di Furio Colombo
Nel giro di poche ore, tra martedì 9 e mercoledì 10 novembre, ho incontrato tre ministri della Repubblica. Erano davanti a me, nel banco del governo.
Il primo, il ministro degli Esteri Frattini, ha tradotto dall’inglese un documento firmato da due emissari libici e da due commissari dell’Unione europea, falsificandolo. Ha tradotto tutti i verbi del testo come se fossero al presente, dunque fatto compiuto, invece di leggerli, come nel vero testo, al futuro, perché sono richieste e raccomandazioni pressanti da realizzarsi al più presto per la protezione degli immigrati. Il ministro ci ha detto che “improvvisava” la traduzione. Cambiando i verbi ha prodotto un falso. In modo contraffatto e improvvisato, rispondeva all’emendamento del deputato radicale Mecacci (firmato anche da me) che chiedeva un minimo di attenzione umanitaria per gli immigrati che, a causa del Trattato Italia-Libia (e con somme enormi pagate dall’Italia) diventano prigionieri libici e scompaiono per sempre. Ha concluso come un comizio: “Se poi volete aprire le porte e far entrare tutti...” intendeva avvertire gli elettori.
Il secondo ministro è Maroni. Viene dalla Padania, governa a Roma (ministero degli Interni) e legge quasi solo le testuali parole dei verbali di polizia sul fermo e il rilascio di una minorenne marocchina. Trascura la parentela con il presidente egiziano Mubarak e mostra di non sapere – come un impiegato – il prima e il dopo della sua pratica, soprattutto il temporaneo domicilio della minorenne ad Arcore. Nel giro di poche ore è stato smentito in modo piuttosto vigoroso dalla giudice dei minori di turno quella notte (27 maggio) Anna Maria Fiorillo: “Ricorrerò al Csm. È stata calpestata la verità”.
Appena due ore dopo è comparso in aula, a Montecitorio, il ministro Bondi, pallido e lunare. Dice: “Il crollo di Pompei è così grave che, se fossi responsabile, mi dimetterei adesso. Ma Pompei è un problema antico, non è colpa mia”. Lui voleva forse accusare Prodi. Ma il contesto ha suggerito una comicità che soltanto Benigni potrà estrarre dal profondo del ministro in fuga. Infatti lo stato d’animo “dell’ultima ora”, un po’ menzogna, un po’ comizio, un po’ fingere di non sapere per scansare il fardello da parte di Frattini, Maroni, Bondi, è sembrato un voltarsi indietro in fretta, prima della fuga. Poche ore dopo, di là dal paravento della sua leggendaria discrezione, si è udita la voce di Gianni Letta. Ha detto: “Le prospettive di questo governo si restringono”.
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