giovedì 20 maggio 2010

EZIO MAURO “TOGLIAMOCI LA MUSERUOLA”


Il direttore di “Repubblica”: adesso si muovano le grandi firme

di Silvia Truzzi

Avviso: il registratore è acceso. Premessa necessaria, perché nella notte è stato approvato anche l’emendamento “anti-D’Addario”, che vieta le registrazioni “non dichiarate”. Ma Ezio Mauro, direttore di Repubblica è consenziente.

Direttore, nel suo editoriale di oggi (ieri per chi legge, ndr) ha scritto: è vergognoso che non ci sia stata una mobilitazione contro la legge bavaglio.

I cittadini devono avere il diritto di sapere, i giornali il dovere di informare. È ciò che distingue una società aperta da una autoritaria. Questa battaglia va fatta per difendere il principio di democrazia, indipendentemente dai rapporti di forza. Se i giornali si mobilitano tutti insieme, facendo capire ai cittadini l’esito vergognoso di queste misure, si può vincere. Vogliamo vivere in un Paese in cui i magistrati sono limitati nella loro azione, i giornali dimezzati e i cittadini disinformati? Vogliamo uscire con giornali che non possono raccontare le grandi inchieste sui sistemi criminali per periodi che vanno dai 4 ai 6 anni e nei casi più patologici arrivano a dieci? Non possiamo accettarlo. Questo riguarda tutti i giornali. Non è un fatto di convinzioni politiche, ma di principio: interessa i fondamenti della democrazia. Dobbiamo difendere il nostro mestiere. Questo è il momento, perché siamo ancora in tempo. Siamo al passaggio decisivo: dalla commissione del Senato all’aula.

A chi si rivolge?

A tutti i giornalisti italiani perché non si facciano mettere la museruola, difendendo la possibilità di fare liberamente il proprio mestiere e, insieme, il diritto dei cittadini di sapere.

Crede che i grandi giornali prenderanno una posizione netta?

Io me lo auguro. Ci sono stati interventi tecnici e di cronaca, anche belli, su molti quotidiani. Ma ora tocca alle grandi firme, ai direttori: devono scendere in campo. Non è certamente un problema di concorrenza, è un momento in cui tutta la stampa deve essere unita. Questa legge tocca quelli che Amartya Sen chiama i “diritti vitali”. È in gioco il circuito di funzionamento della nostra democrazia. Non può interrompersi il canale di comunicazione tra il mondo del potere e l’informazione che indaga. Non si può interrompere perché questo circuito finisce all’opinione pubblica, che per capire deve conoscere. Non ha importanza che chi legge la pensi come me, l’importante è che con gli strumenti di informazione che io gli do si formi una libera convinzione. E quindi eserciti il suo diritto di cittadino, che alla fine è quello di premiare o meno i politici con il voto. Ma è esattamente questo che si vuole impedire.

Napolitano firmerà? La legge presenta molti elementi di incostituzionalità.

Credo che il presidente della Repubblica vada lasciato libero: farà le sue considerazioni. Ma penso che una battaglia di libertà e democrazia, a tutela di un diritto inalienabile dei cittadini, aiuterebbe il Quirinale a formarsi un convincimento autonomo.

Nella conclusione del suo editoriale ha usato la parola “regime”.

Chiamare con il loro nome le cose che accadono in Italia è già sufficiente e in alcuni casi sufficientemente grave. Questa legge di censura stabilisce quale dose di informazioni può arrivare ai cittadini. Insieme al conflitto d’interessi che altera il libero confronto politico e alle leggi ad personam che violano il principio di uguaglianza di fronte alla legge, delinea i tratti caratteristici di un regime.

Si è parlato di disobbedienza civile. Se la legge dovesse passare, crede che verrà praticata?

Noi lo stiamo valutando seriamente. Ma uno degli aspetti perversi della legge è quello di costituire un interesse degli editori disgiunto da quello dei giornalisti perché chiede agli editori di esercitare norme che influiscono sulla governance dei giornali, salvo multe pesantissime. Questo significa spingere gli editori a entrare in redazione. Ed esprimere un sindacato di contenuto, una cosa che in un sistema sano non era mai accaduta. Un’alterazione inaudita delle regole di autonomia del giornalismo.

Com’è possibile che la categoria non si ribelli a una cosa del genere?

I cittadini devono saperlo: i giornali che prenderanno in mano non saranno più gli stessi. In un Paese che vive di utilizzo politico del pettegolezzo, di calunnie e ricatti – il caso Boffo è esemplare così come le minacce a mezzo stampa rivolte al presidente della Camera Fini l’estate scorsa – si formerebbe una bolla speculativa per chi ha interesse a ricattare compagni di partito e avversari. Sarebbe un pervertimento della vita politica. La trasparenza è la strada maestra della vita democratica.

Anche l’Ordine dei giornalisti avrà un ruolo.

In caso di violazione, il pm è obbligato dalla legge a investire l’Ordine che a sua volta è obbligato a intervenire entro tre mesi. È prevista anche la sospensione dall’esercizio della professione. Per un direttore significa non poter decidere, in sostanza non poter fare il suo lavoro. Il governo, imponendo al pm di fare denuncia immediata – c’è proprio la parola “immediatamente” – e imponendo all’Ordine di attuare la sospensione, s’inserisce nell’organizzazione interna di un giornale. Che in un mercato libero e in una società libera dipende dalle scelte dell’editore e non del legislatore.

Una strada per buttar fuori i direttori sgraditi dai giornali.

Infatti: non chiamiamolo più disegno di legge sulle intercettazioni. Chiamiamolo disegno di legge sulla libertà: delle indagini e di stampa.

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