IL COLLE VEDE UN CONFLITTO DI INTERESSI SOSTANZIALE
di Stefano Feltri
Con la crisi del Pdl (e del governo), le tensioni tra Palazzo Chigi e il Quirinale sulla nomina del nuovo ministro dello Sviluppo economico sono passate in secondo piano. Ci pensa il Corriere della Sera, con un editoriale di prima pagina di Dario di Vico, a ricordare che “sono 90 giorni che Silvio Berlusconi ha l’interim del ministero, in meno tempo Jules Verne sosteneva si potesse girare il mondo”. È chiaro il messaggio del giornale che più di tutti ha raccontato le difficoltà delle piccole imprese e la loro richieste alla politica: l’incapacità di trovare un “mister Industria” indica che il governo non capisce la gravità del momento per il sistema produttivo. E il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, approfittando delle dimissioni di Claudio Scajola, ha imposto la dieta anche al ministero dello Sviluppo (molte consulenze e incentivi sono saltati assieme alla poltrona di Scajola).
LEGGE FRATTINI. Il 23 luglio il capo dello Stato Giorgio Napolitano ammoniva: serve subito un ministro dello Sviluppo e un presidente della Consob. Replica del governo: li nominiamo la prossima settimana. Invece niente. Dopo il rifiuto di Emma Marcegaglia (Confindustria) e di altri imprenditori, l’unico candidato rimasto per sostituire Scajola è Paolo Romani, attuale vice-ministro dello Sviluppo con delega alle Comunicazioni. Ed è su questo nome che si sta consumando una guerra di logoramento tra Quirinale e Palazzo Chigi. Il capo dello Stato, cui spetta la nomina dei ministri su proposta del presidente del Consiglio, si oppone a Romani con la motivazione che ci sarebbero conflitti di interesse (il Colle dice che Romani è impegnato nel settore dell’editoria). Napolitano aveva fatto capire che il problema era il rispetto della legge Frattini del 2004 (sul conflitto di interessi). Secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, però, Romani ha adempiuto a quel che prevede la legge, cioè ha presentato all’autorità Anti-trust tutta la documentazione richiesta, in particolare quella riguardante le sue partecipazioni in aziende che potrebbero implicare l’incompatibilità. L’unica sensibile è quella nell’emittente Lombardia7 Tv (dove ha lavorato in passato, dopo esperienze in altre televisioni private), ma è poco rilevante perché la società è in liquidazione. A questo si aggiunte che il conflitto di Romani sarebbe sui dossier relativi alla comunicazione, cioè proprio quelli per i quali ha la delega adesso. Se per il Colle Romani non può occuparsi di tv, frequenze del digitale e Rai, perché è viceministro delle Comunicazioni? Dal punto di vista del Quirinale la questione si spiega così: il capo dello Stato si preoccupa dei ministri, di sua nomina, non dei sottoposti a cui questi assegnano le deleghe. Se c’è un viceministro inadeguato, il problema è del ministro. Se c’è un ministro inadeguato, il problema è del Colle.
QUESTIONE POLITICA. Ma la questione è delicata. Perché Napolitano può bocciare proposte di ministri giudicati non degni della carica sulla base di dati concreti – come fece Oscar Luigi Scalfaro con Cesare Previti – ma non interferisce nel merito delle decisioni politiche del governo. E finora, l’unico elemento preciso contestato dal Quirinale è il conflitto di interessi di Romani (che però non c’è, sulla base della documentazione in mano all’Antitrust, ed è sicuramente minore di quello di Berlusconi, attuale ministro a interim).
La vera ragione del veto, quindi, sembra essere tutta politica: il capo dello Stato non considera un berlusconiano di ferro così vicino al mondo Fininvest come Romani l’uomo adatto per gestire questioni delicate come la transizione alla tv digitale, il nucleare, i tavoli di crisi industriale e il rapporto con
Nessun commento:
Posta un commento