe Lucane 2”
di Marco Lillo e Antonio Massari
Indagine chiusa per la “loggia delle toghe di Potenza”. L’avviso
di chiusura depositato il 12 dicembre scorso dai pm di Catanzaro parla chiaro: c'era un gruppo occulto di magistrati e investigatori che metteva
i bastoni tra le ruote ai colleghi onesti, li calunniava e usava i carabinieri,
i funzionari di polizia e i giovani magistrati più accondiscendenti per colpire
le toghe oneste che facevano il loro dovere fino in fondo senza guardare in
faccia i potenti della politica e dell'imprenditoria locale.
L'atto firmato dai pm di Catanzaro Giuseppe Borrelli e Simona Rossi tira
una riga netta nella magistratura che ha operato a Potenza nel decennio
passato. Da un lato i magistrati seri, spesso provenienti da fuori città, che
non si bevevano la favola della Basilicata isola felice senza mafia e
corruzione e che indagavano creando sconquassi nella tranquilla regione
meridionale. Dall'altro lato i magistrati del quieto vivere che li ostacolavano
con tutti i mezzi, dalle azioni disciplinari pretestuose alle indagini illecite
per finire con i veri e propri dossier.
Secondo
la Procura di Catanzaro l'associazione segreta creata a Potenza per violare la
legge Anselmi, concepita per evitare fenomeni simili alla P2, era composta stavolta non da
faccendieri e generali, come appunto accadeva con la P2, né da imprenditori e
politici come – nell'ipotesi dell'accusa – con la P3 e la P4, ma da magistrati: per l’esattezza il
procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano e i suoi due vice, Gateano Bonomi e Modestino Roca. Secondo l'ipotesi dell'accusa quindi i tre magistrati
più potenti dell'ufficio dell'accusa passavano le loro giornate non ad aiutare
le indagini ma a indebolire i pm della Procura come Henry John Woodcock e i gip come Alberto Iannuzzi, colpevoli solo di fare inchieste e arresti anche
a carico di imprenditori, politici e avvocati in vista nella città.
Gli indagati che hanno ricevuto l'avviso ex
articolo 415 bis e che ora avranno 20 giorni di tempo per far sentire le loro
ragioni dai pm di Catanzaro sono 13. I membri dell'associazione segreta sono
solo cinque, tutti di alto livello nei rispettivi ambienti investigativi. Oltre
a Bonomi, Roca e Tufano, cioé i tre massimi magistrati dell'accusa, ci sono
anche il capo di allora della squadra mobile della Polizia, Luisa Fasano, moglie del parlamentare del Pd Nicola Margiotta, e il tenente
colonnello dei Carabinieri Pietro Gentili, che non era un militare qualsiasi
ma era proprio il responsabile della sezione di Polizia Giudiziaria della
Procura. Anche il sostituto procuratore Claudia De Luca è indagata per abuso d'ufficio. La
pm, secondo l'accusa, aveva utilizzato un esposto anonimo contro l'ispettore di
Polizia Pasquale di Tolla, che
collaborava in quel periodo alle inchieste clamorose di Henry John Woodcock per
esempio su Vittorio Emanuele, al fine di indagare sul suo collega e vicino di
stanza.
IL FINE perseguito, senza successo, dalla pm
rivale di Woodcock, era quello di dimostrare che, tramite il fido collaboratore
Di Tolla, il pm aveva contatti con la stampa. Il personaggio principale è però Gaetano Bonomi. È lui il il regista delle manovre contro Woodcock, degli
anonimi firmati “Sicofante”, pieni di notizie false contro il pm di origini
anglonapoletane.
Bonomi è indagato come promotore di una seconda associazione a delinquere perché insieme ai carabinieri Cristiano e Morello e all'ex agente dei servizi Nicola Cervone, puntava a commettere “una
pluralità indeterminata di reati come la corruzione,
l'abuso di ufficio, la diffamazione e la calunnia”. Le vittime dei dossier preparati
da Bonomi e compagni erano, sempre secondo i pm di Catanzaro, non solo Henry
John Woodcock ma anche i suoi colleghi Vincenzo
Montemurro, Annagloria Piccinini, Laura Triassi, il dottor Basentini, e il Gip
Alberto Iannuzzi, tutti magistrati che hanno prestato servizio a Potenza
più Amerigo Palma del Tribunale di
Melfi.
Bonomi usava le notizie raccolte illecitamente
per ottenere vantaggi di carriera per sé e per migliorare i suoi rapporti con
l'avvocatura di Potenza e con ambienti politico-imprenditoriali della
Basilicata, gli stessi dai quali la figlia Valentina
Bonomi riceveva incarichi professionali, una circostanza questa che Il Fatto
aveva rivelato, ricevendo una querela dalla figlia di Bonomi. I dossier
venivano costruiti partendo dalle notizie illecitamente procurate dai
carabinieri della Polizia giudiziaria. Per esempio grazie ai tabulati
telefonici del gip Alberto Iannuzzi e della giornalista Federica Sciarelli si cercava di costruire la notizia falsa che la
conduttrice di Chi l’ha visto?
avesse incontrato il giudice per avere notizie. Purtroppo per Bonomi e compagni
una “circostanza non corrispondente al vero”, scrivono i pm di Catanzaro.
Nonostante fossero false, le notizie diffamatorie erano poi passate a un ex
agente del servizio segreto civile (il Sisde), Nicola Cervone, che stilava gli
esposti anonimi spediti poi da un poliziotto di Cerignola, Leonardo Campagna, da un ufficio postale pugliese. Peccato che in quell’ufficio
di Foggia ci fosse una telecamera che ha ripreso la scena e ha permesso ai pm
di Catanzaro di risalire alla lobby di “Sicofante”.
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