lunedì 2 marzo 2009

INQUILINI DEI BOSS

ROBERTO ORMANNI
LA GENTE D'ITALIA
16 gennaio 2009

In Italia – o meglio, nel Sud Italia – è esploso il problema degli affitti. Non si tratta della vecchia questione degli alloggi insufficienti ma di un fenomeno nuovo: la criminalità ha tra i suoi inquilini anche le istituzioni. E’ quello che succede quando il mercato immobiliare viene sempre più spesso controllato dai capitali illeciti che poco alla volta prendono il posto dell’economia lecita.
Due casi, emblematici, vengono dalla Calabria e dalla Campania. A Reggio Calabria il tribunale di sorveglianza paga l’affitto ad un imprenditore arrestato (e tra i beni sequestrati c’è anche lo stesso immobile dove ha sede l’ufficio giudiziario), e nel casertano i militari americani sono inquilini del boss della camorra Giuseppe Setola, condannato all’ergastolo e latitante fino a mercoledì scorso.
Cominciamo dalla Calabria.
Il Tribunale di Sorveglianza di Reggio è tra gli inquilini di Gioacchino Campolo, l’imprenditore noto come “Re Videopoker”, arrestato nei giorni scorsi dalla Dda calabrese. Tra le centinaia di immobili che Campolo ha acquistato, nel corso degli anni, con i proventi della sua attività e della contraffazione degli apparecchi che aumentavano in tal modo gli incassi, c’è anche la sede dell’ufficio giudiziario. Giudici e cancellieri sono, di fatto, a “casa Campolo” e il ministero della Giustizia paga l’affitto all’imprenditore arrestato. Ma grazie agli immobili, secondo gli inquirenti, Campolo si sarebbe anche reso disponibile per riciclare proventi della criminalità e, allo stesso tempo, avrebbe utilizzato il mercato immobiliare per entrare in contatto con la politica. Avrebbe affittato locali commerciali anche all'ex sindaco di Reggio Calabria Italo Falcomatà, morto alcuni anni fa per leucemia e estraneo all’inchiesta. Un locale in corso Garibaldi, la strada principale di Reggio Calabria, che dopo essere stato lasciato libero da Falcomatà è passato, sempre con un regolare contratto di affitto, a un altro ex primo cittadino di Reggio, Demetrio Naccari Carlizzi, genero di Italo Falcomatà e all’epoca vice sindaco. Naccari Carlizzi, attuale assessore regionale al Bilancio, utilizzò l’immobile come segreteria politica.Di sindaco in sindaco, dalle indagini è emerso che uno degli immobili sequestrati, l'ex Teatro Margherita, era stato utilizzato come segreteria politica nel corso delle campagna per le elezioni amministrative dall'attuale Sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti. Va chiarito che gli esponenti politici non sono coinvolti nell’inchiesta. Campolo era inoltre, sempre secondo gli investigatori, in “buoni rapporti” con la cosca dei De Stefano, una delle più potenti della città di Reggio Calabria. “Gli esponenti della cosca De Stefano - spiega il procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone - riuscirono a bloccare anche un tentativo di omicidio nei confronti di Campolo, che dava molto fastidio alle altre cosche. Fu l'intervento dei vertici della temutissima cosca a bloccare il progetto già avviato per ucciderlo”. È da un’intercettazione del gennaio 2008 che gli inquirenti scoprono che Campolo era al corrente del progetto di ucciderlo. I magistrati, dal canto loro, avevano raccolto sul punto le confessioni del collaboratore di giustizia Giovambattista Fracapane. Ma Campolo in una prima telefonata con la segretaria racconta che per due sere qualcuno lo ha seguito, e in una seconda conversazione del marzo 2008 legge al suo interlocutore alcuni passaggi del verbale del pentito di cui era venuto in possesso. L’imprenditore indica i dettagli, affermando che Mario Audino lo voleva ammazzare, che si recava da lui e lo “baciava”. E aggiunge che Audino aveva già preparato una Fiat Uno da utilizzare per l'omicidio. Infine conferma che a evitare l'omicidio sarebbe stato l’intervento del boss Orazio De Stefano.
Meno complicato, e per questo più “dirompente” il caso della Campania.
I militari della Us Navy di stanza ad Aversa pagano l’affitto delle loro abitazioni alla camorra casalese. Giuseppe Setola, il boss della cosiddetta “ala stragista” dell’ex clan Schiavone, ora clan Bidognetti, incassa diverse migliaia di euro dai gloriosi marines statunitense. Una situazione, come si dice, imbarazzante che era già venuta alla luce a settembre scorso e che ora si è riproposta (come i peperoni indigesti) nonostante le raccomandazioni e le formali richieste inoltrate nei mesi scorsi al governo italiano dall'ammiraglio Mark Fitzgerald, comandante in capo delle Forze statunitensi della Campania.
Gli investigatori campani dopo essersi fatti scappare, lunedì, Giuseppe Setola (poi arrestato 48 ore più tardi a Mignano Montelungo un comune del casertano), accusato di numerosi omicidi sul litorale domizio tra i quali la strage di extracomunitari dello scorso 18 settembre, già condannato all’ergastolo sia in primo che in secondo grado, che è riuscito a lasciare il suo covo a Trentola Ducenta attraverso un tombino mentre i carabinieri erano fuori la porta, mercoledì scorso hanno dato l’assalto, per la seconda volta, al patrimonio immobiliare di Setola, famiglia e soci.
Immobili per 10 milioni di euro, dicono gli investigatori, sequestrati al boss. Che si aggiungono ad altri 10 milioni di euro già sequestrati nei mesi scorsi. Tutti e due i sequestri si sono imbattuti in appartamenti che il boss ergastolano latitante accusato di omicidi plurimi aveva regolarmente dato in affitto ai militari Usa.
Questa volta si tratta di due ville delle quattro sequestrate insieme con tre appartamenti e le indagini svelano un “copione” identico a quello già andato in scena a settembre. In quell’occasione l’operazione “Principe Uno” (chissà chi sarebbe il principe) del 29 settembre portò al sequestro di altri villini e diversi appartamenti intestati, oltre che a Giuseppe Setola, anche al fratello Pasquale e alla cognata Giovanna Baldascino. Villette tanto carine che erano state affittate a militari (naturalmente ignari) della Us Navy.
Soldati e ufficiali che avevano preferito andare a vivere al di fuori della cittadella della marina militare satunitense realizzata a Gricignano d’Aversa, una zona di antiche tradizioni agricole alle quali si sono aggiunte le più recenti camorristiche, entrambi fiorenti. E così già a settembre gli investigatori chiesero la collaborazione delle autorita' statunitensi per esaminare i contratti di locazione custoditi nell'Housing Department della base di Gricignano, l’ufficio che si occupa dei rapporti tra proprietari ed affittuari di immobili. Un ufficio, nel quale operano impiegati italiani e statunitensi, che gestisce la banca dati degli immobili disponibili in varie zone della Campania e che vengono presi in affitto con contratti triennali.
Complessivamente in Campania ce ne sono poco più di 400 con contratti che prevedono il pagamento di canoni di locazione che vanno dai 1500 ai 3000 euro al mese, a seconda delle caratteristiche dell'immobile.
Dopo l’imbarazzante scoperta l'ammiraglio Mark Fitzgerald, il comandante in capo, ha espresso tutto il suo disappunto per la vicenda e ha chiesto, tra l'altro, al governo italiano “l'assistenza necessaria ad assicurare che il personale statunitense possa essere protetto dalle organizzazioni criminali e alloggiato in ambienti sicuri”.
Il comando statunitense ha inoltre deciso di vietare ai propri militari della marina americana la sottoscrizione di contratti di locazione di immobili in zone ad alta concentrazione della camorra. Un provvedimento che, evidentemente, non è stato rispettato da tutti, visto che a quattro mesi di distanza siamo punto e a capo con altre due ville. I beni sequestrati oggi a Giuseppe Setola erano intestati anche alla moglie Stefania Martinelli, arrestata già lunedì dopo la fuga del marito. Intestatari dei beni, che secondo l’accusa sono stati acquistati – naturalmente – con i proventi di estorsioni e traffico di droga (nessuno ha mai pensato che si trattasse di un investimento fatto con un prestito bancario o con i risparmi di una vita), erano anche il fratello di Giuseppe Setola, Pasquale, in carcere da tempo, la sorella Immacolata con il marito Mario Baldascino, i due cognati di Pasquale Setola, Giovanni Diana e Giuseppe Visone. Il provvedimento di sequestro di oggi e' stato adottato dal gip, su richiesta dei pm della Dda, Giovanni Conso e Raffaello Falcone, perché le persone indagate, sulla base delle indagini patrimoniali sul loro conto, sono tutte prive di redditi adeguati a giustificare il possesso dei beni oggetto del provvedimento della magistratura napoletana. Insieme con appartamenti a Casal di Principe ed a Cassino, un bar, terreni edificabili e terreni agricoli a Casal di Principe, sono state sequestrate anche otto autovetture di media e grossa cilindrata, tre moto e una società di impiantistica. I pubblici ministeri, hanno individuato i beni immobili da sequestrare anche grazie a una “dritta” dei pentiti Domenico Bidognetti, nipote di Francesco, uno dei capi storici del clan e predecessore di Setola, Alfonso Diana e Gaetano Vassallo.
Roberto Ormanni

Nessun commento: