A Firenze il Congresso di Sel senza Bersani e Di Pietro
di Luca Telese
“Non vogliamo più ‘perdere bene’. Mai più…”. Firenze: un teatro tenda, il “Saschall” strapieno. Un allestimento sobrio ma coloratissimo. Ovunque i nuovi mantra del vendolismo. Ad esempio la mostra tematica sulle energie rinnovabili. Oppure le felpe rosse Fiom esibite dai delegati più giovani come un capo d’altra moda. E poi i dettagli, come il gadget con il micro-pannello solare (tre centimetri) che funziona da torcia, a forma di portachiavi. Quanta differenza fra il primo congresso di Sinistra e libertà, spartano e resistenziale, con il logo della 500 rossa d’epoca, l’utilitaria che doveva ripartire dopo la catastrofe del mancato quorum alle Politiche. Adesso, invece, Nichi Vendola può salire sul palco e dire scherzando “Sapete compagni, andiamo un po’ di moda…”, come se fosse quello il rischio da cui difendersi per evitare ogni ubriacatura e l’arrivo dei trasformisti in cerca di elezione facile. Oggi i sondaggi oscillano fra il 5 e il 6%, il leader di Sel è lanciato verso le primarie che ha testardamente chiesto e voluto e allora tutto cambia. I lavori si aprono con un discorso di due ore che parte dalla storia del Novecento per arrivare al tempo della globalizzazione. Un discorso apparentemente cosmopolita e lontano dalle beghe della politica di ogni giorno, in cui tutti gli applausi arrivano senza che ci sia una sola invettiva contro “il nemico”. Un discorso che parla agli iscritti di Sinistra e libertà, dentro il teatro, ma anche – fuori dalla sala – agli elettori del Pd, partito verso cui non c’è una sola battuta polemica. Se vuoi capire quanto è cambiato questo Vendola, rispetto al giovane ribelle che nel 1989 era il più giovane dei padri di Rifondazione, devi sentire il suo slogan di oggi: “L’obiettivo non può essere più perdere bene. Noi vogliamo e dobbiamo vincere bene!”.
IL RAPPORTO tra il passato e il futuro è il centro di tutto l’intervento. Il passato non può essere, spiega Vendola, “il luogo di una immensa nostalgia”. Però è il luogo dove la sinistra ha trovato la sua identità e costruito il rapporto tra il lavoro e i diritti: “Nel Novecento – spiega Vendola – è maturata una domanda di libertà che per la prima volta ha travalicato i confini di Casta”. Nel nuovo tempo, tornano in forma diversa problemi antichi: “Il più grande dei fondamentalismi – spiega – è la retorica della ‘guerra giusta’, che poi è diventata ‘guerra umanitaria’ e infine ‘guerra infinita’”. È qui che il leader di Sinistra e libertà si guadagna il primo grande applauso della mattina: “Ma come mai in Italia, quelli che vogliono fare le guerre in nome dei diritti umani, sono sempre gli stessi che poi i diritti li vogliono sospendere, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro!!?”. Vendola torna al respiro della storia lunga, spiegando che “l’uscita dallo stalinismo, e dalla sua pedagogia manipolatoria è stato uno dei momenti di libertà più belli della nostra vita”. E poi racconta della nuova America “dove cambia il modello delle relazioni internazionali, ma nasce lo stereotipo della violenza teppistica dei media conservatori contro ‘il comunista Obama’ perché prova ad introdurre rudimenti di welfare”.
Sembra una relazione neoclassica, nello stile del vecchio Pci. Prima si parte dal mondo, poi si arriva al paese e infine si passa ai compiti della sinistra. Quando Vendola parla all’Italia “la precarietà” diventa la chiave per raccontare il nuovo tempo “in cui è la crisi del turbocapitalismo che si mangia tutto”. E in cui
E QUI SI PASSA alla politica: “La sinistra – si chiede retoricamente Vendola – è davvero un impedimento a vincere? La sinistra è la missione di un paese, noi abbiamo bisogno di ricostruire un discorso sulla salvezza dell'Italia”. La salvezza dell’Italia, lemma che arriva da lontano, preso in prestito dall’arringa difensiva di Antonio Gramsci di fronte al tribunale speciale. Ma anche sul berlusconismo Vendola provoca la sinistra: “Berlusconi ha cominciato a vincere 20 anni prima con le sue tv; quando la scuola pubblica ha cominciato a perdere e la tv a vincere lì è nato il fenomeno, che non è un'anomalia ma l'autobiografia di una nazione”.
POI UN PASSAGGIO dedicato al Carroccio: “Per scalzare
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