venerdì 4 luglio 2008

VOTO ESTERO E CONSOLATI DISTRATTI


Roberto Ormanni
Direttore de
IL PARLAMENTARE
16 maggio 2008

L’inchiesta sulle irregolarità del voto italiano all’estero procede con la massima celerità possibile. Cioè: lentamente. Non è colpa dei pubblici ministeri, naturalmente. Anzi, loro ce la mettono tutta. Ma l’indagine deve necessariamente passare per le “forche caudine” degli uffici consolari. Controllare l’invio al domicilio degli italiani residenti all’estero delle schede elettorali, verificare la corrispondenza tra le schede votate a casa (con quali garanzie che il voto l’abbia espresso davvero chi ne aveva diritto, nessuno può saperlo) e quelle restituite ai consolati e spedite in Italia per lo scrutinio, controllare i requisiti di eleggibilità dei candidati (a cominciare dalla residenza all’estero che già in un caso, quello del senatore del Pdl Nicola Paolo Di Girolamo, si è scoperta dubbia), l’autenticazione delle firme raccolte per il sostegno delle liste e delle candidature che non avevano già gruppi parlamentari di riferimento, per finire con i controlli sulla correttezza della propaganda elettorale e sul rispetto, anche da parte dei candidati esteri, delle norme italiane: l’agenda investigativa, se così possiamo chiamarla, del Pm Giovanni Bombardieri (che con l’aggiunto Giancarlo Capaldo segue l’inchiesta) è fitta di impegni e di interrogativi.

Per trovare le risposte non basta verificare le diverse denunce presentate da candidati non eletti (come nel caso di Raffaele Fantetti che ha segnalato quelle che a suo dire sono le incongruenze nella elezione di Di Girolamo) e consultare la documentazione italiana (come quella inviata alla procura dal presidente vicario della Corte d’appello di Roma, Claudio Fancelli, che nella verifica delle schede elettorali si è imbattuto in alcune “anomalie”). E’ necessario chiedere i riscontri agli uffici consolari nelle varie circoscrizioni elettorali estere (Europa, Asia-Africa-Oceania, America settentrionale e centrale, America meridionale) che avevano, in prima battuta, il compito di controllare e verificare.

Molti consolati hanno svolto attentamente e con scrupolo il proprio lavoro. Ma in qualche caso gli inquirenti hanno il sospetto che i controlli siano stati del tutto ignorati. Le dichiarazioni di residenza dei candidati, ad esempio, verificarle ora significa inviare richieste ai consolati passando per i ministeri della Giustizia e degli Esteri e attendere pazientemente le risposte. Soprattutto quando i controlli riguardano Paesi extra europei.

E non sempre gli uffici consolari rispondono rapidamente. Qualche volta non rispondono proprio e vanno sollecitati.

Uno dei problemi che gli inquirenti devono affrontare riguarda il valzer delle schede elettorali. La legge sul voto all’estero prevede che i consolati provvedono a stampare e inoltrare le schede, che naturalmente variano a seconda delle circoscrizioni, e le facciano avere agli italiani residenti all’estero che sono iscritti all’Aire. La spedizione deve avvenire o per posta raccomandata o con altri sistemi che a giudizio degli uffici consolari sono ritenuti affidabili (in alcuni Paesi non esiste la posta raccomandata).

Ma ai controlli eseguiti sulle schede elettorali dalla Corte d’appello di Roma è emerso che alcune schede (parliamo di alcune migliaia di schede) sono diverse da quelle che hanno stampato gli uffici consolari. Non per i nomi dei candidati, naturalmente, ma per il tipo di carta, gli inchiostri, i colori. Cosa è successo? I consolati hanno “sfornato” più di un tipo di schede, o qualcuno se l’è stampate a casa (oltre ad averle votate in salotto) e magari trovandosi a stamparle ne ha tirate fuori qualche decina votandole tutte in un colpo solo?

In pratica, bisogna controllare i registri di spedizione degli uffici consolari per verificare che le schede elettorali siano state effettivamente non solo inviate ma anche consegnate al destinatario giusto. Questo dato va poi confrontato con quello relativo alle schede votate tornate indietro ai consolati: è ovvio che non tutti quelli che le hanno ricevute le hanno anche votate e restituite.

Soltanto dal raffronto dei due dati si può stabilire se qualcuno ne ha approfittato, costruendo un circuito parallelo a quello ufficiale per sostenere qualche candidato.

Un altro nodo da sciogliere riguarda le dichiarazioni che i candidati hanno sottoscritto con le autocertificazioni consegnate al momento del deposito delle candidature. La residenza è solo il primo dei punti da verificare. Ci sono poi i controlli sulle eventuali cause di incompatibilità o di conflitto d’interessi. Tutte verifiche che dovrebbero compiere anzitutto gli uffici consolari al momento della consegna dei documenti. In qualche caso le verifiche potrebbero essere mancate. Forse in buona fede, non escludono gli investigatori, a causa della quantità di lavoro da svolgere. Ma non si può ignorare l’ipotesi di qualche “distrazione” compiacente, per favorire qualcuno. Su questo fronte, al momento non è emerso niente di concreto ma il lavoro investigativo deve andare a fondo.

Se ci fosse un magistrato di collegamento (cioè un ufficio della magistratura italiana all’estero) in ognuno dei principali Paesi europei ed extraeuropei, come prevedono decine di accordi sottoscritti dall’Italia, sarebbe tutto più semplice perché gli inquirenti italiani potrebbero delegare gli accertamenti direttamente al collega all’estero. Ma i magistrati di collegamento sono rimasti sulla carta, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti e l’America in generale. E allora bisogna “mettersi in coda” nelle procedure ministeriali e aspettare.

Gli investigatori sono consapevoli che questi ritardi potrebbero causare qualche disagio al Parlamento italiano: se al termine dell’inchiesta si dovesse accertare che qualche eletto non avrebbe potuto nemmeno candidarsi, questo provocherebbe un’impasse perché, nel frattempo, Camera e Senato hanno già proclamato ufficialmente gli eletti e il “rimpiazzo” sarebbe causa di qualche problema sia procedurale che giuridico.

E’ per questo motivo che la Procura di Roma ha già inviato una prima relazione al Senato relativa alla posizione dell’avvocato Nicola Paolo Di Girolamo, indagato per falso in atto pubblico e violazione della legge elettorale. Un’ipotesi di reato che richiede ancora indagini, e che dunque potrebbe anche rivelarsi infondata (come peraltro afferma senza mezzi termini lo stesso senatore Di Girolamo, secondo il quale si tratta di un equivoco che sarà chiarito). Ma che, tuttavia, è stata segnalata alla giunta per le elezioni del Senato, per evitare “ingorghi istituzionali” dopo la convalida degli eletti.

Gli inquirenti inoltre stanno procedendo ad un controllo delle firme di sostegno alle candidature. In alcuni casi sembra che gli elettori abbiano firmato non in presenza dei funzionari consolari incaricati di autenticare le firme. Si tratterebbe dunque di accertare se quelle firme, alle quali corrispondono gli estremi di documenti d’identità, siano state autenticate solo successivamente (e anche questo sarebbe un falso e una violazione della legge elettorale).

Sembra che gli investigatori non escludano la possibilità di procedere ad interrogatori, anche per rogatoria internazionale, di alcuni funzionari consolari. Si tratterebbe naturalmente di semplici testimonianze, per chiarire alcuni passaggi delle procedure.

Un’inchiesta complessa che, al di là delle singole responsabilità che dovessero essere accertate, mette però in luce i limiti e le lacune di una legge, quella sul voto degli italiani all’estero, che da conquista di democrazia rischia di trasformarsi in inciucio all’italiana.

Roberto Ormanni

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