6/3/2010
Il segretario Pd: basta calpestare le regole, non farò sconti
GIOVANNI CERRUTI
Alle sette del pomeriggio Pierluigi Bersani è al terzo piano di un palazzo di via Galileo Galilei, la sede del comitato elettorale di Filippo Penati, proprio al confine con il quartiere Isola dove è nato il Premier. È alla finestra quando gli arriva la telefonata da Gianni Letta che riassume l’imminente «Decreto Interpretativo». Sul piazzale si vede un enorme tabellone pubblicitario per l’ultimo film di Mel Gibson: «Fuori Controllo». Forse non se ne accorge nemmeno, Bersani, ma è proprio quel che teme. L’ha ripetuto per tutto il venerdì. «Attenti con altri pasticci, la situazione può andare fuori controllo».
Così, finita la telefonata, la decisione è quasi facile. Teniamo il punto. Altre telefonate con i leader dell’opposizione, Di Pietro e Casini, poi con Dario Franceschini, Massimo D’Alema, Emma Bonino. Tutti d’accordo, e c’è pure chi propone una manifestazione di protesta. E da via Galileo Galilei parte la nota scritta. «Usano il decreto interpretativo per arrivare comunque al risultato che gli serve per aggiustare il loro pasticcio. Ma il trucco c’è e si vede, in alcuni casi fino al ridicolo». Conclusione: «Se decidono così potranno aspettarsi solo una nostra ferma opposizione». Punto e basta.
«Ma questi governano l’Italia o governano per una loro lista?». Bersani, alle otto di sera, sta per rientrare in macchina, direzione Lodi, ultimo comizio di una giornata cominciata a Lecco. «Hanno fatto tutto loro e ora fanno le vittime. Gridano al complotto, tra un po’ racconteranno che gli asini volano. Per loro fare un partito è un dopolavoro e patatrac, alla prima curva il partito del predellino si è cappottato». Decreto, dice, anche ridicolo: «Non devi entrare nell’ufficio dove si depositano candidature e firme, basta che sei nell’area del Palazzo di Giustizia. E se in una città c’è un Palazzo piccolo? Ma dài!».
Ha letto la nota del Quirinale. Nessun problema, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che poche ore dopo firmerà il testo.
«Noi ci occupiamo del merito», dice Bersani. O, come si sente dire in via Galilei, «dell’osceno». Perchè, dice Bersani, «ci sono delle regole che in questo Paese bisogna affermare, ripristinare, difendere». Altrimenti, e sarebbe il vero rischio di questo decreto, «per risolvere il loro pasticcio si aprono altri problemi più grossi. Hanno buone ragioni per risolvere un problema nato dalle loro divisioni? Le sottopongano alla magistratura e non intervengano sulle regole».
Il Pd del Lazio ha già annunciato una manifestazione, Di Pietro preme per una manifestazione nazionale. Bersani, prima, vuol conoscere il testo definitivo del decreto. Ma dal Pd, da Bersani, nessuna sponda al «trucco». Per tutta la giornata ha sentito i racconti dei consiglieri regionali della Lombardia, gli hanno riferito le richieste di accordi da parte del Pdl, di proposte d’intesa per venirne fuori. Porte chiuse. «A Formigoni e al centrodestra dico di non buttarla in “caciara”, di smetterla di parlare di un accordo politico con noi. Non siamo disponibili. Devo dirlo anche in cinese?».
«E’ tutto così semplice. C’è una regola? Si rispetta. Altrimenti cosa vai a dire a chi è stato buttato fuori da un concorso perchè l’orario fissato era a mezzogiorno ed è arrivato con cinque minuti di ritardo? O a quello che non ha timbrato il biglietto del treno e si è preso la multa?». Al circolo della stampa di Milano si scalda con un esempio: «Ohè, quando la lista della Polverini è stata riammessa Emma Bonino ha detto “Va bene così, chi deve decidere decida”. Capito? noi siamo fatti così. E vorremmo, per favore, che ci si attenesse a questo costume. Aspettiamo e aspettino, serenamente, le decisioni della magistratura».
Certo, lo sa anche Bersani che le elezioni in Lombardia senza Formigoni, e nel Lazio senza il Pdl, «non è una situazione ordinaria, ma occhio all’arroganza perchè questa è insopportabile». E attenzione a chi sostiene che «il consenso viene prima delle regole». Da Milano a Lodi un’altra mezz’ora al telefonino. Tutto il partito è con Bersani, ci mancherebbe. Dario Franceschini aderisce via Internet. Di Pietro insiste con la manifestazione. Ma Bersani vuol vedere che accadrà in queste prossime ore. «Da parte loro servirebbe un po’ più di umiltà e serietà. Questa volta il Pdl non può raccontarla come vuole...».
1 commento:
MA CHE MI SIGNIFICA "NON FARO' SCONTI"? CHE PRIMA GLI SCONTI LI HAI FATTI? QUESTI HANNO LE TRUPPE CORAZZATE, NOI LE TRUPPE CAMELLATE: NON C'E' CONFRONTO!
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