venerdì 28 gennaio 2011

Saverio Romano, un quasi ministro indagato per mafia


IL “RESPONSABILE” È GIÀ PRONTO A PRENDERE IL POSTO DEL FINIANO RONCHI ALLE POLITICHE COMUNITARIE

di Giuseppe Lo Bianco

Quando Saverio Romano rivelò che Casini gli aveva proposto di fare il ministro, come in ogni divorzio, l’ufficio stampa dell’Udc fu crudemente lapidario: “Nessuna persona ragionevole e di buonsenso avrebbe potuto immaginare di proporlo come ministro in un esecutivo, di destra o di sinistra che fosse”. Oggi che Romano si dice “pronto a coprire ruoli di governo”, torna alla mente il suo commento di quattro mesi fa, quando i giornali lo inserirono in una lista di nuovi sottosegretari a sostegno di un governo in difficoltà: “Non so se piangere o ridere”, disse, precisando: “Voglio sentire cosa ha da dire Berlusconi, non sono interessato a ciò che ha da dare”. Ora che il leader degli scissionisti dell’Udc, da due anni all’opposizione del governo Lombardo in Sicilia, è ministro in pectore delle Politiche comunitarie (in attesa della nomina al posto del finiano Andrea Ronchi) quelle parole suonano la conferma più evidente della sua citazione preferita: “Sono un democristiano della prima ora, nel cuore e nella mente”.

Avvocato penalista, 46 anni appena compiuti, Romano porta in dote con se a Palazzo Chigi i consensi residui del cuffarismo orfano di Cuffaro insieme con il destino che accompagna buona parte dei dirigenti siciliani dell’Udc, tra condannati e assolti: il sospetto di mafiosità.

INDAGATO per concorso esterno alla mafia da oltre otto anni dalla procura di Palermo, la sua posizione fu archiviata una prima volta nel 2003, per il caso Guttadauro-Cuffaro, ma tre anni dopo tornò sotto inchiesta, dopo le rivelazioni del pentito Francesco Campanella che raccontò di presunti summit con mafiosi. Sospetti che non hanno mai scalfito, né indebolito, la sua leadership siciliana nel partito forse soltanto oggi insidiata dallo scissionista interno Calogero Mannino, che non ha aderito al gruppo dei “responsabili” e per Romano ha avuto parole di fuoco: “Ha perso la bussola – ha detto Mannino – e ha mostrato scarsa capacità politica”. In questo caso il giovane leader ha incassato replicando con fair play e convinto nel proseguire la sua marcia di avvicinamento verso le stanze di Palazzo Chigi. Ben più dura era stata la polemica, appena un anno fa, con Beppe Lumia, sostenitore del governo Lombardo, che ne aveva tracciato un impietoso profilo: “Romano e Dell’Utri sono due facce della stessa medaglia – disse Lumia – Saverio Romano ormai è nel panico. La sua crisi sta superando i livelli d’astinenza tipici della dipendenza più avanzata. Senza il governo regionale il suo sistema di potere va a fondo e le sue relazioni mafiose rischiano di ritorcersi contro”.

Aggiungendo: “È chiaro che la sfida delle riforme lo atterrisce perché rischia di infliggere ferite mortali all’apparato di clientele e corruttele che ha costruito e di cui ogni giorno si svelano le caratteristiche assistenziali, sprecone e spesso affaristico-mafiose”.

Nato a Belmonte Mezzagno, comune al centro di una faida mafiosa tra le più violente, e candidato a Bagheria, il paese degli affari politico-mafiosi che hanno condotto in carcere Cuffaro, Saverio Romano ha dovuto spesso fare i conti con le accuse di mafia rivolte al suo partito: l’ultima poche settimane fa, in occasione della scoperta dell’assunzione, senza concorso, della figlia del boss Giovanni Bontate e del marito nella società regionale Sicilia e-servizi, definita dal deputato regionale Pd Davide Faraone “protesi clientelare dell’Udc di Cuffaro e Romano”. “Faraone è un mascalzone”, ha replicato secco Romano. Che navigando in questa zona di confine tra mafia e politica ha subito a volte da vicino la rappresaglia delle cosche: due anni fa, a Belmonte Mezzagno, venne incendiato il portone di casa dei suoi genitori, qualche giorno fa alcuni sconosciuti sono entrati nella sua casa di villeggiatura ad Altavilla Milicia mettendo a soqquadro le stanze.

SEGNALI che in Sicilia non vengono mai sottovalutati, spie sul territorio di una convivenza elettorale difficile, come quella segnalata nel 2002 dal Sisde che lo indicò, insieme a sei colleghi penalisti (Enzo Fragalà, Enrico La Loggia, Nino Mormino, Antonio Battaglia, Giuseppe Bongiorno, Renato Schifani) come possibile obbiettivo della rappresaglia delle cosche mafiose perché accusati dai boss di non aver favorito l’auspicata (dai mafiosi) revisione della normativa antimafia. Di fronte alla quale continua a professarsi rigorosamente garantista, anche nei confronti del suo odiato nemico Lombardo, ridicolizzato nel suo blog ma comunque “assolto” dall’accusa mossa dalla procura di Catania: “Raffaele Lombardo ha fatto tanto danno alla Sicilia, ma la collusione con la mafia sinceramente la escluderei”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

PICCOLO ANNUNCIO: Aspirante a importante carica nell’attuale governo scilipoti – offre cospicua ricompensa a “giudici associazione per delinquere” e/o “giudici Talebani” e/o “giudici disturbati mentali” disposti a indagarlo per concorso esterno in associazione mafiosa e/o corruzione in atti giudiziari – requisiti indispensabili da inserire nel proprio curriculum vitae al fine di essere sicuramente candidato con requisiti indispensabili.
FRANCESCO BUFFA DESIGNER

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

IO NON ASPIRO!