Come nelle previsioni, l'Aula della Camera ha respinto la mozione di sfiducia presentata dall'Idv al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo. I voti contrari, quelli cioè a sostegno dell'esponente del governo, sono stati 299; quelli favorevoli alla sfiducia, invece, 229. Va però registrata la presenza di 75 astensioni, quelle di finiani, Udc, Mpa e Api. Questi voti, aggiunti a quelli pro-dimissioni dati da Pd e Idv, portano ad un totale di 304 voti quanto meno non favorevoli al sottosegretario. Ovvero la maggioranza assoluta. Ed è questo il dato politico più significativo attorno a cui da alcuni giorni ruota il dibattito tra maggioranza e opposizione e all'interno dello stesso centrodestra. Le astensioni sono state in ogni caso meno delle 84 potenziali conteggiate alla vigilia. Resta ora da vedere se la presa di distanza dei finiani (Della Vedova, intervenuto in aula, ha precisato che il gruppo continua a far parte della maggioranza che pertanto «resta solida»), al di là dell'esito scontato della mozione, possa dare luogo a irrigidimenti che inducano il Pdl a un atto di forza che porti, Quirinale permettendo, a nuove elezioni entro l'autunno. Un'ipotesi, questa, prospettata anche dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nell'intervista al Corriere. Umberto Bossi, a caldo subito dopo il voto alla Camera, ha però frenato: «È il segnale che resistiamo, adesso non si va al voto». In ogni caso, ha aggiunto il Senatùr, «
L'INTERVENTO DI ALFANO - «Sui principi non ci si astiene. Ci si astiene sulle leggi, ci si astiene sui provvedimenti, ma non sui principi». Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si era rivolto indirettamente ai finiani, senza mai citarli, riallacciandosi alle parole di Silvio Berlusconi nel suo intervento alla Camera sulla mozione di sfiducia nei confronti sottosegretario Giacomo Caliendo, coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta loggia «P3». Un'inchiesta che per il Guardasigilli altro non sarebbe che una «costruzione di taluni pm e di una certa sinistra che accusa in base a quella costruzione». Alfano ha ribadito la linea garantista del governo e ha ammonito quanti invocano le dimissioni come atto dovuto in presenza anche solo di un'iscrizione nel registro degli indagati: «E' una posizione pericolosa e che rischia in futuro di ritorcersi anche contro chi oggi la sostiene. Il voto sulla mozione resterà nel curriculum e ciascuno si troverà prima o poi a fare i conti con la mozione presentata e il voto espresso. Noi potremmo fare riferimento al passato, ma non lo facciamo, potremmo fare riferimento ai tanti casi in cui uomini delle istituzioni sono stati iscritti nel registro delle indagini e poi prosciolti». E ancora: «Deve invece valere il principio che per tutti i cittadini italiani, anche i membri del governo, debba valere la presunzione di innocenza. Noi difendiamo Caliendo e con esso difendiamo un principio e un valore».
«RAPINATORI E PALI» - Anche Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, si è rivolto ai finiani esprimendo però il concetto opposto a quello del ministro Alfano: «Sulla questione morale - ha detto - non ci si può astenere, o si sta di qua o si sta di là. Con l'astensione si dimostra solo di essere pavidi e che si ha paura di affrontare le elezioni per paura di perdere la poltrona». L'ex pm, che nel suo intervento ha parlato di Caliendo come di «anello di congiunzione» tra la vecchia P2 (il nome dell'allora membro del Csm era presente negli atti della commissione Anselmi) e la nuova P3 assieme a Flavio Carboni, ha rilevato che anche il non voto «è un modo immorale di fare politica» perché «sono ugualmente responsabili sia quelli che fanno la rapina, sia quelli che fanno il palo. E in questo parlamento ci sono tanti 'uomini palo». Nel suo intervento, Di Pietro si è rivolto anche al premier Berlusconi: «Le chiediamo di fare le valigie al più presto. Lei signor presidente sta abusando della pazienza del paese. Lei, novello Nerone, se ne sta lì a suonare l'arpa attorniato dalle sue ancelle prezzolate, mentre il paese brucia».
«SOSPENDERE LE DELEGHE» - Benedetto Della Vedova, intervenuto a nome di Futuro e Libertà, non ha replicato alle parole di Di Pietro ma ha ribadito la volontà del suo gruppo di astenersi. «Non sussistono presupposti per chiedere le dimissioni di Caliendo - ha detto - , ma non può essere giudicato irrilevante che il sottosegretario alla Giustizia sia sotto inchiesta. Forse la cosa migliore sarebbe la sospensione delle sue deleghe». «Siamo garantisti senza se e senza ma - ha detto ancora l'ex esponente pdl -. Lo siamo per quelle migliaia di persone in carcere in condizioni incivili in attesa di un processo. E lo siamo anche per i politici che di fronte a indagini non sono più o meno innocenti dei comuni cittadini. Il perimetro responsabilità penale non coincide con responsabilità politica. Nessun politico può essere difeso a prescindere solo perchè indagato. La presunzione di innocenza non è impunità politica. L'avviso di garanzia non deve far scattare la tagliola, ma è un errore pensare che un politico debba necessariamente aspettare la condanna giudiziaria». Sulla stessa linea dell'astensione, il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini: «Chi rappresenta il governo del paese dovrebbe astenersi dal frequentare gente discutibile, piccoli o grandi intrallazzatori, pluricondannati bancarottieri». Lo dice il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, che sottolinea che l'Udc «rifiuta il giustizialismo come metodo di lotta politica» e ricorda «che i più grandi moralisti hanno una vocazione intemerata alla immoralità, come sa bene l'onorevole Di Pietro». Casini dice a proposito della figura di Giacomo Caliendo: «Non ravvisiamo un quadro di responsabilità sufficienti ad impegnare il parlamento nella richiesta di ritiro della sua delega. Lasciamo questa responsabilità al governo. Noi non decapitiamo gli uomini per una manciata di voti in più».
«ATTO CONTRO IL GOVERNO» - In difesa di Caliendo
«DEMOLITO IL SENSO DI RIGORE» - «È grave che il ministro della Giustizia sia venuto in Parlamento ad esprimere un giudizio sulle indagini, non si era mai visto» ha invece esordito commentato Dario Franceschini, capogruppo del Pd. «È possibile - si chiede poi l'ex segretario democratico affrontando il tema della mozione di sfiducia - che non si dimetta un sottosegretario che è stato a una cena dove si discuteva per fare pressioni sulla Corte Costituzionale per far passare il lodo Alfano? È possibile che non si dimetta uno indagato per la violazione della legge Anselmi?». «In un paese normale - ha aggiunto -, in un caso così ci si dimette subito. Guardate i paesi normali dove ci sono paesi conservatori normali. Voi avete demolito il senso di rigore, il rispetto dell'etica pubblica che una classe dirigente deve avere. Il sistema esce allo scoperto: non importano i cognomi che si portano, quello che emerge è un sistema malato basato sulla confusione tra politica e affari, sul senso di impunità, basato sul senso di onnipotenza, dove non esistono reati, non esistono processi per chi ha vinto le elezioni. Non solo per il premier, adesso anche per tutti quelli che gli stanno vicino». Per Franceschini «la maggioranza uscita dalle elezioni non c'è più, c'è quella residuale». Il premier, secondo il capogruppo del Pd, ha la facoltà di dare le dimissioni, «ma quando uscirà di scena un minuto dopo la parola passerà al capo dello Stato e al Parlamento. E noi ci impegneremmo a cambiare la legge elettorale perchè sarebbe folle votare con questa legge elettorale che voi stessi avete definito una porcata».
«CALIENDO E' INNOCENTE» - «Non vi daremo la testa dell'on Caliendo perché è innocente» ha infine detto il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto. «Siamo qui per un rito tribale, che prevede un sacrificio umano al giustizialismo, che ha sostituito altri miti fortunatamente finiti nell'89 - ha detto ancora Cicchitto -. Oggi la vittima sacrificale è il sottosegretario Caliendo, colpevole di che? Di niente. Perchè ha organizzato convegni, è andato a casa Verdini, ha incrociato due volte Carboni, che però non aveva la figura di criminale quando faceva affari con Caracciolo».
Al. S.
04 agosto 2010
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