Se le buone intenzioni contassero più dei fatti, l'Europa avrebbe compiuto ieri un sostanziale passo avanti nella ricerca di una strategia anti-crisi. Esisteva il rischio di ricostruire il muro di Berlino vent'anni dopo la sua caduta? Non è andata così, perché ai soci dell'est che si erano riuniti per proprio conto prima del vertice di Bruxelles è stato ricordato che i «blocchi » non esistono più, che la solidarietà europea si manifesta caso per caso e che persino la presidenza ceca rifiuta l'idea di aiuti distribuiti su base regionale.
Il protezionismo affiorante minacciava di vanificare i benefici del mercato unico e di ingigantire il caos dell'ognun per sé? A Bruxelles la scomunica del protezionismo è stata unanime, e il mercato unico è stato descritto come insostituibile motore della ripresa e della crescita economica. Risultava impossibile mettere ordine nel settore bancario e riaprire il rubinetto del credito senza prima conoscere l'ammontare dei «titoli tossici » detenuti dagli istituti di credito e poter così elaborare risposte adeguate? I Ventisette hanno concordato una cornice comune europea, la Commissione eserciterà un ruolo di sorveglianza, e l'ipotesi della bad bank ha perso quota: oltre agli scettici della prima ora, anche in Italia perché Berlusconi non la ritiene necessaria e in Francia perché Sarkozy non la vuole.
Questo sarebbe il bilancio di Bruxelles, se le buone intenzioni contassero. Ma alle parole, con lo tsunami economico che incalza, è difficile fermarsi. L'est europeo rimane una bomba a orologeria, e il pericolo non è quello segnalato dal premier ungherese che ieri con una mano chiedeva 180 miliardi di aiuti e con l'altra paventava il ritorno della Cortina di ferro. Certo, l'est come blocco ha cessato di esistere. Ma proprio per questo le sue insolvenze sono legate a doppio filo con la salute delle banche «occidentali » che su quei mercati si sono gettate a capofitto dopo il precoce allargamento europeo del 2004.
Se Ungheria e Lettonia (i messi peggio) diventeranno Stati falliti, crescerà il rischio che l'Austria scivoli sulla stessa china, l'intento di dare regole nuove all'attività finanziaria diventerà ingestibile, e si dovranno moltiplicare nazionalizzazioni e aiuti d'emergenza. Il pericolo del muro, di un muro assai più contorto e discontinuo di quello di Berlino, resta in agguato. Il protezionismo è un male e il mercato unico è un bene. Ma chi ne dubitava? Il fatto è che l'unica alternativa al nazionalismo economico (e dunque al protezionismo) risiede in politiche comuni, quelle che l'Europa avrebbe dovuto mettere in essere.
Ma abbiamo dimenticato che quando Sarkozy (l'accusato di oggi) suggerì prima la creazione di fondi europei anti-crisi, e poi la valorizzazione dell'Eurogruppo e un governo comune dell'economia, fu la signora Merkel a dire nein onde evitare che la Germania pagasse per altri? Da lì, da quei rifiuti sono partite le vie nazionali alla crisi. E oggi è davvero difficile immaginare come possano essere fermate. Un esempio: Sarkò ha ritirato le clausole anti-delocalizzazione annesse ai massicci aiuti di Stato alla sua industria automobilistica. In cambio la Commissione ha approvato gli aiuti, legittimandoli. E noi dovremmo credere che le aziende automobilistiche francesi non ricorderanno egualmente quelle clausole, non le riterranno politicamente vincolanti? Il protezionismo, anche quello mascherato, si accentuerà con l'accentuarsi della crisi. E a salvare il mercato unico non basterà di certo la foglia di fico esibita ieri. Una «cornice europea» contro i titoli avvelenati. Benissimo.
Ma sembra di capire che dentro la cornice ogni Paese farà da sé, come sul resto. Il decantato coordinamento europeo diventerebbe allora ancor più labile, quello con gli USA risulterebbe impossibile, e a ciò nessun G-20 potrebbe porre rimedio. E poi, quanti sono questi veleni presenti nella pancia delle banche mondiali, tre volte il patrimonio delle banche stesse come ieri ha ipotizzato Berlusconi, di più, molto di più? L'Italia si sente al riparo, ma anche lei deve domandarsi come si farà a combattere il male se le banche di ogni latitudine continueranno a non indicare la sua gravità. Quello di ieri a Bruxelles è stato un tentativo di mettere d'accordo regole Ue sempre più in crisi e interventi pubblici sempre più massicci. Tentativo meritevole, ma fragilissimo davanti all'avanzare della crisi. E dopo, quando la tempesta sarà passata? Gli strappi saranno reversibili, oppure la Ue si scoprirà ridotta in macerie? Questo, oggi, sembra interessare poco. La casa brucia, bisogna spegnere l'incendio e si penserà poi ai danni che avranno fatto i pompieri. Per l'Europa è un pragmatismo triste.
02 marzo 2009
Il protezionismo affiorante minacciava di vanificare i benefici del mercato unico e di ingigantire il caos dell'ognun per sé? A Bruxelles la scomunica del protezionismo è stata unanime, e il mercato unico è stato descritto come insostituibile motore della ripresa e della crescita economica. Risultava impossibile mettere ordine nel settore bancario e riaprire il rubinetto del credito senza prima conoscere l'ammontare dei «titoli tossici » detenuti dagli istituti di credito e poter così elaborare risposte adeguate? I Ventisette hanno concordato una cornice comune europea, la Commissione eserciterà un ruolo di sorveglianza, e l'ipotesi della bad bank ha perso quota: oltre agli scettici della prima ora, anche in Italia perché Berlusconi non la ritiene necessaria e in Francia perché Sarkozy non la vuole.
Questo sarebbe il bilancio di Bruxelles, se le buone intenzioni contassero. Ma alle parole, con lo tsunami economico che incalza, è difficile fermarsi. L'est europeo rimane una bomba a orologeria, e il pericolo non è quello segnalato dal premier ungherese che ieri con una mano chiedeva 180 miliardi di aiuti e con l'altra paventava il ritorno della Cortina di ferro. Certo, l'est come blocco ha cessato di esistere. Ma proprio per questo le sue insolvenze sono legate a doppio filo con la salute delle banche «occidentali » che su quei mercati si sono gettate a capofitto dopo il precoce allargamento europeo del 2004.
Se Ungheria e Lettonia (i messi peggio) diventeranno Stati falliti, crescerà il rischio che l'Austria scivoli sulla stessa china, l'intento di dare regole nuove all'attività finanziaria diventerà ingestibile, e si dovranno moltiplicare nazionalizzazioni e aiuti d'emergenza. Il pericolo del muro, di un muro assai più contorto e discontinuo di quello di Berlino, resta in agguato. Il protezionismo è un male e il mercato unico è un bene. Ma chi ne dubitava? Il fatto è che l'unica alternativa al nazionalismo economico (e dunque al protezionismo) risiede in politiche comuni, quelle che l'Europa avrebbe dovuto mettere in essere.
Ma abbiamo dimenticato che quando Sarkozy (l'accusato di oggi) suggerì prima la creazione di fondi europei anti-crisi, e poi la valorizzazione dell'Eurogruppo e un governo comune dell'economia, fu la signora Merkel a dire nein onde evitare che la Germania pagasse per altri? Da lì, da quei rifiuti sono partite le vie nazionali alla crisi. E oggi è davvero difficile immaginare come possano essere fermate. Un esempio: Sarkò ha ritirato le clausole anti-delocalizzazione annesse ai massicci aiuti di Stato alla sua industria automobilistica. In cambio la Commissione ha approvato gli aiuti, legittimandoli. E noi dovremmo credere che le aziende automobilistiche francesi non ricorderanno egualmente quelle clausole, non le riterranno politicamente vincolanti? Il protezionismo, anche quello mascherato, si accentuerà con l'accentuarsi della crisi. E a salvare il mercato unico non basterà di certo la foglia di fico esibita ieri. Una «cornice europea» contro i titoli avvelenati. Benissimo.
Ma sembra di capire che dentro la cornice ogni Paese farà da sé, come sul resto. Il decantato coordinamento europeo diventerebbe allora ancor più labile, quello con gli USA risulterebbe impossibile, e a ciò nessun G-20 potrebbe porre rimedio. E poi, quanti sono questi veleni presenti nella pancia delle banche mondiali, tre volte il patrimonio delle banche stesse come ieri ha ipotizzato Berlusconi, di più, molto di più? L'Italia si sente al riparo, ma anche lei deve domandarsi come si farà a combattere il male se le banche di ogni latitudine continueranno a non indicare la sua gravità. Quello di ieri a Bruxelles è stato un tentativo di mettere d'accordo regole Ue sempre più in crisi e interventi pubblici sempre più massicci. Tentativo meritevole, ma fragilissimo davanti all'avanzare della crisi. E dopo, quando la tempesta sarà passata? Gli strappi saranno reversibili, oppure la Ue si scoprirà ridotta in macerie? Questo, oggi, sembra interessare poco. La casa brucia, bisogna spegnere l'incendio e si penserà poi ai danni che avranno fatto i pompieri. Per l'Europa è un pragmatismo triste.
02 marzo 2009
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