venerdì 4 giugno 2010

QUELLE PAROLE NON DETTE


Armando Spataro ricorda Giovanni Falcone

Che impressione fa a un magistrato di appena 29 anni esordire come pm nel processo contro il nucleo storico delle Brigate Rosse, Renato Curcio in testa? È praticamente cominciata così la carriera di Armando Spataro, procuratore aggiunto di Milano, da 35 anni in trincea, tra delitti a sfondo politico o di criminalità comune, tra mafia e terrorismi di tutti i tipi, anche quelli di matrice islamica. Un magistrato che ha deciso di raccontarsi, inserendo qua e là episodi inediti della sua vita professionale nel libro “Ne valeva la pena”, poco più di 600 pagine, Laterza Editore, in uscita oggi. “Ne valeva la pena” è un viaggio che accompagna il lettore lungo un percorso accidentato di morti, di stragi, di denunce, intervallato, tra un capitolo e l’altro, dalla vicenda che ha dato a Spataro la maggiore visibilità internazionale: il rapimento dell’imam egiziano Abu Omar, al centro di scottanti polemiche per i cosiddetti conflitti tra poteri sul segreto di Stato, sollevati sia dal governo Prodi sia dal governo Berlusconi davanti alla Corte costituzionale. Tutt’intorno, una carrellata in mezzo a interrogativi e misteri che hanno accompagnato la vita dell’Italia per decenni: l’omicidio del giornalista Walter Tobagi; l’assassinio del gioielliere Pierluigi Torregiani; alcuni aspetti del caso Moro; gli arresti dei brigatisti Mario Moretti e Sergio Segio. Infine, le relazioni di Spataro con i suoi colleghi magistrati. Il Fatto Quotidiano ha scelto il capitolo dedicato ai rapporti con Giovanni Falcone. (Leo Sisti)

di Armando Spataro

Alla vigilia del varo della Direzione nazionale antimafia… altre discussioni divisero noi magistrati: riguardavano Giovanni Falcone... Siamo stati molto vicini tra il 1988 e il 23 maggio del 1992: abbiamo insieme partecipato alla fondazione del Movimento per la Giustizia… Il gruppo era nato nell’88 e l’evento che ne aveva determinato la fondazione era stata proprio la mancata nomina di Giovanni a capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Solo pochi componenti del Csm avevano tentato invano, in quella occasione, di evitare che logiche ottusamente formalistiche, quando non di mero potere, prevalessero sulla necessità di potenziare l’efficacia dell’azione giurisdizionale in terra di mafia. Quell’episodio, che richiamava i temi della professionalità e della questione morale insieme, risvegliò l’impegno associativo di decine di magistrati, fino a quel momento apprezzati soprattutto per le loro qualità professionali… Nacque così il Movimento per la Giustizia.

LE DELUSIONI Nel 1990 Falcone ebbe la prima delusione: si presentò candidato alle elezioni per il rinnovo del Csm ma non fu eletto… Anche la parte di magistratura che rappresentavamo dimostrò in tal modo la falsità dell’assunto secondo cui chi si impegna strenuamente nel settore dell’antimafia, acquistando notorietà e però rischiando la pelle, diventa per ciò solo popolare e amato da tutti e fa più facilmente carriera. Lo aveva teorizzato, come si sa, Leonardo Sciascia…. Fu probabilmente più forte un’altra successiva sua delusione e anch’io, in questo caso, contribuii alla sua amarezza: non approvavamo il fatto che egli avesse assunto nel marzo del 1991 il ruolo di direttore generale degli Affari penali offertogli dal ministro della Giustizia ad interim Claudio Martelli. Credevamo alla sua volontà di dimostrare con i fatti quanto infondato fosse il nostro timore di vederlo ingabbiato e trasformato in testimonial inconsapevole del governo. Ciononostante, avremmo preferito che non avesse accettato quell’incarico: gli scrissi una lunga lettera per spiegare le mie forti perplessità e lui mi rispose mostrandomi amicizia e comprensione. Era come se mi avesse detto: “...Capisco i vostri timori, ma io sarò più forte di loro... e sarò più utile al paese ed alla magistratura lavorando al ministero piuttosto che ingabbiato a Palermo”…. Elaborò, mentre era al ministero, il progetto di costituzione della Direzione nazionale antimafia e patì anche qualche critica per la sua originaria impostazione: il 28 ottobre del 1991 una sessantina di magistrati (tra cui io stesso) sottoscrisse un documento contenente le critiche e le preoccupazioni di cui ho già detto. Qualcuno ancora oggi, spero senza ricordare o voler capire, considera quell’appello un subdolo attacco a Giovanni. Per smentire questa tesi, basta citare tra le tante firme sotto quel testo quelle di Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto e Gian Carlo Caselli.

LA CANDIDATURA Ma altre critiche, più personali, gli piovvero addosso quando, approvata la legge istitutiva, si candidò alla carica di procuratore nazionale antimafia: in molti, anche all’interno della nostra corrente, pensavamo che per Giovanni fosse inopportuno proporre domanda per quella carica dopo essere stato l’artefice della legge con cui essa era stata istituita. Io stesso gli scrissi l’8 febbraio del 1992 un’altra lettera di cui conservo copia: gli esprimevo con franchezza le mie riserve pur confermandogli amicizia e stima. Giustamente, Vladimiro Zagrebelsky ancora oggi ricorda l’assurdità di quei dubbi diffusi : chi, se non Giovanni Falcone, poteva essere in quel momento il procuratore nazionale antimafia? Ma prima che il Csm nominasse il procuratore nazionale, Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, con Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, furono trucidati dalla mafia…

Ho il rimpianto di non avere ulteriormente chiarito con Giovanni che le mie personali perplessità sul suo trasferimento al ministero di Martelli e sulla sua candidatura alla Dna non avevano intaccato neppure in minima parte la mia immensa stima e l’amicizia per lui. Un rimpianto acuito dalla lettura di alcune pagine di un libro di Francesco La Licata, ove l’autore rammenta l’amarezza con cui Falcone gli parlò della lettera che gli avevo scritto e della incomprensione delle sue ragioni da parte di molti tra i suoi amici. All’epoca, invece, ero certo che Giovanni avesse ben colto la natura dei nostri dubbi e che la diversità di vedute sulla sua possibile nomina a procuratore nazionale antimafia non avesse in alcun modo intaccato la ricchezza del nostro rapporto personale.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

RICORDO ARMANDO SPATARO QUANDO VENIVA AD ALESSANDRIA, ALLA CASA PENALE CHE IO DIRIGEVO, GIOVANE P.M.
SEMPRE ALLEGRO E ESTROVERSO.
QUANTO RACCONTA OGGI MI SEMBRANO LACRIME DI COCCODRILLO POSTUME. BASTAVA AVERE UN PO' PIU' DI FIDUCIA E CAPIRE L'ANIMUS SICILIANO DI GIOVANNI FALCONE PER NON DUBITARE SIA DELLA SUA CORRETTEZZA PROFESSIONALE CHE DELLA LEVATURA DI GRAN LUNGA SUPERIORE A TUTTI QUEI MAGISTRATI CITATI, NON ESCLUSO PAOLO BORSELLINO. UCCIDENDO GIOVANNI FALCONE E' STATA ELIMINATA UNA STRAORDINARIA E TEMUTISSIMA INTELLIGENZA. ORA E' TARDI PER I RIMPIANTI.