NIENTE ROTTURA CON TONINO.
“MA LE DIMISSIONI DEL CAPO DELLO STATO DAREBBERO STRADA AL PREMIER”
di Wanda Marra
Nella strategia a chi la dice più grossa, il Pd al solito è perdente. E se Di Pietro urla all’impeachment di Napolitano, che ha firmato il decreto salva liste (ma solo quelle del Pdl), i democratici non possono e non vogliono andargli dietro.
Il ragionamento “politico” non fa una grinza: la responsabilità è del governo e non del presidente della Repubblica. Perché il suo non è stato un comportamento anti-costituzionale. E poi, che senso ha addossare al Quirinale l’ennesima malefatta del Cavaliere? Senza contare l’effetto boomerang: chiedere le dimissioni del presidente della Repubblica, cui prodest?
Il rischio - dicono da Largo del Nazareno - sarebbe quello di aprire direttamente la strada del Colle a Berlusconi.
Il Pd, dunque, cerca modalità più tradizionali: si comincia dall’ostruzionismo parlamentare. Annunciato in una lettera a Fini e Schifani: “Questo atto avrà immediate conseguenze sul nostro atteggiamento parlamentare - spiegano Finocchiaro e Franceschini - abbiamo ritenuto doveroso informarvi preventivamente".
Ancora non sono chiari gli strumenti che verranno messi in campo. Ma il rallentamento di alcuni provvedimenti sarà certo. A cominciare dal legittimo impedimento, il cui esame comincia in Senato martedì. In aula a Montecitorio è atteso il via libera del decreto enti locali, su cui il governo ha ottenuto giovedì la fiducia. Come gesto di buona volontà l’opposizione aveva ritirato quasi tutti gli ordini del giorno, tranne due, per consentire un iter più spedito. Non è detto che non torni sui suoi passi.
Subito dopo, è in calendario il varo dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla mafia. Di certo, comunque, qualsiasi decreto arriverà avrà vita dura. Ma i Democratici hanno anche bisogno di visibilità a urne così vicine. E sono loro ad annunciare in una nota che arriva all’ora di pranzo che il centrosinistra si mobilita compatto contro il decreto salva-elezioni e che sabato prossimo si terrà a Roma una manifestazione nazionale.
La condanna del decreto “senza se e senza ma” (come dice persino un ex democristiano come Fioroni) per una volta tiene insieme tutte le anime del partito.
Va all’attacco D’Alema: “E’ una delle cose più gravi fatte da questo esecutivo, che pure ne ha fatte tante”, è “un insulto a tutti i cittadini” e crea “una frattura difficilmente sanabile” nei rapporti fra parti politiche.
Da uomo pratico qual è, il segretario Bersani annuncia: “A partire da oggi faremo una mobilitazione anche nelle sedi giurisdizionali: i Tar sono ancora aperti, arriveremo fino alla Corte costituzionale”.
D’altra parte, fin da venerdì sera aveva definito la norma “un trucco vergognoso”.
Questa volta, però, il Pd non parte all’attacco di Di Pietro, come altre volte che questi aveva criticato duramente il Presidente della Repubblica. Le posizioni all’interno dell’opposizione si erano distanziate - e anche molto - in occasione di altre firme, come quella sullo scudo fiscale. E il conflitto tra Idv e Pd era stato molto duro l’ultima volta, in occasione di una manifestazione a Piazza Farnese alla fine gennaio. L’ex pm aveva attaccato il Colle: “Troppi silenzi, il silenzio è mafia”. Insorte tutte le forze politiche, compreso il Pd.
Stavolta, è chiaro che il maggior partito d’opposizione, pur non potendo seguire Di Pietro sulla strada dell’impeachment, non va alla critica frontale, ma cerca comunque delle convergenze.
D’altra parte, Pd e Idv sono alleati in 13 regioni e - nel bene o nel male - si vota tra tre settimane. Pur non essendosi messi d’accordo sulla strategia, Bersani e Di Pietro questa volta si sono parlati e si sono capiti. Non sembra, d’altra parte, proprio un caso se all’attacco frontale delle posizioni del leader dell’Idv ci va l’opposizione interna nella persona di Veltroni: “Di fronte all’enorme gravità di questo decreto di esclusiva responsabilità della destra, la cosa più sbagliata che si possa fare è attaccare il capo dello Stato”. Se Di Pietro tace e Napolitano spiazza tutti con un comunicato sul suo sito in cui giustifica la firma per garantire il diritto di voto a tutti i cittadini, alla fine la posizione del Pd la salva Berlusconi: “Sono sempre gli stessi, dicono no a tutto e non cambieranno mai: alla fine vanno sempre dietro a Di Pietro”.
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