martedì 3 giugno 2008

LA FIGURA DEL DIRETTORE DEL CARCERE


Luigi Morsello

Il 31 gennaio 2005 cessavo dal servizio, dopo circa 40 anni di attività svolta su tutti i fronti delle carceri italiane, avendone diretti ben sette, i seguenti:



  1. Casa di reclusione di S. Gimignano (Si);
  2. Casa di reclusione di Lonate Pozzolo (Va), oggi soppressa;
  3. Casa Circondariale e Casa di Reclusione di Alessandria (vecchi istituti);
  4. Casa circondariale di Busto Arsizio (Va) – Nuovo Complesso da me messo in funzione;
  5. Istituto Penale per minorenni di Eboli (Sa), oggi trasformato in Casa di Reclusione a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti;
  6. Casa Circondariale di Pavia – Nuovo complesso - da me messa in funzione;
  7. Casa Circondariale di Lodi, mia ultima sede di servizio.

Ho inoltre prestato servizio, per brevi periodi, nei seguenti Uffici:

  1. Ispettorato Distrettuale di Firenze e Perugia, prima della riforma;
  2. Provveditorato Regionale di Milano, dopo la riforma.

Sono stato inviato in missione contemporanea (sede di servizio ordinaria + sede di missione) nei seguenti istituti:

1. Carcere Giudiziario di Siena, con reggenza della direzione;
2. Carcere Giudiziario di Montepulciano (Si), oggi soppresso, con reggenza della direzione;
3. Casa di Reclusione per il lavoro all’aperto di Gorgona Isola (Li), con reggenza della direzione;
4. Carcere Giudiziario di Lucca, con reggenza della direzione;
5. Carcere Giudiziario di Arezzo, con reggenza della direzione;
6. Carcere Giudiziario di Pistoia, con reggenza della direzione;
7. Carcere Giudiziario di Pisa, per breve periodo, con supplenza nella direzione;
8. Istituti penitenziari (Carcere giudiziario con sezione femminile e Casa di Reclusione) di Firenze, con reggenza della direzione;
9. Casa di Reclusione di Volterra, con supplenza nella direzione per brevi periodi;
10. Carcere Giudiziario di Tortona (Al), oggi soppresso, con reggenza della direzione;
11. Carcere Giudiziario “Le Vallette” di Torino, con reggenza della direzione;
12. Istituto penale per minorenni di Catania, con reggenza della direzione e per breve periodo;
13. Casa Circondariale “S. Vittore” di Milano, per breve periodo e una supplenza della direzione;
14. Casa Circondariale Brescia, per breve periodo e supplenza della direzione;
15. Casa Circondariale Como, per brevi periodi e supplenza nella direzione;
16. Casa Circondariale Cremona, per un breve periodo (4 Mesi) e supplenza nella direzione;
17. Carcere Giudiziario Varese, per brevi periodi e supplenza nella direzione;
18. Casa Circondariale Vigevano (Pv), vecchio istituto, con reggenza per breve periodo;
19. Casa Circondariale Voghera (Pv), per breve periodo e con supplenza nella direzione;
20. Carcere Giudizio Bergamo, per breve periodo e supplenza nella direzione;
21. Casa Circondariale Bollate (Mi), per breve periodo e supplenza anella direzione;
22. Casa Circondariale Lecco, ultimo incarico di missione nel periodo 15.12.2004/31.1.2005, data in cui cessavo dal servizio. Assolsi l’incarico di far ripartire il funzionamento del carcere, rimasto fermo per anni per restauri ed impotente a rientrare in funzione.

A Lodi sono arrivato il 29.9.1997 e ci sono rimasto fino al 31.1.2005, cioè più di otto anni.

Adesso ci abito.

Il carcere di Lodi è un piccolo carcere, di appena 80 posti, oggi ancor meno per il blocco della III sezione a causa di lavori, una Infermeria Detenuti inesistente prima, dirigerlo non è difficile, solo che si voglia e si sappia cosa fare.

Per me non è stato difficile, dirigerlo e stabilire un buon rapporto con gli operatori e col personale, nonostante le inevitabili incomprensioni.

Perché inevitabili ?

Perché non c’era una tradizione di direttori amministrativi, il carcere di Lodi (entrato in funzione nel 1905) prima era diretto dal Procuratore della Repubblica, sotto la vigenza del precedente ordinamento giudiziario, che riconosceva questa possibilità.

Il primo direttore è stato la dr.ssa Armida Miserere (finita suicida nel carcere di Sulmona, un morte tragica di cui ho già scritto), in quel periodo si procedette al restauro del carcere, continuato sotto la direzione della dr.ssa Gloria Manzelli, poi il sottoscritto, che completò l’opera e fece anche costruire un nuovo edificio su tre piani (dell'immagine il gorno dell'inaugurazione), attrezzato ed arredato di tutto punto, adibito alle attività trattamentali e di tempo libero, con archivi, sala computer e sala manifestazioni pubbliche, palestra, sala musica. Fu inaugurato dal Ministro della Giustizia Castelli a settembre 2004.

Dopo il mio pensionamento fu il turno di un giovane direttore in missione da S. Vittore, che non era interessato a restarvi, infatti fu richiamato a S. Vittore, poi inviato a Como, come direttore reggente, poi richiamato nuovamente a Milano. Sarà. Con sua soddisfazione, un eterno secondo.
Quindi fu il turno di un direttore donna, il cui stile direzionale l’ha fatta finire più volte sulla stampa locale e non solo a Lodi.
Via lei è stato il turno di un’altra direttrice, che sembrava la soluzione giusta, ma non lo è stata, la stessa veniva richiamata a Milano ed arrivava l’attuale direttrice, della quale avevo avuto una fugace conoscenza Pavia nel lontano 1995, quando era ancora un C.I.P. (Collaboratore di Istituto Penitenziario).
Lo strano era che, con eccezione del giovane direttore che mi sostituì per primo, tutte le direttrici hanno suscitato reazioni negative, della popolazione detenuta, del personale o di tutti e due.
Non mi capacito, perché, come ho detto, è facile dirigere un carcere, Lodi poi è facilissimo da dirigere, anche se non si hanno trenta e passa anni di servizio alle spalle.
Per averlo constatato personalmente, le prime due non si fidavano del personale di polizia penitenziaria, circostanza che mi lasciava sconfortato e tale sfiducia permaneva anche dopo le mie rassicurazioni che stavano sbagliando. Della prima direttrice mi guadagnai anche il sospetto, che era il tratto dominante del suo carattere.

Misteri dell’animo umano.

La direttrice attuale aveva ed ha antipatia nei miei confronti, maturata in quel mese e mezzo di servizio prestato alle mie dipendenze nel 1996, dopo il quale si fece assegnare a Voghera, per poi rientrare a Pavia come vice dopo il mio forzato allontanamento da quella sede di servizio, quindi rientrava a Pavia come vice, successivamente a Voghera come reggente, poi la Casa Circondariale di Opera in qualità di vice, presso la quale è ancora in organico.

Ciò sapendo, mi sono guardato bene dall’andare a trovarla, come aveva fatto con le altre, incontrandola solo ad una Festa del Corpo nel 2006, invito non più ripetuto.

In quella circostanza ebbi modo di constatare che la sua antipatia permaneva nei confronti, ma era unilaterale.

Personalmente sono convinto che è un direttore di gradi potenzialità (non a caso il prof. Vittorio Grevi le fece fare il commento ad una norma del nuovo codice di procedura penale da lui pubblicato), che vengono vanificate e talvolta annullate da motivi caratteriali.

Non riesce a tenere a freno spunti caratteriali, pur essendo in possesso una brillante intelligenza.

Non ho avuto modo di conoscerla meglio.

Fatto sta che più di una volta alcuni agenti si sono rivolti a me per ottenere aiuto in campo amministrativo, fiducioso della mia esperienza, circostanza che provocava malumore nelle interessate.

Ho avuto il dubbio che anche l’attuale direttrice, che pare sia ancora in missione continuativa ormai non più compensata per superamento del limite temporale massimo di durata, non gradisca ciò che io faccio in aiuto del personale: memorie difensive, ricorsi gerarchici, ricorsi straordinari al Capo dello Stato.

Se così è, sbaglia, dovrebbe fidarsi dell'apporto, indiritto, di un collega con tanti anni di esperienza sulle spalle.

Tornando agli spunti caratteriali dell’attuale direttrice, credo che sia un sintomo rivelatore la circostanza che sia a Voghera che adesso a Lodi ha fatto dipingere le pareti dell’ufficio del direttore di rosso vivo.

È una bizzarria, poco male.

Però, mentre la prima direttrice sembrava pensare che Lodi fosse un supercarcere, oggi si sta cedendo nel versante opposto, ed è un bene perchè il trattamento dei detenuti in esecuzione di pena abbisogna di spazi di libertà, che il nuovo edificio offre a sufficienza.

Però non va dimenticato che v’è un limite invalicabile, quello della sicurezza.

Pare che i detenuti usufruiscano della palestra a loro destinata in orari non proprio raccomandabili, e cioè dalle ore 19.30 alle 21.

Ci si può chiedere dov’è l’insidia. È nella circostanza che nel turno pomeridiano, se non ricordo male vi sono spesso solo quattro agenti (capoposto, portineria, blocco, I e II sezione): chi sorveglia la palestra detenuti ? Fatalmente le due sezioni sono affidate ad un solo agente, mentre l’altro va in palestra. Ma quando le unità si riducono a tre cosa succede ?

Non solo. In questa fascia oraria non c’è l’istruttore esterno convenzionato, che viene solo il mattino.

Inoltre, alle ore 19 la guardia medica carceraria (per cronica mancanza di fondi) cessa l’attività, rimane solo l’infermiere convenzionato ed il ricorso alla Guardia Medica esterna, sempre fortunoso: non piace etrare in carcere, sia pure per prestare soccorso ad un essere umano.

Per finire, va segnalato che ogni attività presso il nuovo edificio adibito ad attività trattamentali è spesso svolta in mancanza di una unità di sorveglianza: gli operatori, interni ed esterni, restano solo con i detenuti, i detenuti della redazione del giornale interno “UOMINI LIBERI” restano SEMPRE da soli.

La regola è che esperti (psicologi) ed altri operatori (medici, infermieri, volontari) non possono restare mai da soli con i detenuti, in quanto non sono dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria, ma solo liberi professionisti o esponenti della comunità esterna, che non percepiscono l’indennità di rischio, denominata “indennità di servizio penitenziario”. I volontari poi lo fanno a titolo totalmente gratuito.

I medici di guardia sono tenuti a stipulare un’assicurazione contro le malattie professionali, solo quelle, per poter stipulare un contratto a tempo determinato.

Sarebbe bene ricordarsene, per la tranquillità di tutti. E rendersi conto che un dipendente che presenta un ricorso non ha arrecato offesa a nessuno ma solo esercitato un proprio diritto.

Direbbe Gobbe Covatta: “Basta poco che ce vò”.

Non posso, però chiudere queste mie riflessioni e considerazioni senza dire come dovrebbe essere un direttore di carcere, come dovrebbe comportarsi.

Ma prima di farlo desidero raccontare un fatto vero, in poche battute.

In Lombardia c'è un direttore anziano in servizio, che è stato per ben undici anni prima sospeso e poi destituito, che ad un dato momento mi chiese aiuto. Allora non sapevo fare tutto ciò che so fare adesso, tuttavia ci lavorai sopra non meno di un mese, disperando di venirne a capo. Poi la soluzione apparve nella mia mente, era come l'uovo di Colombo, ma nessuno ci era arrivato, meno che mai il legale di fiducia che lo assisteva presso il TAR Lombardia.

Ha avuto vittoria sia in primo che in secondo grado, ricostruzione della carriera, arretrati con interesse legale e rivalutazione monetaria.

Quanto sto per allegare è stato pubblicato (Diritto & Giustizi@ - 5 ottobre 2005).

Si tratta di un mio articolo che intitolai "La figura del direttore del carcere".

Lo affido alla lettura dei più volenterosi, ma quasi inesistenti lettori del mio 'diario'.

" Credo di poter timidamente affermare che nell’ambito del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, privatizzato e non, è difficile individuare un organo dello Stato che svolga una funzione più delicata di quella che leggi, regolamenti e circolari assegnano al Direttore del carcere.
E si badi bene che si tratta di leggi e regolamenti dell’Italia repubblicana, non di legislazione precedente la Repubblica che è stata tutta sistematicamente ma lentamente, troppo lentamente, cambiata.
Lo scopo che mi prefiggo non è quello di illustrare il profilo giuridico dell’attività di un direttore di carcere, già di per sé un compito non agevole, ma tracciare un profilo umano e, per così dire, sociologico, basato sulla moralità personale e sull’etica dei comportamenti nella vita di relazione che si sviluppa all’interno di un carcere.
Non credo si possa individuare un mondo più difficile da governare di quello che si vive quotidianamente in una struttura penitenziaria.
All’interno del carcere la figura del direttore deve assume la posizione migliore possibile per gestire la varia umanità che ci vive, quella della centralità fra esigenze diversissime e talvolta confliggenti fra loro.
Il peso che viene, pertanto, a gravare sulle gracili spalle di un essere umano, il direttore del carcere appunto, chiamato a governare uomini privi della libertà personale, servendosi di uomini che devono assicurare che tale privazione duri fin quando legittimamente può e deve cessare, è schiacciante.
E sì, perché egli non è solo chiamato ad applicare leggi e regolamenti che governano gli uomini detenuti e gli uomini che sono i loro custodi.
Nell’ambito di un carcere si intersecano e si intrecciano tensioni di ogni genere.
Al direttore del carcere è chiesto non solo di applicare la legge ed il regolamento penitenziario, non solo di applicare la legge che disciplina il rapporto di lavoro del personale civile e di polizia penitenziaria posto a sua disposizione, non solo di curare le relazioni tutte interne all’amministrazione penitenziaria fra organi dello Stato e mondo del sindacato di categoria.
Egli deve fare anche tutto questo e quando l’avrà fatto è appena all’inizio del suo compito.
Infatti, il direttore è anche funzionario delegato, preposto dalla legge di contabilità generale dello Stato alla gestione delle spese c.d. ‘ passive ‘ del bilancio dello Stato, relative a spese fisse per il personale, a spese c.d. ‘ variabili ‘ per la gestione della macchina amministrativa del carcere, un altro universo di regole e regolette (una volta si diceva. con metafora gentile. ‘ lacci e lacciuoli ’), nel quale è difficilissimo destreggiarsi e dal quale si può restare impaniati senza scampo, quindi si devono imparare.
Di quando in quando qualcuno afferma che quella del direttore è una ‘missione‘: niente di più sbagliato ! È un lavoro, pagato più o meno bene (dipende dai punti di vista), con il quale si deve vivere e che dà da vivere dignitosamente. Un lavoro pagato poco, ma oggi ambito, rispetto al passato. Oggi i concorsi sono frequentatati da moltissimi candidati, ieri da pochissimi, per ignoranza, perché giudicato socialmente marginale.
Poi le varie riforme, oltre a dare alla disciplina del settore la dignità di leggi ordinarie, ha creato le premesse perché questo mondo del carcere, chiuso da e verso l’esterno, iniziasse a farsi conoscere dalla pubblica opinione, dalla comunità esterna, ha cessato di essere uno spauracchio per la gente comune, ha consentito al mondo esterno di entrarvi, capire, riflettere ed aiutare.
Ieri il compito del direttore era relativamente molto più semplice di quanto non lo sia oggi: ieri poche regole, norme semplici, l’imperativo categorico era nel mondo degli operatori sintetizzato in una frase che è certamente nota e che ancora oggi talvolta viene invocata: ’chiudeteli in cella e buttate vie le chiavi‘ ! Si badi bene, ciò non era scritto nel regolamento penitenziario precedente, ma la mentalità non si era però modificata. Chi scrive l’ha sentita molto spesso in bocca ad anziani direttori, nonostante che già negli anni ’50 fossero iniziati gli studi per riformare quel regolamento già obsoleto, mentre Direttori Generali coraggiosi iniziavano, sia pur timidamente, a disapplicarne le norme più retrive.
Oggi invece quel pover’uomo o quella povera donna che scelgono questo lavoro si trovano a doversi districare in un ginepraio di professionalità le più disparate, costretti ad imparare cose che non avrebbe mai immaginato di dover apprendere, fra assistenti sociali, educatori, servizio tossicodipendenze, medicina penitenziaria, uffici tecnici; deve sapere di tutto un po’ senza poter sapere tutto di tutto, perché sarebbe, anzi è umanamente impossibile; deve avere a che fare con fornitori, società più o meno agguerrite e dotate di forza economica in grado di ‘assoldare’ avvocati agguerriti.
Quando a chi scrive arrivava una lettera di uno studio legale, dire che gli ‘tremavano le vene e i pols‘ è un dolce eufemismo.
Già, proprio così !
Dov’erano le scuole di formazione in grado di produrre quadri di pubblici amministratori come in Francia, per non andare troppo lontano ?
Imperava il ’fai da te’ e quando non bastava il pover’uomo o la povera donna ci perdevano il sonno !
Ma torniamo tema principale.
Il direttore dunque deve applicare la legge, usando un metro di misura che la legge stessa gli offre, lo strumento dell’interpretazione contenuto nelle Disposizioni preliminari al codice civile, dette anche “preleggi”.
Ecco, il nocciolo del problema è tutto qui, nella interpretazione, che non vuol dire deresponsabilizzazione, tutt’altro !
L’interpretazione della norma è un compito difficile che deve essere imparato, perché la legge, tralasciando qualche sciocco motteggio, dopo essere stata interpretata deve essere applicata.
Qui c’è la tentazione della scorciatoia: la lettera della legge. Sì, è una scorciatoia, ma le scorciatoie solo apparentemente sono più facili, mentre nella realtà sono dannose per chi le pratica e per coloro sulla cui pelle sono praticate.
La strada maestra è invece l’interpretazione dello e nello spirito della legge, fatta mediante il ricorso allo studio della dottrina ma soprattutto della giurisprudenza che su ogni norma di regola si forma.
È necessario un continuo e defatigante aggiornamento professionale, questa volta non più mediante il ‘ fai da te ‘ (pur utilissimo per chi l’ha praticato), ma mediante l’utilizzo dei moderni sistemi di informazione giuridica e dottrinaria (quotidiani online, sistemi computerizzati, che scrive ha definito ‘moltiplicatori dell’intelligenza‘), un tempo del tutto inesistenti.
Chi scrive ricorda di un Direttore dell’Ufficio del personale dell’amministrazione penitenziaria, il quale gli confidava, orripilato, che il suo ufficio non era dotato nemmeno di una raccolta generale di legislazione e che dovette lottare per far acquistare quella della Giuffrè, curata da Funaioli - Stella Richter !
Ebbene, raggiunto il traguardo della formazione professionale e del suo continuo aggiornamento è questo il momento topico in cui il direttore deve decidere come applicare la legge, non potendosi ancora sapere a quello stadio quale forma di applicazione rispetto all’altra sia più produttiva, anche se non ci vuole una grande fantasia per capirlo.
Ma a questo punto entrano in gioco le doti personali di umanità, di sensibilità e quelle, parafrasando Manzoni, “uno se non ce l’ha non se le può dare”.
E invece no ! Può e deve fare questo sforzo, non si è preposti a governare carte, ma esseri umani, di una umanità dolente, molto dolente !
Se così non è e non accade, il miglior consiglio che sui può dare a quel direttore è di cambiare mestiere ed in fretta, prima di produrre danni e guasti non solo morali."

Spero che quanto precede sia utile all'attuale direttrice del carcere di Lodi, informandola che questo articolo resterà sul mio blog e non sarà comunicato a nessun altro oltre lei ed il Provveditore Regionale, che è a conoscenza delle mie buone intenzioni.

Solo con il loro consenso potrò dare ulteriore diffusione allo stesso nell'ambito dell'Amministrazione Penitenziaria.

In caso di loro dissenso, lo cancellerò senza indugio, rammaricato per l'occasione sprecata.

2 commenti:

madda ha detto...

Le doti umane non si possono comprare!

Elena ha detto...

Una carriera molto ricca la tua, e ora capisco il motivo per cui dici che riesci a percepire la natura delle persone anche "a distanza"..
:-)