Carlo Malinconico, presidente Fieg, uno dei probabili sottosegretari, con delega all'editoria (ansa)
di CARMELO LOPAPA
Martedì il Consiglio dei ministri e la nomina dei sottosegretari. Mario Monti non vuole indugiare oltre in una trattativa che rischia di impantanare il governo. L'accordo è stato chiuso, in linea di massima, nel vertice di giovedì notte a Palazzo Giustiniani. Dodici pedine in quota Pdl, 5 vicine al premier, 13 tra Pd e Terzo polo. Fuori tutti i politici, alla fine anche gli ex parlamentari: solo tecnici (di area). Sul tavolo resta il nodo Vittorio Grilli.
L'incontro dei tre leader Alfano, Bersani e Casini con il presidente del Consiglio è stato smentito dalle tre segreterie. Non da Palazzo Chigi, d'altronde fonti ben qualificate dei tre partiti, nelle stesse ore, hanno confermato una notizia colorata di giallo. Col probabile ingresso dei big a Palazzo Giustiniani (dove ha ufficio Monti) attraverso il tunnel che lo collega al Senato.
Al buio della sera, per evitare "foto di gruppo" giudicate imbarazzanti da democratici e pidiellini. Il presidente del Consiglio in quella sede ha insistito sulla presenza dei politici. Ma sul punto, il no soprattutto di Alfano è stato categorico. Tramonta così anche l'ipotesi di un ingresso di ex parlamentari (D'Andrea per il Pd, D'Onofrio per i centristi) per i Rapporti col Parlamento. La distribuzione passata assegna al Pdl la quota maggiore (12) perché "partito di maggioranza relativa e per compensare il sacrificio del passo indietro del suo premier" è stato il ragionamento di Alfano, sostenuto nella trattativa da Gianni Letta.
Bersani e Migliavacca per il Pd e Casini e Rutelli per il Terzo polo alla fine accettano metodo (tutti tecnici) e ripartizione. La scelta di politici, soprattutto in casa berlusconiana rischiava di acuire fibrillazioni che - raccontano dirigenti Pdl - già si avvertono tra i "falchi" per il semplice fatto che Alfano e Letta abbiano portato avanti una trattativa. Che chiuderà i battenti lunedì.
Passa intanto la "riserva" del premier. Monti ha chiesto di potersi avvalere di cinque uomini di fiducia. Il Professore vorrebbe viceministro all'Economia Vittorio Grilli, il direttore generale del Tesoro che è stato in corsa, per settimane, per Bankitalia (sponsor Tremonti). L'alto burocrate però ha un'indennità annua da oltre 500 mila euro, che vedrebbe decurtata fino ai 150 mila circa del sottogoverno. È uno degli ultimi nodi da sciogliere.
Il funzionario del Senato Federico Toniolo è un'altra pedina in quota Monti, come il presidente Fieg Carlo Malinconico (delega Editoria), il consigliere della Corte dei conti Paolo Peluffo, il direttore generale della Funzione pubblica Francesco Verbaro, il direttore generale dell'Anci, Antonio Rughetti per gli Interni.
Il Pdl continua a rivendicare le deleghe alla Giustizia e alle Tlc (Roberto Viola). Questo il mandato che Berlusconi ha consegnato al segretario, a Verdini, a La Russa incontrati a Grazioli prima di rientrare a Milano.
Una giornata che ha segnato un ulteriore strappo con Bossi. Il Senatur stronca l'esecutivo a modo suo ("Sono degli improvvisati, è un governo che fa schifo") e commenta a freddo le dimissioni dell'ex premier: "Gli hanno ricattato le imprese, crollate in borsa del 12 per cento in un giorno, e ha dovuto lasciare". Il Cavaliere non ci sta a passare per un ricattato. "Le mie dimissioni motivate dal senso di responsabilità e nell'interesse esclusivo del Paese".
(26 novembre 2011)
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