di Marco Travaglio
Ci vuole tanta pazienza, col Pompiere della Sera. Domenica auspicavamo che l’improvvisa aggressività usata contro Di Pietro dal quotidiano più conformista d’Italia segnasse una svolta e l’articolo “Ambiguità e silenzi di Di Pietro” inaugurasse una saga a puntate (“Ambiguità e silenzi di Berlusconi”, “di Casini”, “di Bossi”, “di Bersani”, “di D’Alema” e, perché no, “di Schifani”). Invece no: siamo fermi alla prima puntata. Almeno per i politici.
Perché, sommerso dalle repliche e dalle carte di Di Pietro, il Pompiere incendiario ha deciso di aprire un altro fronte, appiccando il fuoco all’opera di un intellettuale che ha il brutto vizio di opporsi al regime berlusconiano: Andrea Camilleri. Si cura di lui e del suo commissario Montalbano, anch’egli inguaribilmente antiberlusconiano, il professor Angelo Panebianco.
Due settimane fa, nel supplemento Sette, il noto intellettuale bolognese scriveva: “Vuoi vedere che Montalbano è un ‘colluso’?”. Colluso con la mafia, s’intende, perché in una puntata della serie tv “intrattiene rapporti telefonici con un vecchio capomafia… e, addirittura, ferma una guerra di mafia convocando i capi cosca in una località segreta e obbligandoli a stipulare un accordo. Non ce n’è abbastanza per attirarsi addosso un ‘concorso esterno in associazione mafiosa’, quel famoso reato che non esiste in nessun codice… e che è stato tuttavia alla base di tutti i processi per mafia a personaggi eccellenti (Andreotti, Contrada, Dell’Utri e altri)?… Montalbano (o Contrada?), quando si muove nelle questioni di mafia, opera anche lui, inevitabilmente, in una zona grigia dove il confine fra legalità e illegalità è sempre incerto”, ma ciò che conta sono “le intenzioni onestissime”.
Dieci righe, un’infinità di vaccate. Andreotti non fu imputato di concorso esterno, ma di partecipazione diretta a Cosa Nostra. Il concorso esterno esiste eccome, nel Codice: come il concorso in omicidio, in rapina, in occultamento di cadavere e così via. L’applicazione del reato concorsuale risale addirittura a metà Ottocento per il concorso esterno in brigantaggio da parte dei non briganti che si mettevano al servizio dei briganti. A definirla per la mafia provvidero Falcone e Borsellino nella celebre ordinanza-sentenza del processo maxi-ter e la confermarono numerose sentenze della Cassazione a sezioni unite.
Montalbano che incontra un vecchio boss e lo induce a fermare una guerra di mafia è roba da concorso esterno? Assolutamente no. Non basta incontrare mafiosi per essere incriminati per quel reato (altrimenti il Parlamento e il governo sarebbero semideserti). Intanto il vecchio boss era a casa sua e non doveva scontare nessuna pena. E poi il concorso esterno scatta quando un esterno alla mafia si mette permanentemente a disposizione della mafia, favorendola e venendone favorito.
Dell’Utri è accusato di aver messo prima il Berlusconi imprenditore e poi finanziere nelle mani di Cosa Nostra, ricevendo in cambio favori e potere. Contrada è stato condannato perché avvertiva i mafiosi latitanti dei blitz della polizia (di cui lui stesso faceva parte) e li faceva fuggire, assicurando loro l’impunità in cambio di favori e potere. Altro che intenzioni onestissime.
Queste cose Panebianco, poco esperto in diritto penale (come in tutto il resto dello scibile umano), non le sa. E si adonta perché Camilleri gli risponde per le rime sull’Unità intervistato da Saverio Lodato (che Panebianco chiama “un tal Lodato”, non sapendo ovviamente che Lodato ha scritto per Rizzoli la più completa storia della mafia): Camilleri è un “giustizialista” e quindi “insulta”, “non è un vero signore”, anzi è “cupo, arrogante”, “troppo preso da sé per entrare in sintonia con gli altri” (non lo sfiora l’idea che uno non voglia entrare in sintonia con un tal Panebianco). Tante parole inutili per nascondere che, dietro l’attacco a Camilleri e Montalbano, è partita la campagna per riabilitare Contrada e far assolvere Dell’Utri. Poveretto, come s’offre.
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