Forse esagero, ma è da cinquant'anni che dalla politica italiana
non nasce una sola idea. Siamo partiti con il Bipartitismo Imperfetto di Giorgio Galli, dove «imperfetto» stava per dire che non c'era
alternanza al potere. È sì un difetto. Ma sin da allora facevo notare che i
Paesi senza alternanza di governo erano parecchi, specialmente il Giappone, che
pure è stato per lungo tempo un Paese di prima fila.
Poi si è affermata l'idea che se un Paese non aveva una struttura
bipolare non poteva funzionare. Per anni ho cercato di spiegare che una
struttura bipolare (tipo destra-sinistra) veniva di solito da sé, che era
fisiologica. Chi si prova, ogni tanto, a dichiararsi «terzo polo» è un politico
spiazzato dagli eventi. D'altronde, i sistemi bipolari hanno spesso bisogno di
un piccolo partito intermedio di sostegno. Come in Germania.
Qual è, allora, lo scandalo italiano? È che non abbiamo il voto di
preferenza. Lo avevamo, ma a furor di popolo venne cancellato da due
referendum. Non era un secolo fa, eppure ce ne siamo dimenticati. E ci siamo
anche dimenticati perché non funzionò allora, e perché funzionerebbe ancora
peggio se ripristinato. In passato la prassi costante, tra gli scrutatori dei
seggi, era di controllare attentamente i voti di lista ma di consentire a sé
stessi di aggiungere crocette di preferenza ai raccomandati del proprio
partito. Oggi siamo più smaliziati. Così è ancora più sicuro che il votante non
riuscirà quasi mai a eleggere chi voleva. Eppure ci crede.
In questo cinquantennio la vera novità è invece passata inosservata. Nel
1918 Max Weber scriveva un saggio, La politica come professione,
che è illuminante già nel titolo, e che stabilisce una volta per tutte qual è
il problema. Questo: che si è man mano consolidata e moltiplicata una
popolazione che vive di politica e che non sa fare altro. Se perde il posto o
le entrature nella «città del potere», allora resta disoccupato: o politica o
fame. È evidente che la politica come professione è una inevitabile conseguenza
della entrata in politica delle classi povere. Finché l'accesso al potere era
ristretto ai benestanti, il cosiddetto «politico gentiluomo», non si faceva
pagare. Non ne aveva bisogno. Ma i nullatenenti, invece, sì.
Va da sé che il politico di professione esiste oramai un po' dappertutto. Ma da noi con una virulenza inedita che ci assegna tra i Paesi più corrotti al mondo (al 69° posto).
Va da sé che il politico di professione esiste oramai un po' dappertutto. Ma da noi con una virulenza inedita che ci assegna tra i Paesi più corrotti al mondo (al 69° posto).
È che da noi mancano le controforze politiche, manca un vero pluralismo politico. Il
fascismo ha favorito lo sviluppo di quelle che oggi ci siamo abituati a
chiamare lobbies, ovvero corporazioni di interessi economici. Dopodiché il
dopoguerra ci ha restituito un sindacalismo largamente massimalista. Mentre nel
1959 i sindacati tedeschi ripudiavano a Bad Godesberg il sindacalismo
rivoluzionario e da allora collaborano con le aziende, noi continuiamo il rito
di inutili e dannosi scioperi.
Il punto è, allora, che lo strapotere della nostra casta di politici
di professione non si imbatte in vere controforze che lo combattono. Noi siamo
precipitati nel momento in cui la stupidità della sinistra, allora di
D'Alema e di Violante,
ha consegnato il Paese a Berlusconi regalandogli tutta o quasi tutta la
televisione.
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