giovedì 6 maggio 2010

SVUOTA-CARCERI MARONI BOCCIA ALFANO


Per il ministro dell’Interno: “Peggio dell’indulto”. Il Pd: “È un bluff”

di Luca De Carolis

Una porta in faccia a un pretoriano di Berlusconi, sbattuta per ribadire che la Lega è azionista di maggioranza del governo in bilico. E un contentino alla base del Carroccio.

Significati diversi per il no di Maroni al ddl “svuota-carceri”, proposto dal Guardasigilli Alfano, che consentirebbe ai detenuti di scontare l’ultimo anno di pena agli arresti domiciliari. Un testo ora all’esame della commissione Giustizia della Camera, che dall’Egitto, dove è in visita istituzionale, il ministro dall’Interno ha bollato così: “Abbiamo una valutazione negativa del ddl, perché sarebbe peggio di un indulto, in quanto i suoi effetti varrebbero sempre. Non siamo in grado di controllare le circa 10 mila persone che ora, se fosse approvato il testo, andrebbero ai domiciliari. La metà è costituita da stranieri e molti sono clandestini, senza casa: dove dovrebbero scontare i domiciliari?”.

Non solo. “Controllare così tante di persone - ha aggiunto Maroni - sarebbe possibile solo con una tecnologia sul modello del braccialetto elettronico, che peraltro non dà sufficienti garanzie”. Un no senza appello, quindi. Per il disappunto di Alfano, fautore del testo sulla “Messa alla prova”, che dovrebbe ridurre il sovraffollamento delle carceri. Obiettivo rivendicato dal ministro della Giustizia, che ha subito risposto: “Il governo non vuole nuovi indulti o amnistia, tanto che intende realizzare oltre 21.000 nuovi posti dalle carceri e assumere 2000 nuovi agenti di polizia penitenziaria grazie a stanziamenti per 600 milioni”. Poi, una precisazione sul ddl: “Il testo, approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, esclude la concessione dei domiciliari a chi non abbia un domicilio effettivo o idoneo”. Venerdì Alfano riferirà al Cdm sulla situazione nelle carceri. Esplosiva, come ammette lo stesso ministro.

I numeri parlano di 67.432 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 43.327 posti, e di una soglia tollerabile di 64.111.

“Siamo all’emergenza” conferma Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che si batte per i diritti dei carcerati. Duro con Maroni: “Il suo no al ddl è grave e irresponsabile: ci sono 25mila persone che non hanno un letto dove dormire. Il Pdl vada avanti e cerchi un sostegno da Pd, Idv e Udc”.

Concorde il Sappe, sindacato degli agenti di polizia penitenziaria: “Il ddl non è un indulto, ma un modo diverso di scontare la pena. Quanto ai braccialetti elettronici, è stato proprio Maroni a dichiararsi contrario al loro utilizzo: eppure lo Stato spende 110 milioni per i braccialetti, come prevede un contratto di dieci anni con Telecom”. In una stanza del Viminale ce ne sono 400: inutilizzati. A noleggiarli da Telecom, nel febbraio 2001, fu il governo Amato. Il ddl di Alfano vorrebbe riprovare i braccialetti, utilizzati da anni in tanti paesi europei. Ma il no leghista è un macigno. Inaccettabile per i Radicali, che propongono un giorno di digiuno per sollecitare la rapida approvazione del disegno di legge. Di avviso opposto Massimo Donadi (Idv): “Il ddl è un indulto mascherato, che svela il lassimo del governo sulla sicurezza”. Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione Giustizia, sibila: “Le frasi di Maroni dimostrano che il governo è spaccato sulla giustizia e sulla sicurezza, e che il provvedimento sul carcere domiciliare è solo un grande bluff”. Ferranti e il finiano Nino Lo Presti hanno chiesto che Maroni venga ascoltato dalla commissione. Presieduta da un’altra finiana di ferro, Giulia Bongiorno, che dosa le parole: “Sul testo sono emerse criticità di cui dobbiamo farci carico. Sentire i due ministri? Nessuna audizione è accettabile in sede referente, ma avevamo chiesto a entrambi di partecipare ai lavori”. Martedì prossimo, su richiesta di Lo Presti, la commissione ascolterà il dg e il responsabile sicurezza della Telecom per “chiarimenti” sull’efficacia dei braccialetti elettronici. Ma il nodo è un altro. “Questo è un problema politico, e a decidere dovrebbe essere Silvio Berlusconi” sintetizza il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso.

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