Il procuratore di Milano, Spataro, spiega: Battisti si è politicizzato dentro al carcere
di Armando Spataro*
Catturato a metà del
E MOLTI politici brasiliani gli diedero credito: il 14 gennaio del 2009, il ministro della Giustizia Tarso Genro gli concedeva l’asilo politico mentre a febbraio il senatore Edoardo Suplicy dava lettura in Senato di una lettera di 19 pagine dell’assassino italiano che proclamava la sua innocenza e denunciava l’Italia per avere utilizzato “correntemente” il sistema della tortura durante i processi degli anni di piombo. Dopo una serie estenuante di rinvii, però,
1) Battisti non è un estremista perseguitato in Italia per le sue idee politiche, ma un criminale comune per motivi di lucro personale, che si è politicizzato in carcere, commettendo poi rapine, ferimenti ed omicidi.
2) Battisti è stato poi condannato all'ergastolo per molti gravi reati, tra cui anche 4 omicidi: in due di essi, omicidi del maresciallo Santoro (Udine 6.6.1978) e del poliziotto A. Campagna (Milano 19.4.1979), egli sparò materialmente alle vittime; in un terzo (L.Sabbadin, macellaio, ucciso a Mestre il 16.2.1979) svolse il ruolo di “palo” in aiuto dei killer; per il quarto (P. Torregiani, Milano 16.2.1979) partecipò alla decisione ed organizzazione del fatto.
3) Non è vero che a Battisti sia stata negata la possibilità di difendersi in quanto assente durante i processi. Nel 2006,
4) E’ falso che l’Italia ed il suo sistema giudiziario non siano stati in grado di garantire i diritti delle persone accusate di terrorismo negli “anni di piombo”. E’ un’affermazione che ci ferisce. Sono tanti i magistrati, gli uomini delle istituzioni, i poliziotti che sono stati vilmente uccisi, da persone come Battisti, solo perché applicavano la legge. L’Italia, invece, non ha conosciuto derive antidemocratiche nella lotta al terrorismo.
PER FINIRE: molti accusano il Governo di non essersi sufficientemente adoperato per ottenere l’estradizione di Battisti. Il Governo, dal canto suo, afferma di essersi mosso con ogni possibile energia e determinazione.
Vedremo in futuro come stanno i fatti. Ma forse è stato trascurato un altro possibile rilievo, quello sulla coerenza degli atteggiamenti diplomatici che, per essere autorevoli, hanno bisogno di essere omogenei di fronte a situazioni simili. Allora, occorrerebbe forse una buona dose di autocritica con riferimento all’atteggiamento inspiegabilmente passivo tenuto nell’ottobre del 2008 dal Governo italiano quando il Presidente francese Sarkozy negò l’estradizione della brigatista Marina Petrella per “ragioni umanitarie”, non molto dissimili dalle “condizioni personali” di cui oggi parla il Presidente Lula. Per ora non resta che condividere l’amarezza del Presidente Napolitano, sperare nel possibile accoglimento di future nuove istanze del nostro Governo e stringersi attorno ai congiunti delle vittime del terrorismo. È certo che la decisione del presidente brasiliano non appare compatibile con i principi su cui si fonda la collaborazione internazionale contro ogni forma di criminalità. Anzi, li incrina profondamente.
*Procuratore aggiunto a Milano, Coordinatore del Dipartimento antiterrorismo
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