UGO MAGRI
In giornata Berlusconi dovrebbe vedere Bossi a tu per tu, e questo loro colloquio non si annuncia giocoso come le vecchie cene di Arcore, tra canti e barzellette, peraltro esaurite da un pezzo. Stavolta ci sarà poco da ridere. Il Cavaliere è stretto nell’angolo, al «caso Ruby» si aggiunge adesso il filone palermitano, destinato a saldarsi con quello milanese magari nella persona di un pm che non fa sconti, Ilda Boccassini. Il portavoce Bonaiuti l’ha messo al corrente poco dopo la siesta pomeridiana, non appena sui siti web è filtrata qualche primizia. Escluso che l’umore del Capo ne abbia tratto giovamento. Consultazioni immediate con il team legale e con il ministro Brunetta, tirato in pista suo malgrado. Ma c’è di ben peggio in arrivo, a quanto pare. Ambienti berlusconiani sempre attendibili sono certi che i magistrati siciliani stiano per lanciare «ad horas» contro Palazzo Chigi l’«atomica» di nuove rivelazioni (vere o presunte) sulle stragi mafiose, da Falcone a Borsellino... Un assalto giudiziario mai visto, «siamo al regolamento di conti finale», è il commento che si raccoglie ai vertici Pdl, dove preparano una resistenza disperata. Dunque, il faccia-a-faccia con Bossi. Mai Berlusconi vi era arrivato così barcollante. Una spintarella del Senatùr, una sua mezza frase bofonchiata ai giornali, sarebbero sufficienti per stenderlo al tappeto. Basterebbe in particolare che la Lega prendesse in considerazione l’ipotesi di governi diversi, e tanti saluti a casa. Non pare che l’amico Umberto stia per giocargli un tiro del genere.
Qualche sospetto, in verità, era circolato a Roma, ma poi Maroni e ieri Calderoli con fin troppa veemenza hanno ribadito: se cade il governo, tutti alle urne, non esistono soluzioni «tecniche», anzi si tratterebbe di un vero e proprio golpe contro cui la Padania scenderebbe in piazza. A scanso di equivoci, per Berlusconi resta vitale farsi ribadire l’appoggio personalmente da Bossi, magari guardandosi reciprocamente negli occhi per capire ciascuno fino a quale limite può spingersi la lealtà dell’altro. La buona notizia di ieri, per Silvio si capisce, è che Fini non staccherà la spina al governo domenica da Perugia, nel discorso di lancio del suo nuovo partito. Siamo al solito gioco del cerino; il presidente della Camera non vuole essere quello che si scotta causando la crisi e, magari, le elezioni anticipate. L’altro ieri aveva lanciato il sasso facendo sapere che, casomai Berlusconi avesse fatto pressioni per Ruby sulla Questura, si sarebbe dovuto dimettere. Ieri Fini ha nascosto la mano; o meglio, ha fatto dire al super-fedele Bocchino che Futuro e libertà non intende abbattere il governo, semmai pungolarlo. Nel mezzo c’è stata un’astuta mossa del Pdl, una nota a firma di Cicchitto e Quagliariello dove si dice in sostanza: caro Gianfranco, Silvio non si dimetterà mai sua sponte; se proprio vuoi che cada, devi votargli tu contro con una mozione di sfiducia... Fini se ne guarda bene. «L’equilibrio politico per ora regge», è il commento soddisfatto di Quagliariello. Su tutto però incombe il macigno del «bunga-bunga» presidenziale. Berlusconi è inciampato a Napoli sul «caso Noemi», a Bari sulla D’Addario, a Milano su Ruby, e in attesa che da altre località si facciano avanti, saltano fuori dalla Sicilia altre sedicenti ospiti a Palazzo Grazioli o a Villa La Certosa di festini privati che a questo punto tanto privati non sono, poiché sollevano scandalo politico in Italia e all’estero, addirittura configurano un filone giudiziario dove si indaga per sfruttamento della prostituzione.
Col Cavaliere ancora nei panni dell’«utilizzatore finale» (celebre espressione dell’avvocato Ghedini). Ma la somma delle vicende tende a delineare, lo si ammette perfino nell’entourage berlusconiano, un problema di ordine pubblico. Le feste del Cavaliere configurano ormai un caso serio di ordine pubblico. Il «ventriloquo» berlusconiano più pugnace, Osvaldo Napoli, già mitraglia l’«asse tra Milano e Palermo», sinonimo di complotto giudiziario. Ma per quanto ancora può andare avanti così?
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