PAOLO BARONI
Tagliare le indennità ai parlamentari? Sì, subito ed anche più della media europea. Con una operazione verità dalla quale si dimostra, come ha documentato il vostro giornale il 25 giugno scorso, che i parlamentari italiani costano di meno di quelli degli altri paesi europei. E poi bisogna intervenire anche sui trattamenti particolari di presidenti, vicepresidenti e presidenti di commissione. Distinguendo bene l’indennità personale dal costo dei servizi necessari. Poi però occorre restituire dignità al Parlamento, altrimenti è a rischio la qualità della nostra democrazia» dice la vicepresidente della Camera Rosy Bindi. Che definisce «una scivolata» l’articolo del decreto Salva-Italia sui compensi dei parlamentari. «Un errore che da un governo di competenti non ci si aspettava. E che paghiamo caro».
L’immagine che esce però, dopo questo dietro-front certamente corretto dal punto di vista tecnico, è che i politici vogliano sempre rinviare i tagli che li riguardano...
«E’ indubbio che questa norma non ha aiutato. Se qualcuno cerca di anticipare impropriamente, poi tutto risulta un rinvio».
E poi non era già stato deciso?
«Sì, con l’ultima manovra Berlusconi-Tremonti è stata istituita una commissione guidata dal presidente dell’Istat Giovannini incaricata di adeguare alla media europea i compensi di tutta la dirigenza del Paese, non solo dei politici. Norma sacrosanta. Che dovrebbe valere anche per i privati. Quanto a noi, visto che il Paese si trova in una situazione più critica rispetto al resto d’Europa, mi sentirei di aggiungere che una volta stabilita la media europea dovremmo fare qualcosa in più».
Dico una cosa cattiva: il governo sapeva e ha fatto una finta. Non si può pensare che non sapessero.
«Non voglio pensare male. Certo al governo le competenze non mancavano per sapere che sono i parlamenti che controllano i conti dei governi e non viceversa. E’ stata certamente una caduta di stile che perdoniamo anche se in un momento come questo è grave. Ma non abbiamo nessuna intenzione di rinviare. Anzi sui vitalizi, la voce che dalle ricerche dei nostri questori risultava già chiaramente fuori dalla media europea, abbiamo giocato d’anticipo e siamo già intervenuti. E come presidente del Pd ricordo che questa era una delle nostre battaglie, perché in molte Regioni governate da noi il vitalizio è già stato abolito. Sia ben chiaro: si tratta di un intervento che non è a costo zero per tante persone, perché molti una volta finito il mandato si troveranno in una condizione non molto diversa da quella dei lavoratori messi oggi in mobilità che non possono arrivare alla pensione. Persone che ha fatto politica da sempre e non hanno una professione, altri che hanno dovuto trascurare il loro lavoro, politici che una volta tornati a casa dovranno vivere con lo stipendio della moglie. Non posso fare nomi e cognomi, ma per molti di loro non stiamo parlando del superfluo, ma dell’essenziale della vita. Poi devo ricordare che l’indennità dei deputati non è più indicizzata dal 2001, da quando era presidente Casini. Mentre in questa legislatura, dall’inizio del 2008, abbiamo tolto 500 euro dalla diaria, 500 dal rimborso del cosiddetto rapporto con gli elettori e altri 500 dall’indennità. Il totale fa 1500 euro al mese. Dovuti».
Insomma avete “già dato”?
«No, non abbiamo già dato. Dobbiamo ancora dare. Però attenzione perché se dovessimo adeguarci alla media europea, per effetto dei compensi ai collaboratori che in Europa sono più alti, noi costeremmo di più».
Bel paradosso. Come se ne esce?
«Bisogna imboccare una strada obiettiva, come è già stato indicato in un ordine del giorno che abbiamo approvato: bisogna attribuire al parlamentare una indennità dignitosa, magari accompagnata da una diaria che consenta di vivere a Roma e sollevarlo dal costo dei servizi: segreterie, collaboratori e tutto il resto dovrebbe essere a carico delle istituzioni. In maniera sobria e trasparente».
Il clima che si è creato nel Paese la preoccupa?
«E’ iniziato un percorso che porta alla delegittimazione della politica ma soprattutto del Parlamento. Ed in tutto questo ci vedo un pericolo per la democrazia del Paese, perché ogni volta che è stata attaccata la vita parlamentare c’è sempre stato un affievolimento delle garanzie democratiche. Ma se fossimo percepiti utili alla vita del paese probabilmente l’opinione pubblica non sarebbe così insofferente per le nostre indennità».
E come si esce da questa spirale?
«Bisogna cambiare la legge elettorale, ridurre il numero dei parlamentari, e poi introdurre regole che ci difendano dagli Scilipoti e dalle compravendite dei deputati, dagli strani modi con cui una persona viene candidata. Insomma bisogna fare il possibile per ristabilire la dignità dell’istituzione, perché avanti di questo passo non cambia se lo sbocco è una dittatura populista o l’affermazione di una tecnocrazia».
E’ questo il rischio?
«Si, perché sotto attacco non sono questo o quel governo, che ha fatto questa o quella scelta, ma genericamente il Parlamento e la politica. E così alla fine si indebolisce la vita democratica del Paese».
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