CARMELO LOPAPA
La quiete dopo la tempesta porta su Palazzo Grazioli una nuvola carica di dubbi. Il presidente del Consiglio Berlusconi, rimasto a Roma, va a incontrare l'amico e sodale di sempre Cesare Previsti, pranza con lui, poi riceve in via del Plebiscito Francesco Storace. Sente altri collaboratori e ministri nel corso della giornata e a tutti inizia a esternare le perplessità delle ultime ore. Si fa strada il sospetto che l'accelerazione impressa alla crisi forse non porterà subito laddove il capo del governo spererebbe, cioè al voto. "Forse abbiamo sbagliato i tempi" avrebbe confessato a più di un interlocutore. "Se sbagliamo, rischiamo di trovarci un altro governo Dini".
Uscito dopo due ore dalla casa romana di Previti a Piazza Farnese, il premier si limita a qualche battuta coi cronisti: "Non mi strapperete neanche una parola. Quello che succederà me lo direte voi. Io leggo i giornali e mi adeguo alla realtà che raccontate". Poi, "voi andate in vacanza, beati voi... Io andrò qualche giorno ad Arcore per riposarmi". Vacanze di lavoro, come va ripetendo. Parvenza di serenità che nasconde i timori suoi e dell'entourage. "Berlusconi non ha bisogno di consigli, sa sbagliare da solo. Ci sono grandi difficoltà - confessa Marcello Dell'Utri a Radio 24 - Il respiro del governo si è fatto affannoso, c'è dell'asma. Ma non credo si andrà a votare a breve come auspica il premier".
Già, perché il capo del governo si sta convincendo che la formazione di una nuova maggioranza in Parlamento, comunque in grado di sostenere un governo di transizione, non sia un'ipotesi del tutto peregrina. Calderoli dalle file del Carroccio continua a dire "no a esecutivi Frankenstein, meglio il voto". Ma a Berlusconi hanno spiegato che nel Pdl sarà facile reperire venti deputati e venti senatori pressoché certi di non essere ricandidati o di non essere eletti. A quel punto il gioco dei terzopolisti sarebbe fatto. Raccontano che la lettura dell'intervista a Repubblica di Giuseppe Pisanu ("Mi opporrò alle elezioni, in Parlamento tantissimi contrari") abbia contribuito a frenare gli ultimi slanci del presidente del Consiglio sul ritorno alle urne. E così le dichiarazioni dell'ormai ex pdl Chiara Moroni.
Anche l'exit strategy individuata dalle colombe del partito, un mini programma in quattro punti su giustizia, federalismo, fisco e Mezzogiorno sul quale apporre la fiducia e stanare i finiani, non è che lo abbia convinto più di tanto. Il premier Berlusconi è scettico. Teme soprattutto di ritrovarsi in un vicolo cieco, qualora i 33 deputati e i 10 senatori vicini al presidente della Camera votassero quel pacchetto, per poi ricominciare la guerriglia in aula. Tanto più che il capogruppo alla Camera Italo Bocchino ha già fatto sapere che quel patto loro lo accettano, "detto questo, però, i punti vanno tradotti in leggi e su quelle poi staremo attenti". Anche il prossimo capogruppo al Senato di "Futuro e libertà", Pasquale Viespoli, conferma che loro sono "pronti ad aprire il confronto".
Il clima nel dopo strappo dunque è tutt'altro che sereno, nel Pdl. Anche per il braccio di ferro in corso tra falchi e colombe. Alla prima categoria sono iscritti gli ex colonnelli di An e forzisti di peso quale Cicchitto. Sull'altro fronte, Gianni Letta, i ministri Frattini e Gelmini, tra gli altri. I primi lavorano per una rottura e per il voto in autunno. Un errore, al contrario, secondo le colombe che continuano a lavorare di diplomazia: per il voto a novembre non ci sarebbero i tempi tecnici, è la loro tesi. Calendario alla mano, con le Camere che riprendono a lavorare di fatto a metà settembre, Berlusconi dovrebbe aprire una crisi e ottenere lo scioglimento dal Colle entro i primi di ottobre. Meglio trattare con Fini - è dunque il suggerimento di Frattini, Gelmini e dei moderati - e stipulare magari una federazione con Fli, qualora accetti il piano in quattro punti: per vincolare loro e blindare il premier fino al termine della legislatura.
Ma a vacillare nel Pdl è anche il coordinamento. Nell'ultimo vertice di giovedì, Berlusconi ha illustrato i risultati degli ultimi focus dai quali emergerebbe come i giovani elettori pdl siano attratti da Fini. Da qui la necessità di "cambiare l'immagine del partito", ha rimarcato, ipotizzando Gelmini, Alfano e Meloni al coordinamento.
(06 agosto 2010)
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