28/4/2009
LUIGI LA SPINA
LUIGI LA SPINA
Non facciamo gli ipocriti. Non è vero che, dopo la celebrazione, a partiti unificati, della festa del 25 Aprile, il compiacimento sia generale e tutti sprizzino soddisfazione.
I sentimenti, quelli sinceri di gran parte dei militanti e di gran parte della classe dirigente del Pd come del Pdl sono altri: delusione, stizza e, in molti casi, la sensazione di aver subito una sconfitta.
A sinistra, Franceschini viene accusato di una colpevole ingenuità, quella di avere offerto su un piatto d’argento l’occasione a Berlusconi per un’altra «furbata»: lo scippo dell’unica festa veramente ed esclusivamente identitaria del centrosinistra italiano, quella che, ancora, lasciava una fetta dell’attuale maggioranza fuori dal perimetro dei fondatori e ispiratori della nostra Repubblica. Il segretario Pd, sempre secondo i suoi critici all’interno del partito, prevedeva, da parte del premier, la persistenza del rifiuto a partecipare a quella celebrazione e, quindi, l’opportunità di sfruttare un forte argomento polemico in campagna elettorale. Quando Berlusconi, invece, ha deciso di intervenire alla festa della Liberazione, la mossa di Franceschini si è rivelata un clamoroso boomerang.
La cosa curiosa è che, anche a destra, gli umori sono simili. La partecipazione dei leader Pdl a quella festa è vista come un cedimento all’opportunismo, uno sgradevole prezzo pagato per l’accreditamento politico e morale di Berlusconi come candidato al Quirinale e custode proprio di quella Costituzione di cui gli odiati comunisti furono tra i progenitori. Boccone ancor più amaro da digerire è, poi, il riconoscimento della Resistenza e dei suoi valori come elemento costitutivo e ispiratore della nostra Repubblica.
Altrettanto curiosa e unificante è la speranza segreta che riesce a consolare, sia la destra sia la sinistra, in questi momenti. Per i militanti della prima, l’attesa è quella di superare in fretta il fastidioso pedaggio dell’avvenuto ossequio formale, per depotenziare questa ricorrenza fino a mandarla in soffitta, tra le vecchie bandiere e le vecchie medaglie dimenticate e impolverate. Possibilmente cambiandogli addirittura il nome, per confonderlo con uno più gradito. Per i simpatizzanti della seconda, la presunta gaffe di Franceschini sarà presto superata, quando la strumentalità dell’adesione di Berlusconi sarà contraddetta da comportamenti ed iniziative che riveleranno i veri sentimenti del premier nei confronti del 25 Aprile. Insomma, cova in tutti e due gli schieramenti l’ansia di dimostrare che si può tranquillamente tornare indietro, a quei posti che assicuravano così comode identità distintive e così comode occasioni di polemica politica e di scontro ideologico.
Invece, no. In politica, quello che conta non sono le intenzioni, le mosse strumentali, i retropensieri, ma i fatti compiuti. Quando Fini è passato dal ritenere Mussolini «il più grande statista del Novecento» a considerare l’antifascismo un valore obbligatorio per aderire alla democrazia italiana, molti erano i dubbi, le ironie, i sospetti, dentro e fuori An. Tutte impressioni fallaci: era partito un tragitto irreversibile, certo accidentato, ma senza ritorno, come lo sono tutte le profonde revisioni della propria storia politica e personale. Un percorso che ha portato anche La Russa, ministro della Difesa, a inchinarsi davanti alla Resistenza e alla festa della Liberazione dai fascisti e dai nazisti.
Quando, molti anni fa, il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, ammise di sentirsi più sicuro all’ombra della Nato, ci furono analoghi dubbi, sospetti, ironie. Eppure, quello fu il punto di partenza che trasformò un partito che, in molte sue parti, era rimasto filosovietico, antidemocratico e antioccidentale, nella sezione italiana della socialdemocrazia europea. Sarebbe più rassicurante, certo, che le truppe avversarie rimanessero sui vecchi fronti e che le caserme dei nostri rimanessero sempre là, dove il rifugio è sicuro. Poi, per fortuna, e magari senza calcolare le conseguenze, magari senza intravedere il punto d’arrivo, i protagonisti della storia spezzano tabù e scompigliano il gioco. Lo fanno per un calcolo contingente, per astuzia, magari per viltà o per azzardo. Ma quello che dicono e che fanno resta e non possono più tornare indietro.
L’«ingenuità» di Franceschini ha prodotto un risultato importante. La fermezza del Capo dello Stato, nel ribadire che i principi della Costituzione sono irrinunciabili per garantire il rispetto della democrazia nel nostro Paese e che la lotta antifascista è l’esperienza fondante della nostra Repubblica, ha molto contato per arrivare alla condivisione della festa. La rinuncia di Berlusconi a un suo lungo atteggiamento di distacco e di freddezza, rispetto all’anniversario della Liberazione, va apprezzata per quello che significa non per i motivi, presunti o reali, di tale scelta.
Prendere sul serio quello che si dice e quello che si fa non è da sciocchi ottimisti, ma sottintende una pretesa esigente: la verifica della coerenza da parte dei protagonisti. Chi pensa o spera in una facile palinodia delle parole o degli atteggiamenti non considera che la forza dei fatti è destinata a vincere sempre, anche contro la volontà degli uomini.
I sentimenti, quelli sinceri di gran parte dei militanti e di gran parte della classe dirigente del Pd come del Pdl sono altri: delusione, stizza e, in molti casi, la sensazione di aver subito una sconfitta.
A sinistra, Franceschini viene accusato di una colpevole ingenuità, quella di avere offerto su un piatto d’argento l’occasione a Berlusconi per un’altra «furbata»: lo scippo dell’unica festa veramente ed esclusivamente identitaria del centrosinistra italiano, quella che, ancora, lasciava una fetta dell’attuale maggioranza fuori dal perimetro dei fondatori e ispiratori della nostra Repubblica. Il segretario Pd, sempre secondo i suoi critici all’interno del partito, prevedeva, da parte del premier, la persistenza del rifiuto a partecipare a quella celebrazione e, quindi, l’opportunità di sfruttare un forte argomento polemico in campagna elettorale. Quando Berlusconi, invece, ha deciso di intervenire alla festa della Liberazione, la mossa di Franceschini si è rivelata un clamoroso boomerang.
La cosa curiosa è che, anche a destra, gli umori sono simili. La partecipazione dei leader Pdl a quella festa è vista come un cedimento all’opportunismo, uno sgradevole prezzo pagato per l’accreditamento politico e morale di Berlusconi come candidato al Quirinale e custode proprio di quella Costituzione di cui gli odiati comunisti furono tra i progenitori. Boccone ancor più amaro da digerire è, poi, il riconoscimento della Resistenza e dei suoi valori come elemento costitutivo e ispiratore della nostra Repubblica.
Altrettanto curiosa e unificante è la speranza segreta che riesce a consolare, sia la destra sia la sinistra, in questi momenti. Per i militanti della prima, l’attesa è quella di superare in fretta il fastidioso pedaggio dell’avvenuto ossequio formale, per depotenziare questa ricorrenza fino a mandarla in soffitta, tra le vecchie bandiere e le vecchie medaglie dimenticate e impolverate. Possibilmente cambiandogli addirittura il nome, per confonderlo con uno più gradito. Per i simpatizzanti della seconda, la presunta gaffe di Franceschini sarà presto superata, quando la strumentalità dell’adesione di Berlusconi sarà contraddetta da comportamenti ed iniziative che riveleranno i veri sentimenti del premier nei confronti del 25 Aprile. Insomma, cova in tutti e due gli schieramenti l’ansia di dimostrare che si può tranquillamente tornare indietro, a quei posti che assicuravano così comode identità distintive e così comode occasioni di polemica politica e di scontro ideologico.
Invece, no. In politica, quello che conta non sono le intenzioni, le mosse strumentali, i retropensieri, ma i fatti compiuti. Quando Fini è passato dal ritenere Mussolini «il più grande statista del Novecento» a considerare l’antifascismo un valore obbligatorio per aderire alla democrazia italiana, molti erano i dubbi, le ironie, i sospetti, dentro e fuori An. Tutte impressioni fallaci: era partito un tragitto irreversibile, certo accidentato, ma senza ritorno, come lo sono tutte le profonde revisioni della propria storia politica e personale. Un percorso che ha portato anche La Russa, ministro della Difesa, a inchinarsi davanti alla Resistenza e alla festa della Liberazione dai fascisti e dai nazisti.
Quando, molti anni fa, il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, ammise di sentirsi più sicuro all’ombra della Nato, ci furono analoghi dubbi, sospetti, ironie. Eppure, quello fu il punto di partenza che trasformò un partito che, in molte sue parti, era rimasto filosovietico, antidemocratico e antioccidentale, nella sezione italiana della socialdemocrazia europea. Sarebbe più rassicurante, certo, che le truppe avversarie rimanessero sui vecchi fronti e che le caserme dei nostri rimanessero sempre là, dove il rifugio è sicuro. Poi, per fortuna, e magari senza calcolare le conseguenze, magari senza intravedere il punto d’arrivo, i protagonisti della storia spezzano tabù e scompigliano il gioco. Lo fanno per un calcolo contingente, per astuzia, magari per viltà o per azzardo. Ma quello che dicono e che fanno resta e non possono più tornare indietro.
L’«ingenuità» di Franceschini ha prodotto un risultato importante. La fermezza del Capo dello Stato, nel ribadire che i principi della Costituzione sono irrinunciabili per garantire il rispetto della democrazia nel nostro Paese e che la lotta antifascista è l’esperienza fondante della nostra Repubblica, ha molto contato per arrivare alla condivisione della festa. La rinuncia di Berlusconi a un suo lungo atteggiamento di distacco e di freddezza, rispetto all’anniversario della Liberazione, va apprezzata per quello che significa non per i motivi, presunti o reali, di tale scelta.
Prendere sul serio quello che si dice e quello che si fa non è da sciocchi ottimisti, ma sottintende una pretesa esigente: la verifica della coerenza da parte dei protagonisti. Chi pensa o spera in una facile palinodia delle parole o degli atteggiamenti non considera che la forza dei fatti è destinata a vincere sempre, anche contro la volontà degli uomini.
2 commenti:
"Palinodia è il termine che indica ogni componimento poetico che si configura come una ritrattazione di parole o idee precedentemente espresse."
Anch'io la considero una grave ingenuità: ha fatto la spalla di Berlusconi, cosa in cui il PD riesce benissimo, come D'Alema prima e Veltroni poi hanno inequivocabilmente dimostrato.
Inoltre, Franceschini sta facendo la spalla anche in materia di referendum, che se da una parte abolisce le liste bloccate e le candidature plurime, dall'altra concede un premio di maggioranzxa al partito che ottiene la maggioranza relativa il 55% del Parlamento.
Berlusconi, che la maggioranza relativa ce l'ha già adesso, diventerebbe davvero l'Imperatore d'Italia, potrebbe fare volentieri a meno della Lega, la quale ha percepito il rischio e ha minacciato la crisi di governo se fosse stato varato l'accorpamento fra elezioni europee e referendum.
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