martedì 10 marzo 2009

Libertà di sopruso


di Giovanni Sartori

Quasi da sempre il diritto di sciopero è stato abusato dagli scioperanti e tollerato oltre ogni misura da tutti i nostri governi. Ora il governo Berlusconi si propone di disciplinarlo. È una decisione tempestiva e più che mai necessaria, visto che ci aspettano tempi durissimi di dilagante disoccupazione e, di riflesso, di esasperato «ribellismo» con blocchi di strade, ferrovie, aeroporti e anche di servizi pubblici: blocchi che saranno «cattivi», carichi di rabbia e infiammati dalla disperazione. Come qualsiasi indovino avrebbe indovinato, a Epifani, e con lui alla Cgil, la cosa non piace per niente. Tra le sue tante obiezioni emerge la tesi che il diritto di sciopero è una «libertà fondamentale».

Sì, nei limiti; ma assolutamente no fuori limiti
. La regola fondante di tutte le libertà è che la mia libertà non deve danneggiare né ostacolare la libertà di nessun altro. Cioè, la mia libertà è delimitata dalla libertà degli altri (e viceversa). Dal che si ricava che uno sciopero dei servizi o dei trasporti è una patente violazione dei diritti di libertà di tutti. Lo sciopero nasce, nell’800, nelle fabbriche, e in quel contesto il danno è tra le parti in causa, tra un prestatore d’opera e il suo datore di lavoro. Invece nell’odierno andazzo italico il cittadino diventa ostaggio, e anche vittima, di un conflitto che non lo riguarda. Libertà o sopruso? A me sembra libertà di sopruso. Tantovero che negli Stati Uniti lo sciopero dei servizi (ivi inclusi i trasporti) è quasi sempre vietato, e che i conflitti di questo tipo sono sottoposti ad arbitrato obbligatorio.

Ricordo due casi. Nel 1981 i controllori del traffico aereo, forti della loro insostituibilità (così credevano), sfidarono il divieto di sciopero. Il presidente Reagan li licenziò tutti in tronco, e non mi risulta che furono mai reintegrati. Certo è che da allora nessuno si è riprovato. L’altro caso, quello della City Transit Authority di New York che ogni giorno fa entrare e uscire da Manhattan 7,5 milioni di passeggeri, è del 20 dicembre 2005. Quello sciopero, che era appunto illegale, non durò nemmeno due giorni. Il pomeriggio del 20 il giudice competente (proprio non siamo in Italia) impose al sindacato una multa di un milione di dollari al giorno. Il sindacato capitolò subito. Invece il nostro legislatore prevede multe individuali. Campa cavallo.

Tornando in patria, sulla proposta che uno sciopero debba essere proclamato da un sindacato rappresentativo del 51 per cento della categoria in agitazione, Epifani obietta così: «Ma perché può scioperare il 51 per cento e il 49 no? Che senso ha?». La risposta è facile: ha esattamente lo stesso senso di tutte le decisioni prese a maggioranza. Quando poi votiamo con il principio maggioritario in collegi uninominali, può persino accadere che il primo, il più votato, prenda tutto (il seggio) con meno del 40 per cento dei voti. È la regola maggioritaria, bellezza. Sono tutte cose che Epifani sa benissimo. Proprio per questo mi sconcerta che qui il Nostro si atteggi a difensore dei suoi «nanetti», del pulviscolo dei micidiali sindacati autonomi (spesso di quattro gatti) che ci affliggono. E mi sembra un pessimo segno, perché gli scioperi selvaggi e le occupazioni non aiuteranno in alcun modo la crisi economica, ma anzi la aggraveranno. Essendo noi già malati gravi.

08 marzo 2009

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