QUATTRO paginette per rivoluzionare internet. È la proposta di legge di Gabriella Carlucci, parlamentare di Forza Italia, che dopo tante polemiche basate su voci di corridoio, è stata pubblicata ufficialmente sul suo blog. L'autrice, per replicare alle critiche, ha scritto in una lettera aperta che è una proposta per combattere la pedofilia online, ma nel testo non c'è traccia di niente del genere. Sembra piuttosto, come risulta anche ai primi commentatori, l'ennesimo tentativo del governo di riformare le regole fondamentali di internet. Premurandosi soprattutto di difendere il diritto d'autore. È questo lo spirito che accomuna i vari articoli della proposta.
. Si legge infatti che è vietato immettere in maniera anoSi parte da quello che vorrebbe abolire l'anonimato in internetnima in rete "contenuti in qualsiasi forma". Un divieto che Carlucci vorrebbe estendere anche a operatori e portali: i soggetti che rendono possibile l'anonimato "sono da ritenersi responsabili" al pari con gli utenti "di ogni e qualsiasi reato, danno o violazione amministrativa cagionati ai danni di terzi e dello Stato". Vietato quindi pubblicare commenti su blog o video anonimi su YouTube, per esempio. Ma è una legge a cui preme individuare comunque un colpevole, per gli illeciti che accadono online. Così, la responsabilità ricade anche sui fornitori di servizi se hanno permesso l'anonimato (per esempio su YouTube, per video pubblicati, e in teoria anche sui provider, per la pirateria a mezzo peer to peer).
"È una proposta inattuabile, per molti motivi", dice Guido Scorza, avvocato esperto di internet. Per prima cosa, "la proposta obbliga l'utente a identificarsi a ogni passo che fa online, ma non gli dà gli strumenti per farlo". Che vuol dire, infatti, non essere anonimi? Scrivere il proprio nome e cognome sotto un video o un commento non basta certo a identificare l'utente: non è una firma univoca, che permetta alle forze dell'ordine (o alle aziende che si sentano lese nei propri diritti) di risalire all'autore. Di fatto, se questa proposta diventasse legge così com'è scritta, non sarebbe possibile rispettarla davvero e i vari portali e operatori dovrebbero chiudere in Italia per evitare responsabilità.
C'è un altro scoglio: la normativa comunitaria, recepita in Italia, vieta che dalle azioni fatte dagli utenti possano ricadere responsabilità sui provider. Il tutto sembra insomma fare il paio con una proposta di legge maturata in seno al Comitato antipirateria e redatta- come si è scoperto in un secondo momento- dal parlamentare Luca Barbareschi. Arriverebbero nuove responsabilità su portali come Facebook e YouTube anche dal contestato emendamento D'Alia.
C'è poi un passaggio della proposta Carlucci che cita esplicitamente il diritto d'autore, anche se in modo sibillino: "In relazione alle violazioni concernenti norme a tutela del Diritto d'Autore, dei Diritti Connessi e dei Sistemi ad Accesso Condizionato si applicano, senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni". Se significa che quella legge va applicata, questo comma non ha senso. È come fare una legge per dire che un'altra legge è legge e va rispettata.
Perplesso anche Scorza: "L'unica interpretazione che mi viene in mente è che si voglia inaugurare una linea dura, senza eccezioni, per il rispetto del diritto d'autore. Niente più, quindi, spezzoni di programmi su YouTube, nemmeno pochi secondi. È un grosso favore a Mediaset, che ora sta combattendo una battaglia per ripulire internet da video contenenti parti delle sue trasmissioni".
L'intento generale della proposta parrebbe insomma togliere ogni dubbio su che cosa sia violazione il diritto d'autore e su quali siano gli autori del reato. Il tutto anche istituendo uno speciale comitato (si legge ancora nella proposta) per vigilare sugli illeciti di internet. Lo zampino dell'industria dell'audio video è manifesta anche in un fatto curioso: sbirciando tra le proprietà del file pubblicato dalla Carlucci, si vede che l'autore è Davide Rossi di Univideo (Unione italiana editoria audiovisiva).
Resta da vedere come possano diventare proposte di legge che sono inattuabili per manifeste lacune oppure perché in contrasto con la normativa comunitaria. Certo è però che, di proposta in proposta, il governo sta mettendo una pressione mai vista su tutti i soggetti della rete, dagli utenti ai provider ai portali. Prima o poi potrebbe partorire una legge che, priva di intralci giuridici, riesca nell'intento di rivoluzionare la vita sul web.
(9 marzo 2009)
. Si legge infatti che è vietato immettere in maniera anoSi parte da quello che vorrebbe abolire l'anonimato in internetnima in rete "contenuti in qualsiasi forma". Un divieto che Carlucci vorrebbe estendere anche a operatori e portali: i soggetti che rendono possibile l'anonimato "sono da ritenersi responsabili" al pari con gli utenti "di ogni e qualsiasi reato, danno o violazione amministrativa cagionati ai danni di terzi e dello Stato". Vietato quindi pubblicare commenti su blog o video anonimi su YouTube, per esempio. Ma è una legge a cui preme individuare comunque un colpevole, per gli illeciti che accadono online. Così, la responsabilità ricade anche sui fornitori di servizi se hanno permesso l'anonimato (per esempio su YouTube, per video pubblicati, e in teoria anche sui provider, per la pirateria a mezzo peer to peer).
"È una proposta inattuabile, per molti motivi", dice Guido Scorza, avvocato esperto di internet. Per prima cosa, "la proposta obbliga l'utente a identificarsi a ogni passo che fa online, ma non gli dà gli strumenti per farlo". Che vuol dire, infatti, non essere anonimi? Scrivere il proprio nome e cognome sotto un video o un commento non basta certo a identificare l'utente: non è una firma univoca, che permetta alle forze dell'ordine (o alle aziende che si sentano lese nei propri diritti) di risalire all'autore. Di fatto, se questa proposta diventasse legge così com'è scritta, non sarebbe possibile rispettarla davvero e i vari portali e operatori dovrebbero chiudere in Italia per evitare responsabilità.
C'è un altro scoglio: la normativa comunitaria, recepita in Italia, vieta che dalle azioni fatte dagli utenti possano ricadere responsabilità sui provider. Il tutto sembra insomma fare il paio con una proposta di legge maturata in seno al Comitato antipirateria e redatta- come si è scoperto in un secondo momento- dal parlamentare Luca Barbareschi. Arriverebbero nuove responsabilità su portali come Facebook e YouTube anche dal contestato emendamento D'Alia.
C'è poi un passaggio della proposta Carlucci che cita esplicitamente il diritto d'autore, anche se in modo sibillino: "In relazione alle violazioni concernenti norme a tutela del Diritto d'Autore, dei Diritti Connessi e dei Sistemi ad Accesso Condizionato si applicano, senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni". Se significa che quella legge va applicata, questo comma non ha senso. È come fare una legge per dire che un'altra legge è legge e va rispettata.
Perplesso anche Scorza: "L'unica interpretazione che mi viene in mente è che si voglia inaugurare una linea dura, senza eccezioni, per il rispetto del diritto d'autore. Niente più, quindi, spezzoni di programmi su YouTube, nemmeno pochi secondi. È un grosso favore a Mediaset, che ora sta combattendo una battaglia per ripulire internet da video contenenti parti delle sue trasmissioni".
L'intento generale della proposta parrebbe insomma togliere ogni dubbio su che cosa sia violazione il diritto d'autore e su quali siano gli autori del reato. Il tutto anche istituendo uno speciale comitato (si legge ancora nella proposta) per vigilare sugli illeciti di internet. Lo zampino dell'industria dell'audio video è manifesta anche in un fatto curioso: sbirciando tra le proprietà del file pubblicato dalla Carlucci, si vede che l'autore è Davide Rossi di Univideo (Unione italiana editoria audiovisiva).
Resta da vedere come possano diventare proposte di legge che sono inattuabili per manifeste lacune oppure perché in contrasto con la normativa comunitaria. Certo è però che, di proposta in proposta, il governo sta mettendo una pressione mai vista su tutti i soggetti della rete, dagli utenti ai provider ai portali. Prima o poi potrebbe partorire una legge che, priva di intralci giuridici, riesca nell'intento di rivoluzionare la vita sul web.
(9 marzo 2009)
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