L’epopea del cappellano
dei potenti che si paragonò a Gesù ma fece un solo miracolo: deviò le rotte
aeree per l’amico B.
di Marco Travaglio
Simul stabunt, simul cadent. Insieme staranno su, insieme
verranno giù. È il destino di Silvio Berlusconi e di don Luigi Verzè, il
diavolo e l’acqua santa. Anzi, il Gatto e la Volpe. Nato a Illasi (Verona) nel 1920, a 28 anni don Luigi
Maria Verzè diventa sacerdote (il padre, proprietario terriero, lo disereda
all’istante). E subito dopo segretario di don Giovanni Calabria, il santo prete
che assiste i bambini abbandonati e che nel 1950 lo manda a Milano, dove
diventa il cocco del cardinale Schuster e si occupa di scuole professionali per
ragazzi in difficoltà e case-alloggio per anziani poveri. Nel 1958 fonda
l’associazione “San Romanello del Monte Tabor” per l’assistenza ai più deboli.
Finirà per curare i ricchi e i potenti e per esaltare, davanti a intervistatori
genuflessi, “il carisma del denaro”. Nel 1961 compra un terreno al Parco Lambro
e comincia a progettare una clinica privata, il San Raffaele. Ma la Curia
milanese lo scarica brutalmente per la sua disinvoltura negli affari e nella
politica: nel 1964 il cardinale Colombo gli “proibisce di esercitare il sacro
ministero”, cioè lo sospende a divinis: provvedimento confermato nel 1973.
Una Provvidenza chiamata
Dc
MA, SE NON piace ai cristiani, don Verzè piace ai democristiani,
che fanno il bello e il cattivo tempo tanto in Lombardia quanto a Roma e lo favoriscono
in ogni modo. Il prete furbo si mette in società con l’assessore comunale dc
Gianfranco Crespi, con Emilio Trabucchi, candidato dc e fratello di un
ministro, e con un paio di soci del ministro della Sanità Athos Valsecchi. Nel
1968 un palazzinaro di nome Silvio, titolare dell’Edilnord, gli regala 46 mila
metri quadri dei 700 mila che ha appena acquistato per un tozzo di pane nel comune
di Segrate per costruirvi la città satellite Milano2. L’area vale quasi zero, visto
che lì a due passi c’è l’aeroporto di Linate e, a ogni ora del giorno e della
notte, decollano e atterrano gli aerei. Proprio per la rumorosità della zona, è
stata appena bloccata la costruzione del Nuovo Policlinico. Ma don Verzè
confida nella Provvidenza, che per lui ha il volto di Silvio e degli amici politici.
E per Silvio, che non regala nulla per nulla, l’appoggio del prete furbo verrà
utile di lì a poco. Don Luigi avvia ugualmente i lavori per la clinica San
Raffaele, grazie anche a un mutuo agevolato di 600 milioni di lire concesso dal
governo amico. Che nel 1971, alla velocità della luce, trasforma la Monte Tabor
in fondazione religiosa. La storia di quegli anni è documentata nel prezioso
“Dossier Don Verzè”, appena pubblicato da Kaos a cura di Lorenzo Ruggiero. Nel
1972 il ministro dc della Sanità Valsecchi riconosce alla clinica in
costruzione lo status di “Istituto di ricovero e di cura a carattere
scientifico”, ambitissimo quanto rarissimo per le cliniche private. Segue la
generosa convenzione con l’Università di Milano. E i primi finanziamenti pubblici.
Il tutto scavalcando la Regione Lombardia, dove l’assessore alla Sanità
Vittorio Rivolta, democristiano ma onesto, non vuol saperne di inserire il San
Raffaele tra gli ospedali convenzionati, visto che è privo dei requisiti
ospedalieri e scientifici: non ha il pronto soccorso, non fa ricoveri
d’urgenza, ha problemi persino per gli interventi di appendicite. E non ha neppure
la licenza di abitabilità. Peggio: il secondo lotto del San Raffaele è venuto
su senza uno straccio di licenza edilizia. Lavori abusivi, insomma. Don Verzè pretende
un altro miliardo e mezzo di fondi pubblici e, siccome Rivolta rifiuta, lo
minaccia: “Ho le prove che il nostro lavoro è voluto da Dio, e Dio non si
lascia irridere, dunque le consiglio di non molestarci oltre”. Poi tenta di
corromperlo, promettendogli una stecca del 5% sulla somma richiesta. È il 1973.
Quattro anni dopo sarà condannato a un anno e quattro mesi di carcere per
istigazione alla corruzione (in appello lo salverà la prescrizione). Nella
sentenza viene definito “imprenditore abile e spregiudicato inserito in
ambienti finanziari e politici privi di scrupoli etici e penali”.
Miracolo nei cieli: Alitalia
evita Milano2
INTANTO la speciale Provvidenza politico-affaristica che lo
protegge fa un altro miracolo: la deviazione delle rotte Alitalia. Silvio e don
Luigi, spalleggiati da fantomatici “comitati anti-rumore” creati ad hoc,
presentano una petizione al ministero dei Trasporti perchè dirotti altrove i
voli degli aerei in partenza e in arrivo a Linate, per non disturbare gli
abitanti di Milano2 e soprattutto i ricoverati del San Raffaele. Che però sono
ancora quattro gatti: sia Milano2 sia il San Raffaele sono in costruzione. Ma
basta ungere le ruote, anzi le ali giuste e il ministero si porta avanti col lavoro:
nel 1972-’73 Civilavia (l’amministrazione dell’aviazione civile) sposta le
rotte verso il comune di Segrate che invece è abitato da 200 mila persone, da
prima che nascesse l’aeroporto. Nella sentenza del 1977 sul caso Rivolta, i giudici
collegheranno la decisione a sospetti di “pressioni illecite, non esclusa la
corruzione, sulle competenti autorità locali e centrali”. Così migliaia di
cittadini si vedono piovere sulla testa gli aerei da un giorno all’altro, per
proteggere la tranquillità di quelli di Milano2 e del San Raffaele che quasi
non esistono. Per giustificare la porcata ad personam e ad pretem, basta
qualche ritocco alle carte topografiche (quelle di Pioltello e Segrate vengono
retrocesse alla situazione del 1848, mentre Milano2 – ferma al 25% – risulta
già completa). E un falso marchiano sulle carte di volo dei piloti Alitalia:
Milano2 diventa una grande chiazza nera di 700 mila metri quadri con una
grande “H” che sta per Hospital, come se la lussuosa città residenziale di B.
fosse tutta San Raffaele. La “H” dice ai piloti: girate alla larga di lì, sennò
svegliate i malati. Come la No Fly Zone in Iraq: lì sopra non si vola. Così i
prezzi dei terreni e delle case di Milano2 raddoppiano: da 200 a 400 mila lire al metro quadro.
Ma gli abitanti di Segrate stanno diventando sordi, non ciechi.
E si ribellano con esposti e denunce. Li sostiene una giovane e focosa cronista
del Manifesto, che nel 1973 pubblica un’inchiesta dal titolo:
“PerportareavantilaspeculazioneMilano2 prima rendono sordi i segratesi con i
jet, ora li vogliono appestare con un immondezzaio”. E scrive: “Il problema
vero non è quello‘sonoro’, ma la puzza di marcio che ci sta dietro, le aree, la
speculazione edilizia: è una barca molto grande, in cui ci son dentro tutti, la
Regione, i democristiani e anche i socialisti… Ma la più sporca di tutte l’ha
fatta il Vaticano che, con l’aiuto delle banche svizzere, ha appoggiato
l’operazione Milano2 con l’insediamento nella zona dell’ospedale San Raffaele”.
Il suo nome è Tiziana Maiolo e non è omonima della futura deputata di Forza Italia:
è proprio lei, prima della folgorazione sulla via di Arcore. Anche Candido,
settimanale di destra diretto da Giorgio Pisanò, denuncia “la rotta
dell’intrallazzo” in una mega-inchiesta firmata Leo Siegel. Nel 1974 il pretore
di Monza Nicola Magrone condanna il direttore generale di Civilavia Paolo Moci
per disturbo della quiete pubblica nei comuni danneggiati e definisce il San
Raffaele “ospedale dai connotati molto ambigui”. Nel 1975, sul Giorno , Giorgio
Bocca definisce don Verzè “quello che allontana gli aerei e cura non solo i
malanni fisici, ma anche ‘le anime preternaturali’ dei pazienti”, intanto
nella vicina Milano2 “il prezzo al metro quadro passa dalle 150 mila alle 400
mila lire. L’arte dei grandi speculatori è avere molti complici”. Nel 1977
Camilla Cederna, in un’inchiesta su Berlusconi per l’Espresso, torna sul “prete
trafficone e sospeso a divinis”.
Due quadri rubati e
tanti abusi edilizi
INSOMMA, sono almeno 40 anni che su don Verzè tutti sanno tutto:
Chiesa, giudici, giornalisti, politici, cittadini. Nel 1978, in un’interrogazione
parlamentare, i deputati radicali Bonino, Faccio, Pannella e Mellini
riepilogano tutti gli scandali (l’ultimo è l’incriminazione del prete furbo per
aver truffato una signora sottraendole un appartamento da 30 milioni
dell’epoca) e chiedono al governo “quali iniziative intenda prendere per
impedire che il denaro pubblico finisca ancora una volta nelle mani di loschi
gruppi di potere clericali che lo utilizzano per attività speculative e
clientelari, sulla pelle degli ammalati” e “se intenda ricercare le connivenze
e le responsabilità eventuali nell’amministrazione dello Stato che hanno
determinato questa scandalosa situazione”. Invece il San Raffaele diventerà una
holding camuffata da ente “senza scopo di lucro” e si espanderà in tutta Italia
e in mezzo mondo, conquistando il record di contributi regionali fra gli ospedali
privati della Lombardia.
I processi a don Verzè e ai suoi fedelissimi non si contano più.
Nel 1994, in
piena Mani Pulite, finisce in carcere il direttore scientifico per una mazzetta
di 70 milioni dalla Sigma Tau; di lì a poco lo raggiungono dietro le
sbarre il vicepresidente Mario Cal (morto suicida qualche mese fa) e il direttore amministrativo
Vincenzo Mariscotti, rei confessi di mazzette da decine di milioni a due
funzionari delle Imposte dirette per addomesticare un’ispezione contabile. Nel
1995 don Verzè è condannato a cinque mesi in primo grado per abusi edilizi di
“enorme cubatura” per “opere eseguite senza o in difformità della concessione
edilizia” (pena confermata in appello). Per lo stesso reato rimedierà un’altra condanna
in primo grado nel ’98. Nel 1997, invece, il Tribunale di Milano lo
condanna a un anno e quattro mesi per ricettazione di due quadri
cinquecenteschi di gran pregio rubati in due chiese napoletane e fatte
acquistare dal suo autista-prestanome (la Corte d’appello conferma, poi la
Cassazione dichiara la solita prescrizione, ma rifiuta di assolverlo nel merito
perché è accertato che “don Verzé era al corrente della provenienza illecita
dei quadri”).
Poco dopo finiscono dentro cinque primari del San Raffaele per
truffa al Servizio sanitario nazionale col trucchetto dei ricoveri inesistenti
(almeno 15 mila) per lucrare rimborsi regionali non dovuti (8 miliardi di lire).
Verzè li assolve, minaccia il procuratore Borrelli, poi santa prescrizione li
salverà grazie all’ex Cirielli varata da san Silvio. Nel 2000 il prete furbo
vola ad Hammamet per celebrare le esequie del latitante Bettino Craxi, in cui
dice di aver “visto il Cristo”. È una fortuna che esista la Santissima Trinità,
così può dire che in Berlusconi vede “un dono di Dio”. Lo Spirito Santo, più
fortunato, resta libero. Formigoni deve contentarsi dell’“arcangelo Raffaele”.
E Nichi Vendola, che fino a un mese fa voleva appaltargli il San Raffaele del
Mediterraneo a Taranto? Ha “il carisma del Signore” e “un fondo di santità”.
Poi, quando viene indagato per la bancarotta fraudolenta da 1,5 miliardi, don
Verzè paragona anche se stesso a “Cristo in croce”, tanto Cristo-Craxi è
prescritto.
Ieri, ai suoi funerali, il “dono di Dio”, al secolo Silvio
Berlusconi, non c’era. Ma ha parlato spericolatamente per tutti Massimo
Cacciari, già preside dell’Università del San Raffaele: “Diceva Don Milani: se
uno alla fine della vita ha le mani completamente pulite vuol dire che le ha
tenute in tasca”.
Meglio metterle nelle
tasche degli altri.
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