di Claudio Rizza
«Lodevoli intenzioni», le definisce Gianfranco Fini, «che meritano la nostra attenzione». Ed è forse la prima volta che lui e i finiani non usano malizia e ironia, quando non la clava. Timido segno di tregua, visto che anche Berlusconi ha preso timide distanze dagli attacchi mediatici all’ex cofondatore. Un’apertura che comunque presuppone la volontà di dialogare, di aprire un confronto e non di passare sotto le forche caudine di un «prendere o lasciare».
Fini lo fa capire chiaramente, dice ai suoi che vuole vedere «cosa c’è dentro le scatole», le intenzioni sono buone ma bisogna anche «controllare cosa c’è dentro i singoli disegni di legge». Molte cose le condivide già: «Avevo auspicato in particolare azioni sul fisco e sul Sud». E dunque il presidente della Camera apre una linea di credito e chiude la porta alle elezioni anticipate, snobbando la minaccia che in modo tambureggiante viene brandita dal premier, dai suoi e dalla Lega di Bossi. Se c’è intesa sul programma a che serve minacciare le elezioni? Non hanno forse i finiani detto dal primo momento che volevano mantenere gli impegni presi con gli elettori e che avrebbero votato la fiducia al governo, togliendo ogni alibi ai falchi berlusconiani?
La linea viene confermata da Italo Bocchino, l’uomo che doveva essere cacciato dal Pdl, che con Granata e Briguglio, era stato spedito davanti all’inquisizione dei probiviri. E’ proprio lo “sfascista” Bocchino che ha il compito di rammendare: «Il documento varato dal vertice del Pdl è condivisibile al 95%. Alcuni punti sono addirittura lapalissiani, la fiducia sembra scontata». «Tutto il gran parlare che si è fatto di elezioni risulta ingiustificato: andremo avanti tranquilli per tutta la legislatura». E poi ancora: «Siamo molto soddisfatti per quanto riguarda i punti relativi alla sicurezza e all’immigrazione, mentre anche i capitoli relativi al Federalismo fiscale, alla riduzione della pressione fiscale e alla giustizia sono soddisfacenti». I problemucci, casomai, sorgono sulla giustizia, ma anche qui l’apertura di credito e la voglia di non dare appigli è lampante: «Certo il processo breve non era nel vincolo con gli elettori e di maggioranza, ma se il presidente del Consiglio lo chiede lo discuteremo nel merito senza preclusioni».
Comunque, Bocchino lo ricorda, molti dei punti indicati da Berlusconi nel documento rispondono a quanto aveva chiesto Fini nella direzione nazionale del 22 aprile e nell’intervista a Giuliano Ferrara prima dell’Ufficio di presidenza del Pdl che aveva portato alla rottura. Un modo per ricordare alla controparte che le aperture il presidente della Camera le aveva fatte da tempo e che invece s’è trovato di fronte una sordità ostile, condita dagli attacchi personali condotti dai giornali del premier. Che ha frenato in conferenza stampa, alludendo alle accuse sulla casa a Montecarlo: «Posso assicurare che non ci sono mai state da parte mia o dei miei collaboratori delle incentivazioni rispetto a questa campagna. Noi ci siamo sempre dispiaciuti quando si passa da un’attività politica normale a un’attività politica che conosce scandali o campagne giornalistiche che portano dei turbamenti». Un buon segnale, dopo tanti silenzi.
Il gruppo del Fli «è unito» e vuole continuare a sostenere in Parlamento l’azione del governo Berlusconi «perchè pensiamo che ci sia la maggioranza e soprattutto pensiamo che sia dovere realizzare le riforme, non certo le elezioni», insiste il vice ministro allo sviluppo economico Adolfo Urso. La presa di distanza dalle contumelie di Farefuturo a Berlusconi, è confermata e segnala, anch’essa, la voglia di smussare le asprezze e di tornare ad una dialettica educata. In coda comunque rispunta l’orgoglio dei combattenti. Bocchino: «Nessuna sorpresa, e’ un documento lapalissiano perche’ chiede cose che sono in gran parte gia’ nel programma del Pdl. Rimane aperta solo la questione del processo breve. E’ una vittoria di Fini». E Briguglio: «La montagna ha partorito un topolino».
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