di BARBARA SPINELLI
Dire il vero: sulla gravità della crisi italiana, sulla nostra seconda cosa pubblica che è l'Europa, sui sacrifici, sul guastarsi dei partiti. Sembra essere una delle principali ambizioni di Monti, da quando è Presidente del Consiglio.\
Basta questo, per smentire chi decreta - con l'aria di saperla lunga - che il Premier non è che un tecnico, ammesso a sostituire fugacemente il politico detronizzato. La deturpazione funesta delle parole, lo stratagemma d'illudere il popolo imbellendo la realtà e inventandosi, per decerebrarci, un'attualità del tutto sfasata rispetto a ciò che davvero è attuale, cioè urgente, emergente: per decenni ci eravamo assuefatti a questo, e abbiamo finito col chiamarlo "politica". È ora di restituire, a quest'ultima, il severo verbo vero che le si addice.
Ogni volta che Monti viene descritto come un tecnico, entrato per effrazione in un teatro non suo, c'è da avere i brividi. Vuol dire che i politici di ieri ritengono il Premier un impolitico, e il suo sapere scientifico qualcosa di superfluo, se non dannoso, nell'arte di governo. Che giudicano impolitica anche la vocazione a non nascondere quel che è doloroso, dunque profondamente attuale, nell'oggi che viviamo. Da poche settimane sentiamo parlare di Italia e Europa con accenti inediti (un primo assaggio, ma breve, si ebbe nell'ultimo governo Prodi). I cittadini per ora approvano, conoscono una sorta di sollievo.
Si sentono anche confortati, nel loro rigetto cupo della politica? Può darsi, ma c'è un che di nefasto in questa visione duale: da una parte i politici, dall'altra un Premier che ha tutte le doti dello statista, che interiorizza al massimo la rappresentanza democratica, e tuttavia è percepito come tecnico, estraneo ai giochi nazionali. Essere impolitici in una democrazia smagliata ha le sue virtù: impolitico è chi non possiede le furbizie del professionista politico. Ma prima o poi le due figure vanno congiunte (già si congiungono nel Premier) per depurare la politica ed evitare che senza soluzione di continuità, senza memoria di quest'intermezzo, ci venga restituita domani la politica di ieri.
Le parole dette con franchezza, che Monti usa con metodo nelle conferenze stampa, hanno una lunga storia nella democrazia. Ne discussero i filosofi dell'antichità greca, e diedero al dire-tutto il nome di parresia: un vocabolo che torna negli Atti degli apostoli (Pietro e Giovanni rischiano la morte, pur di testimoniare il vero e la libera coscienza del cristiano). Chi parlava senza blandire o mimetizzarsi era chiamato parresiasta. Senza parresia, scrive Foucault, "siamo sottomessi alla follia e all'idiozia dei padroni": la pòlis ha bisogno di verità, per esistere e salvarsi.
Monti è all'altezza di tale compito? Per come tratta i giornalisti, per come li considera messaggeri dei cittadini - quasi il coro di antiche tragedie - si direbbe di sì. Non tutti i suoi ministri sono parresiasti: l'apprendimento del parlare-vero è lento, sempre scabroso. Si perdono privilegi, ci si espone alle critiche dei sofisti (gli economisti). Nella democrazia ateniese, secondo Socrate e Demostene, si rischiava la vita. Ha parlato-vero il ministro Fornero, quando tremò, il 4 dicembre in sala stampa, nell'annunciare i sacrifici: non perché volesse celarli, ma perché tremando li confermava penosamente veri.
Anche in Europa il Premier è parresiasta, come nessun collega dell'Unione: ai suoi pari come alla stampa, fa capire che c'è emergenza per tutti, che questa è l'attualità dentro cui i leader non guardano. In due occasioni ha osato bandire le deferenze - che già condannava da mesi. Prima è accaduto a Strasburgo, nel vertice del 24 novembre con la Merkel e Sarkozy, quando ha ricordato i peccati di chi oggi vitupera i dilapidatori del Sud: "Una buona parte della perduta credibilità del Patto di stabilità è stata dovuta al fatto che, quando Germania e Francia nel 2003 entrarono in conflitto col patto, i due governi dell'epoca, francese e tedesco, con la complicità del governo italiano che presiedeva il consiglio Ecofin (il governo Berlusconi, ndr), sono passati sopra queste deviazioni. Credo sia stato un grosso errore". Non solo: ha ricordato che fu proprio lui, commissario a Bruxelles, a battersi perché la Commissione denunciasse il Consiglio dei ministri di fronte alla Corte di giustizia, e a ottenerlo.
La seconda occasione è stata la conferenza stampa di fine anno. Aprendo un dialogo con Tobias Piller, corrispondente a Roma della Frankfurter allgemeine Zeitung, il Premier ha fatto una piccola lezione sui tempi lunghi e corti in politica, biasimando l'incapacità tedesca di ritrovare la veduta lunga del passato.
Ci vuole coraggio per firmare le proprie parole, parlando-vero. Chi lo possiede non ha la vita facile, deve esser cauto se non vuol ricadere nel parlar-falso. Alcuni barcollano, tra chi sta accanto a Monti. Per esempio il potente ministro Passera (responsabile dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture, dei Trasporti). Nei giorni scorsi è inciampato malamente, su un caso rievocato dalla stampa: segno che la parresia latita nei partiti, ma un po' anche nel governo.
Il caso è la mancata vendita di Alitalia e il suo presunto salvataggio: è una delle grandi menzogne dell'era Berlusconi, e su questa pietra Passera ha incespicato. Criticato da Milena Gabanelli e Giovanna Boursier (Corriere della Sera, 30-12) ha replicato: "L'operazione Nuova Alitalia fu del tutto trasparente e rispettosa delle regole, comprese quelle della concorrenza. Con capitali privati si sono salvati almeno 15 mila posti di lavoro ed è stato drasticamente ridotto l'onere che lo Stato avrebbe dovuto sostenere se fosse avvenuto l'inevitabile fallimento dell'intera vecchia Alitalia".
Ricordare è forse difficile per Passera, ma Monti certo sa come andarono le cose. È vero che l'operazione Fenice salvò posti di lavoro e ridusse, per lo Stato, i costi di una bancarotta. Ma il fallimento non era affatto inevitabile. Il governo Prodi aveva stretto un accordo con Air France, che fu sabotato - complici i sindacati - dall'alleanza fra Berlusconi e l'odierno ministro dello Sviluppo (allora amministratore delegato di Banca Intesa). Formalmente è vero che furono rispettate le regole della concorrenza. Ma solo perché il governo Berlusconi modificò con un decreto ad hoc le norme antitrust relative alla tratta Milano-Roma, consentendo a Alitalia-Air One di ottenere il monopolio su tale rotta.
Le cifre parlano chiaro, e un governo che dice il vero non può occultarle. Il piano francese prevedeva 2.120 licenziamenti. Nuova Alitalia, assorbendo la fallimentare Air One di cui Banca Intesa era creditrice, ne licenziò 7.000. L'integrazione con Air France sarebbe stata ben più benefica: minori costi per lo Stato (per i contribuenti), minori costi per azionisti e obbligazionisti Alitalia, nessun cambiamento "in corsa" delle regole per favorire cordate italiane, inserimento di Alitalia in una promettente rete internazionale.
In tempi di crisi, la parola del parresiasta si accosta a quella profetica, o del saggio. I tempi s'allungano, il futuro lontano è incorporato come compito nel presente, la scadenza elettorale non è il cannello d'imbuto che inchioda i governanti alla veduta corta ma è un uscire all'aperto di cittadini bene informati.
Milena Gabanelli e Giovanna Boursier hanno chiesto a Passera di liberarsi dei suoi ingombri. Ma alla domanda viene da aggiungere: guardi al Presidente del Consiglio, signor Ministro, al suo linguaggio. Esca non solo dai conflitti d'interesse, ma dalle tante bugie dette ai cittadini: la bugia su Alitalia l'hanno pagata gli italiani, come contribuenti e lavoratori. La pòlis ha bisogno di verità, sugli sbagli di ieri. La pòlis ha bisogno di verità, sugli sbagli di ieri. Un ministro del governo Prodi parlò-vero, all'inizio del 2008, quando disse che avevano "ripreso sopravvento gli impulsi di autodistruzione presenti nella società italiana e nella classe politica", e criticò proprio l'offensiva pregiudiziale di Passera contro l'accordo Air France. Passera è un tecnico, non meno di Monti. Non basta esser tecnici per liberarci della malapolitica che ci ha portati nella fossa.
(04 gennaio 2012)
2 commenti:
Ho l'impressione che questo splendido articolo di Barbara Spinelli lascerà Corrado Passera del tutto indifferente, altro che parresia, dire la verità a tutti i costi.
Non credo che abbia la tempra necessaria e poi se dovesse tornare ancora una volta B. (Dio ne scansi e liberi!) che farà Passera?
Sarebbe però troppo bello ma non accadrà.
concordo: uno splendido articolo! A leggere gli articoli di Barbara Spinelli, si percepisce il respiro lungo di una mente con grande capacità di visione d'insieme
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