La Repubblica
28 luglio 2008
La faraonica fiction diretta da Renzo Martinelli, protagonista Raz Degan Trenta milioni di euro per la produzione Rai, per le comparse 400 euro alla settimana
BUCAREST - Si riconosce pienamente, il Senatùr, in quell'antico guerriero che incede spavaldo, spadone in mano per suonarle ai barbari, nella campagna romena dove stanno girando il kolossal storico "Barbarossa". Alberto da Giussano ha i lineamenti delicati e gli occhi penetranti di Raz Degan. Ma Umberto Bossi gli ruba la parte: "Il nuovo Alberto da Giussano sono io". E il temibile imperatore Federico I di Svevia detto "Il Barbarossa", che il giovane Alberto, alla guida della Lega Lombarda, sconfisse nel 1176 nella battaglia di Legnano, oggi altri non è, secondo la personalissima interpretazione del capo della Lega, che "lo Stato dell'Italia centralista", contro il quale combattono i moderni soldati del Carroccio. Per guadagnare quella libertà "che oggi, se necessario, si conquista anche con la forza". Perché "è meglio morire che vivere come schiavi".
In partenza per la Romania, dove nei prossimi giorni verrà personalmente a vedere le scene più spettacolari della battaglia di Legnano, ricostruite con 2.500 cavalli arabi e frisoni e ventimila comparse, tra cui molti rom, nella foresta di Calugareni, Bossi ha affidato il suo pensiero sulla "modernità" della figura di Alberto da Giussano al settimanale "Tv Sorrisi e Canzoni". Per spiegare che "il Barbarossa di oggi non è una persona ma uno Stato", e che "il valore attuale di una storia come quella che racconta la fiction su Barbarossa, è quello della libertà". Ma anche per lanciare altri personaggi "lumbard" a lui molto cari, ai quali dedicare altri film.
"Bisognerebbe portare in tivù - tuona col cipiglio del condottiero - anche la storia di San Carlo Borromeo, e quella del Medeghino, il grande condottiero milanese del sedicesimo secolo, fratello di Papa Pio IV". Una figura in realtà controversa, quella del capitano Giangiacomo Medici detto "Il Medeghino": per alcuni storici era solo il capo di una banda di briganti. Ma il Senatùr sostiene che certi capitoli della storia vanno riscritti. A suo modo. Lasciate le feste di piazza, e anche il rito di settembre dell'ampolla sotto al Monviso nelle "sacre acque" del Dio Po all'amato figlio Renzo, promosso a erede sul campo di battaglia, Bossi dedicherà una parte importante del suo tempo al recupero dei miti padani. Come alle imprese di Alberto da Giussano.
Una produzione faraonica da 30 milioni di dollari, che andrà in tv ma anche al cinema, voluta da Rai Fiction e affidata alla regia di Renzo Martinelli, milanese, amico del Senatùr, che ha diretto film come "Vajont", "Porzus", "Carnera". Martinelli non ama sentir dire che il suo è un film "leghista". Dice solo che l'idea nasce dal suo amore per la storia e per i personaggi dimenticati. E che "alcuni amici milanesi", tra cui il sindaco Letizia Moratti, gli avevano chiesto di occuparsi di "storie lombarde".
Di qui il pensiero alla fiction che mancava, quella della battaglia di Legnano, dal momento che le "Cinque Giornate" erano già approdate recentemente sullo schermo. Un progetto che ha subito suscitato l'entusiasmo del Senatùr, che ama in modo particolare le scene delle battaglie a cavallo. E non sembra affatto turbato, dicono nel suo entourage, dal fatto che i milanesi che combattono aspramente contro il barbaro straniero invasore che li assedia, lanciando palle infuocate oltre le mura con le catapulte di legno, siano nel film quegli stessi zingari romeni che la Lega vede come fumo negli occhi quando sbarcano in Italia. Dettagli. L'importante è che le comparse rom costino poco, 400 euro a settimana.
In partenza per la Romania, dove nei prossimi giorni verrà personalmente a vedere le scene più spettacolari della battaglia di Legnano, ricostruite con 2.500 cavalli arabi e frisoni e ventimila comparse, tra cui molti rom, nella foresta di Calugareni, Bossi ha affidato il suo pensiero sulla "modernità" della figura di Alberto da Giussano al settimanale "Tv Sorrisi e Canzoni". Per spiegare che "il Barbarossa di oggi non è una persona ma uno Stato", e che "il valore attuale di una storia come quella che racconta la fiction su Barbarossa, è quello della libertà". Ma anche per lanciare altri personaggi "lumbard" a lui molto cari, ai quali dedicare altri film.
"Bisognerebbe portare in tivù - tuona col cipiglio del condottiero - anche la storia di San Carlo Borromeo, e quella del Medeghino, il grande condottiero milanese del sedicesimo secolo, fratello di Papa Pio IV". Una figura in realtà controversa, quella del capitano Giangiacomo Medici detto "Il Medeghino": per alcuni storici era solo il capo di una banda di briganti. Ma il Senatùr sostiene che certi capitoli della storia vanno riscritti. A suo modo. Lasciate le feste di piazza, e anche il rito di settembre dell'ampolla sotto al Monviso nelle "sacre acque" del Dio Po all'amato figlio Renzo, promosso a erede sul campo di battaglia, Bossi dedicherà una parte importante del suo tempo al recupero dei miti padani. Come alle imprese di Alberto da Giussano.
Una produzione faraonica da 30 milioni di dollari, che andrà in tv ma anche al cinema, voluta da Rai Fiction e affidata alla regia di Renzo Martinelli, milanese, amico del Senatùr, che ha diretto film come "Vajont", "Porzus", "Carnera". Martinelli non ama sentir dire che il suo è un film "leghista". Dice solo che l'idea nasce dal suo amore per la storia e per i personaggi dimenticati. E che "alcuni amici milanesi", tra cui il sindaco Letizia Moratti, gli avevano chiesto di occuparsi di "storie lombarde".
Di qui il pensiero alla fiction che mancava, quella della battaglia di Legnano, dal momento che le "Cinque Giornate" erano già approdate recentemente sullo schermo. Un progetto che ha subito suscitato l'entusiasmo del Senatùr, che ama in modo particolare le scene delle battaglie a cavallo. E non sembra affatto turbato, dicono nel suo entourage, dal fatto che i milanesi che combattono aspramente contro il barbaro straniero invasore che li assedia, lanciando palle infuocate oltre le mura con le catapulte di legno, siano nel film quegli stessi zingari romeni che la Lega vede come fumo negli occhi quando sbarcano in Italia. Dettagli. L'importante è che le comparse rom costino poco, 400 euro a settimana.
COMMENTO
Mentre il Capo dello Stato invita alla moderazione, all’equilibrio, al dialogo ecc., nella politica italiano regnano incontrastate due linee di pensiero.
La prima si riassume nell’espressione ‘delirio di onnipotenza’ che si intuisce o si legge chiaramente nei gesti, nei modi e nelle parole usate dai lider del centro-destra.
La seconda invece appare come un ‘delirio di impotenza’, in un annichilimento che si rivela nella quasi totale assenza di azioni di contrasto dure all’attuale e solida maggioranza di governo.
Mentre il governo Berlusconi fa il bello e il cattivo tempo, creando una Costituzione materiale del tutto illegittima ed arrivando a condizionare anche le scelte del Capo dello Stato, PD e UDC si trastullano nel tessere tele, a fare e disfare alleanze, a tentare di riconquistare una dignità ormai persa e spera non in maniera irreversibile.
In tutto ciò l’Umbertùn se ne infischia di tutto e di tutti e arringa il suo popolo becero con l’unico linguaggio che riesce a parlare e far capire, il linguaggio grossolano e i gesti che provocano ironie all’estero e gettano disdoro su questa povera Italia, il cui popolo non ha più diritto a chiamarsi italiano, ma lombardo, veneto, piemontese, per non dire ‘padano’, un aggettivo che la lega nord ha sostantivizzato delimitando una regione geografica inesistente ed inventata di sana piana dal quel genio dell’Umbertùn, la gloriosa PADANIA (Sgarbi sostenne che si deve chiamare Padanìa, ma si sa, Vittorio Sgarbi è un originale).
1 commento:
Che fine faremo noi del Sud?
:-(
Anzi, l'Italia potrà ancora chiamarsi così?!
Madda
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