Una crisi di governo al buio nel bel mezzo di una crisi economica mondiale al buio: è questo il rischio che correrà l’Italia se la classe politica continuerà ad occuparsi soprattutto delle proprie questioni interne. L’Italia si trova infatti - e continuerà a trovarsi nelle prossime settimane - a un poco invidiabile crocevia tra la grande tempesta economico-finanziaria mondiale e le bufere politiche interne. Per quanto riguarda il quadro internazionale, la riunione del G20 chiusasi ieri a Seul pone la parola fine alle speranze di un’uscita «facile» dalla crisi. Quelle speranze che erano state accese dalla riunione del G20 di Londra della primavera 2009. Allora tutti sembravano andare d’accordo su una ricetta di marca anglo-americana che comportava il sostegno alle grandi banche in difficoltà, una considerevole iniezione di liquidità nell’economia degli Stati Uniti e in quelle di buona parte d’Europa, nella diffusa convinzione che in questo modo l’economia sarebbe ripartita e tutto sarebbe tornato come prima. Come ben sappiamo, le cose non sono andate così: la realtà ha tradito le speranze, la ripresa è risultata asfittica, sta rallentando invece di accelerare, come mostrano anche i dati sul prodotto lordo italiano resi noti ieri. Nei Paesi ricchi ha lasciato sul terreno alcune decine di milioni di posti di lavoro, con poche prospettive concrete di poter riassorbire questa nuova disoccupazione, e con un peggioramento delle condizioni di molte categorie di lavoratori e delle prospettive dei giovani. Un vasto e disordinato dissenso comincia a emergere, con gli scioperi francesi di ottobre, le elezioni americane di Midterm e fenomeni come la devastazione, alcuni giorni fa, della sede centrale del partito conservatore inglese. Di fronte a queste difficoltà, gli Stati Uniti hanno reagito come in altre crisi, ossia ponendo il resto del mondo di fronte a un fatto compiuto. Senza consultare nessuno hanno infatti deciso di mettere in circolazione - mediante la sottoscrizione di titoli governativi da parte della banca centrale - un’enorme quantità di dollari. Questa grande iniezione di liquidità potrebbe rilanciare l’economia americana ma anche far cadere il cambio del dollaro, penalizzando i Paesi come la Cina che ne posseggono enormi quantità. Gli Stati Uniti mostrano così un’incapacità culturale, prima ancora che economica, a comprendere che il mondo è cambiato e che gli altri Paesi non accettano più senza reagire quanto viene stabilito a Washington. E infatti, dietro ai sorrisi e alle buone parole dei comunicati di Seul, gli Stati Uniti hanno dovuto incassare il «no» della Cina a una drastica rivalutazione della propria moneta. La stessa Cina, insieme a Taiwan, adotterà misure restrittive per evitare l’afflusso di capitali americani, cosa che il Brasile, dal canto suo, ha già fatto, mentre anche la fedelissima Corea del Sud ha respinto un accordo commerciale con gli Stati Uniti e l’Europa ha preso garbatamente ma decisamente le distanze. Prevale, quindi, un clima non solo di confusione ma anche di divisioni, di contrasti. Il che lascia purtroppo prevedere, per l’insieme dei Paesi ricchi, un altro periodo di crescita stentata, in un clima di incertezza e senza alcun riassorbimento dell’occupazione. Questo quadro fosco chiama in causa soprattutto i Paesi europei gravati da posizioni debitorie difficilmente sostenibili, come la Grecia e l’Irlanda che - quali che siano le colpe passate delle loro politiche economiche - si trovano impegnati in sforzi sovrumani per rimettere a posto i loro conti pubblici. E qui dal ciclone dell’economia mondiale si arriva alle tempeste, più moderate ma molto serie, di un’Italia, affetta da una cronica e grave ampiezza del debito pubblico che, come è stato annunciato ieri, ha toccato un nuovo massimo anche a seguito dello scarso gettito, conseguenza della debolezza della ripresa. Non si può trascurare che ieri il «rischio Italia» ha fatto momentaneamente capolino nelle quotazioni del debito pubblico italiano quando il differenziale di rendimento tra i titoli pubblici italiani e tedeschi ha toccato un massimo storico, per poi fortunatamente ripiegare. E che i movimenti delle quotazioni possono dipendere non solo dalla situazione economico-finanziaria ma anche dalla situazione politica. È un campanello d’allarme: non solo è necessario approvare la legge finanziaria, come ha ricordato il presidente Napolitano, ma è indispensabile che, quale che sia la configurazione politica che emergerà dall’attuale tormentato periodo, il rispetto degli accordi europei sul rientro dagli attuali livelli di deficit e di debito deve essere assicurato. Questo significa che, nella nuova situazione, la Finanziaria non potrà essere riscritta e che qualsiasi allentamento su un capitolo di spesa dovrà essere controbilanciato da un inasprimento su un altro capitolo. Al voto di fiducia parlamentare, il futuro governo dovrà aggiungere un voto di fiducia della finanza internazionale; dovrà quindi apparire credibile e sostenibile non solo alle Camere ma anche alle Borse, chiamate a rifinanziare, per centinaia di miliardi di euro, i titoli pubblici italiani in scadenza.
mario.deaglio@unito.it |
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