di ALESSANDRA LONGO
Eccoli insieme, da sinistra a destra, solo rispetto alla platea: Francesco Rutelli, Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini. Flash di fotografi, ronzio di telecamere in una sala romana noleggiata dai liberaldemocratici per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Prove di terzo polo all'insegna del Risorgimento. "Lo chiamate terzo polo? - scherza Casini - direi piuttosto primo polo, non metteteci già in fondo alla classifica!". Clima di ammiccamenti, persino di baciamano (Rutelli omaggia così l'avvenente Daniela Melchiorre, già diniana, presidente di Ld), voglia di dialogo, di riflessione comune. "Non vedo perché la ricerca di ciò che unisce debba essere considerata un tradimento di chissà quale messianico mandato ricevuto dagli elettori", mette le mani avanti Fini, avvisato dell'ultima, velenosa battuta di Di Pietro.
Immagine plastica di una cosa che forse nasce, forse no. Intanto fa parlare. Rutelli (Api), il più entusiasta, parla di "un'area che si sta formando, di un incontro tra uomini politici che sono stati parte di schieramenti diversi e adesso hanno sempre più punti importanti in comune. E' tempo di unire coloro che erano lontani". Casini evoca solennemente, stante la "crisi etica gravissima", la necessità di un "Patto per
Parole che ricalcano, si sovrappongono, a quelle di Fini alla convention umbra di Futuro e Libertà. Terzo polo, o quel che sarà, se sarà, per salvare l'Italia dalla "malattia del separatismo", avverte Casini, denunciando la classe dirigente: "Stanno scherzando con il fuoco". Rutelli gli fa da controcanto, e sollecita la platea: "Ma vi pare normale che il presidente della Repubblica debba ogni settimana evocare il rischio di una frattura?". Va da sé, la mozione di sfiducia, a chiusura dell'epopea berlusconiana, ci sarà: "La presenteremo - assicura Casini - non importa quando e con quante firme. Prima va approvata la finanziaria, spero senza irresponsabili meline".
C'è allarme, ma Fini ruba il veltroniano "Yes we can", ce la possiamo fare: "L'Italia può farcela, qui non siamo declinisti di professione". Occorre uscire dal tunnel, "dalla logica schmittiana dello scontro, del nemico. Il ping-pong è colpa tua/no è colpa tua ha stancato gli italiani. Il Paese ha bisogno di una stagione di riforme". Casini, Fini, Rutelli: come Garibaldi, Mazzini, Ricasoli... Italo Tanoni, coordinatore nazionale dei Lib-dem, che non ha mai visto tante telecamere tutte assieme, si esalta: "Dobbiamo proseguire il cammino iniziato da Cavour! In questa sala, oggi, ci sono i massimi esponenti moderati del Terzo Millennio". Applaudono educati i Lib-dem arrivati con le bandiere di partito che, timidamente, lasciano arrotolate (non c'è mai l'occasione), orgogliosi comunque di assistere all'evento politico del giorno.
Eccoli i tre leader, accomunati dall'anti-leghismo, convinti che Berlusconi se ne debba andare, promotori di una nuova unità di popolo", come la chiama Fini che, però, vola più prudente degli altri: "Parlo da presidente della Camera e cittadino impegnato in politica". Il leader di Futuro e Libertà ascolta i colleghi ma mantiene i suoi distinguo sul bipolarismo. Così Casini: "Dopo 16 anni, il bipolarismo non ha risolto un solo problema e ha rivelato la sua natura primitiva dando spazio alla Lega e a Di Pietro". E Rutelli, divorziato dal Pd: "Il bipolarismo non è mai stato la stagione dell'oro, ha indebolito e fatto arretrare il nostro cammino unitario". Fini scuote la testa, non può smentirsi: "Il problema non è il bipolarismo ma il modo con cui è stato articolato...".
Si trova un po' a disagio, sul palco, il professor Mario Belardinelli, chiamato a fare una relazione da storico che dottamente non tralascia nulla, nemmeno "i moti pisacaniani". La sala è più interessata a quel che accadrà la prossima settimana, nel futuro. Fini ironizza sui "giovanotti" chiamati a salvare la patria. In altri Paesi lui, Casini e Rutelli, sarebbero pronti per la pensione ma "qui il compito di pensare all'Italia di domani è affidato a chi, di anni, ne ha più di 50...". Berlusconi, l'anziano, che non se ne vuole andare. Daniela Melchiorre, in camicetta di raso dorato, delizia l'uditorio: "Vi parlerò di donne, non di bunga-bunga". Per perorare il genere comincia da lontano, da Anita Garibaldi e Cristina di Belgiojoso.
(14 novembre 2010)
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