di Marco Travaglio
Un detenuto in attesa di giudizio che lascia
il carcere per essere processato a piede libero è sempre una buona notizia,
specie in tempi di sovraffollamento carcerario. Anche se quel detenuto è il
magistrato Alfonso Papa, che in carcere era abituato a
mandarci gli altri.
Ora, dopo 101 giorni a Poggioreale e 50 ai domiciliari, sfreccia
sul motorino della sua signora in tutti i telegiornali e prende un po’ troppo
sul serio il suo cognome pontificando urbi et orbi sulle “condizioni disumane
delle carceri”.
Poteva pensarci prima, quando faceva il pm e soprattutto quando,
dal 2001 al 2008, era dirigente al ministero della Giustizia, ivi chiamato da
Castelli e poi naturalmente confermato da Mastella.
Ma anche dopo, quando divenne deputato e membro della consulta
sulla giustizia del Pdl, il partito che porta in Parlamento noti delinquenti
mentre imbottisce le galere di poveracci con leggi demenziali: ex Cirielli, immigrazione clandestina, Fini-Giovanardi sulle
droghe, vari pacchetti sicurezza.
Ora, meglio tardi che mai, annuncia a Repubblica: “Mi impegnerò
per i detenuti” (a suo modo, è un tecnico anche lui). Comincerà evitando che lo
diventi Nick Cosentino, imputato di camorra e rifugiato a Montecitorio con diritto
d’asilo.
A vederlo nei compiacenti tg con guanciotte da puttino e vocina
flautata, pare impossibile che Papa sia imputato per favoreggiamento, rivelazione di segreti, corruzione, concussione
ed estorsione.
Ma il travestimento da agnellino funziona perché nessuno, nel
Poggioreality, ricorda perché è imputato: secondo le accuse dei pm – in gran
parte confermate da giudici terzi come il gip e il Riesame – Papa sfruttava i
suoi contatti “di altissimo livello” con servizi segreti, magistrati e generali
della Finanza per procurarsi notizie segrete su indagini a carico di Letta, Verdini, Cosentino e Masi; ma anche per minacciare arresti e promettere
salvataggi a imprenditori indagati; il tutto in cambio di soldi, gioielli, appartamenti, crociere, hotel di lusso, più
consulenze e incarichi per moglie, amici, ma soprattutto amiche.
Una è una mezza
tossica, e lui
la consiglia su come sfuggire alla polizia, poi le regala il tesserino
d’accesso alla Camera (per fortuna la tipa non l’aveva con sé quando fu fermata
con un po’ di erba: “Non era una bella figura che una persona che poteva
accedere a Montecitorio si facesse le canne”). A un’altra, che lavora alle Poste grazie a lui
(dice lei), Papa ha donato una sobria Jaguar, salvo poi riprendersela
falsificando la firma.
Come Alberto Sordi ne
Il vedovo, quando regala una
pelliccia all’amante e poi gliela porta via per impegnarsela e pagare i debiti.
Poi c’è un tizio che gli forniva Rolex “nudi”, senza confezione né garanzia,
praticamente rubati o falsi. Perché Papa è sempre stato un uomo
di polso. E non ha nulla da nascondere: infatti, pur essendo immune da
intercettazioni, usava una scheda telefonica intestata a una sconosciuta. Il
gip Giordano gli chiede perché e lui cade dalle nuvole: “Non sapevo che una
scheda mobile dev’essere intestata a una persona”. Poi però, nota il gip,
“lamentato che sarebbe stato intercettato sull’utenza registrata alla sua
persona: dunque è ben conscio della differenza tra l’utilizzo da parte di un
parlamentare del telefono intestato a lui e quello di utenze intestate a terzi.
Ma non ha spiegato perché un deputato, che gode delle prerogative assicurate al
Parlamento dalla Costituzione, abbia bisogno di impiegare telefoni intestati
fittiziamente a persone ignare”.
Già, perché? Forse per non essere da meno di B., che usava le
schede peruviane di Lavitola. Infatti – giura Papa – “il partito mi è stato
vicino” e si accinge a festeggiare il suo rientro trionfale alla Camera. Perché
lui, ça va sans dire, è “pronto a riprendere la mia attività di deputato”.
Viene in mente un altro film di Sordi, L’arte di arrangiarsi, quando il protagonista Sasà Scimoni
esce di galera e fonda subito un partito per gli ex detenuti. Ma non viene
eletto. Il film, infatti, è del 1955.
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