di Giorgio Meletti
Anche ieri pomeriggio l’amministratore delegato di Telecom Italia Media, Giovanni Stella, si è intrattenuto a lungo con Michele Santoro per discutere del suo ingaggio a La7. L’offerta è sul tavolo, ed è una proposta convinta, anche se per ora non sembra ancora del tutto convincente per il conduttore in uscita dalla Rai. Nelle stesse ore Stella è rimasto in attesa di notizie da Fabio Fazio, con il quale ha fatto sapere di avere già un accordo pronto in caso di rottura con la tv pubblica.
Comunque vadano a finire queste trattative incrociate, è un fatto che negli ultimi giorni il numero uno di La7 ha impresso al profilo strategico della tv di Telecom un’accelerazione imprevista, assegnandole il ruolo di rifugio e palcoscenico sostitutivo per i volti Rai invisi a Silvio Berlusconi.
Nello stesso tempo Stella ha certificato che La7 è in vendita, con l’obiettivo di chiudere in tempi brevi l’operazione , anche se sulle scadenze si è trovato a dover sfumare i toni perché si tratta di una società quotata in Borsa: esistono leggi in forza delle quali si possono annunciare operazioni chiuse o effettivamente in corso, e non le speranze.
Per queste ragioni ha cominciato a circolare con insistenza l’indiscrezione secondo la quale Franco Bernabè, numero uno di Telecom Italia, cioè l’azionista di La7, sarebbe rimasto piuttosto irritato dal protagonismo del suo collaboratore, al centro di una sorprendente trasformazione da silenzioso braccio destro a chiassoso aspirante tycoon televisivo.
Su questo ci sono le classiche due scuole di pensiero.
La prima sostiene che si tratti di un banale gioco delle parti. Stella fa il poliziotto cattivo, che sfida frontalmente gli umori politici di Berlusconi da una parte e le quote del mercato televisivo di Mediaset dall’altra. E Bernabè fa il poliziotto buono, che preferirebbe tenere a freno l’esuberanza del suo manager. A sostegno di questa tesi c’è l’inossidabile rapporto tra i due, che viaggiano di conserva fin dagli anni ‘90, quando Bernabè guidava l’Eni, e hanno continuato sempre insieme a Telecom Italia nel ‘98-‘99, poi per otto anni nell’attività imprenditoriale e alla guida della filiale italiana della Banca Rothschild, e di nuovo a Telecom Italia dal 2007.
La seconda scuola di pensiero sostiene invece che le mosse di Stella diano davvero qualche preoccupazione a Bernabè. E con qualche seria ragione, che nasce dalla banale logica dei numeri. Il gruppo Telecom ha debiti per decine di miliardi di euro e deve tirare fuori ogni anno almeno un miliardo di dividendi per i suoi azionisti, delusi dal cattivo andamento del titolo in Borsa. I soci di controllo (Telefonica, Intesa Sanpaolo, Assicurazioni Generali, Mediobanca) hanno pagato le azioni quattro anni fa alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera circa il triplo del loro attuale valore di Borsa.
La7, dal punto di vista dei conti, è insignificante. Ha portato a casa 115 milioni di euro di pubblicità nel
Ed è qui che si vede il problema di Bernabè. Dal punto di vista degli interessi di Telecom Italia c’è convenienza a sfidare l’ira di Berlusconi proponendosi come battagliero editore televisivo dei personaggi Rai a lui sgraditi? Per rispondere a questa domanda bisogna calcolare le proporzioni monetarie. L’inserimento di un Santoro e di un Fazio nel palinsesto di La7 può portare alla tv di Telecom, nella migliore delle ipotesi, un beneficio economico di qualche decina di milioni di euro.
Per contro, l’attività telefonica è fortemente dipendente dalla regolazione del governo e dell’Authority per le Comunicazioni (la stessa che governa il sistema tv, peraltro), che è di nomina politica. Ogni decisione dell’Authority su questioni di tariffe o di rapporto con i concorrenti può costare a Telecom anche cento o duecento milioni a colpo. Questa può essere una spiegazione del nervosismo di Bernabè dopo aver letto sul Fatto di essere diventato l’editore di Tele-Santoro.
Nessun commento:
Posta un commento