sabato 28 giugno 2008

IL GENERALE UMBERTO NOBILE


Mariano Pastore

Il subentrante mese di luglio ricorre l’anniversario della morte di Umberto Nobile, un personaggio non nativo di Eboli, ma con sangue “eburino” nelle vene perché figlio di ebolitani.
Ho cercato le fonti trovandole in un articolo di un cronista scrittore, Michele Scozzai, apparso sulla rivista Storia dal titolo “Polo Nord: La gara per salvare Nobile, naufragato al Polo nel 1928” e nel bel fascicolo edito dal Comune di Eboli datato e titolato “XV AGOSTO MCMXXVI – UMBERTO NOBILE”.
Il nome di Umberto Nobile è familiare ad Eboli, perché, pur essendo nato il 21 gennaio 1885 a Lauro in provincia di Avellino, i suoi genitori, Vincenzo e Maria La Torraca, erano ebolitani con una grossa ed estesa parentela residente ad Eboli.
Di lui si parla da un secolo, si sono consumati fiumi d’inchiostro per descrivere e ricordare le sue imprese esplorative e le sue invenzioni che sbalordirono il mondo nei primi decenni del ventesimo secolo.
Uomo “geniale”, come tanti del suo tempo subì la strumentalizzazione della propaganda ideologica del regime fascista che governava l’Italia in quel periodo e che aveva bisogno di uomini da usare come esempio per esaltare la grandezza imperiale dell’Italia fascista, fin quando facevano comodo, per poi sbarazzarsene al momento opportuno e buttarli nella polvere quando una qualsiasi azione potesse danneggiare i fasti dell’impero.
Accadde anche ad
Umberto Nobile.
Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario dell’impresa al Polo Nord che lo rese famoso al mondo intero ed il trentesimo anno della sua morte avvenuta a Roma a 93 anni, il 30 luglio 1978.

Chi era lo scopritore del Polo Nord?

A diciotto anni dopo gli studi liceali s’iscrisse all’università di Napoli laureandosi in ingegneria industriale meccanica, vinse due concorsi uno nel Genio Civile e l’altro nel Ministero delle Ferrovie, dopo due anni frequentò un corso di Aerotecnica tenuto a Roma da Gaetano Arturo Crocco, progettista e costruttore del primo dirigibile che tenne a battesimo in volo nel 1908.
Durante il primo conflitto mondiale viene aggregato presso lo stabilimento militare di costruzioni aeronautiche pur non facendo parte dell’esercito. In questo stabilimento nel 1916 progettò un nuovo dirigibile capace di esplorazioni nautiche che chiamò “O” e nel 1918 il primo paracadute italiano.

Nel 1919 è nominato direttore dello stabilimento che dirigerà fino al 1927; in questi otto anni di direzione perfeziona e progetta con i collaboratori dei dirigibili semirigidi ed insieme all’amico, ingegner Giovanni Caproni, realizza il primo aeroplano metallico italiano.
Nell’agosto del 1922 si reca negli Stati Uniti, collabora con i tecnici americani alla costruzione di un’aeronave militare.
Nel 1923, tornato in Italia, realizza il dirigibile “N1”, questo modello verrà impiegato anni dopo nella prima trasvolata del Polo Nord. Nello stesso anno viene nominato tenente colonnello del Genio Aeronautico.
Nel 1925 ebbe i primi contatti con l’esploratore norvegese Roald Amundsen, già conquistatore del Polo Sud, con lui e l’americano Lincon Ellsworth parte il 10 aprile 1926 da Ciampino a bordo del dirigibile Norge, da lui stesso progettato, e dopo lo scalo alla Baia del Re (Isole Svalbard) nella notte tra l’11 e il 12 maggio, sorvola il Polo Nord, atterra due giorni dopo senza scalo a Telier in Alaska, compiendo una traversata di oltre 5300 Km. In seguito, nascono polemiche tra lui ed Amundsen sul merito e il credito della spedizione.
Il 15 aprile 1928 l’impresa viene ripetuta partendo dall’aerodromo milanese di Baggio, al comando del dirigibile Italia con equipaggio e mezzi interamente italiani e finanziamenti privati. Nobile, in quell’occasione, effettuò tre voli: il primo si concluse dopo appena otto ore a causa di un problema ai timoni, il secondo, durante il quale vennero fatti importanti rilievi cartografici, si protrasse per tre giorni. Il terzo, quello fatale, era diretto al Polo.
Il dirigibile partì il 23 maggio dalla Baia del Re. Dopo venti ore di traversata veloce, sorvolò l’obiettivo, battuto da un vento fortissimo. Il dirigibile cominciò a sbandare nella tormenta. In breve, gran parte del combustibile fu bruciato: l’isola di Spitzbergen, nonostante fossero già stati percorsi 1540 Km. contro i 1320 previsti, era ancora lontana. Nobile capì che, con il carburante residuo, non vi era più alcuna possibilità di tornare alla base e ordinò di scendere a bassa quota. Forse aveva in mente un atterraggio di fortuna. Ma accadde qualcosa e il dirigibile cominciò a puntare verso il pak più velocemente del previsto. L’urto fu inevitabile: per i superstiti iniziava cosi un’estenuante lotta per la sopravvivenza.
I tentativi di salvataggio furono tanti, le speranze dei naufraghi erano ridotte al lumicino. Nobile fu tratto in salvo da un Fokker pilotato da Einar Lundborg, provvisto di pattini l’aereo riuscì ad atterrare nei pressi della tenda rossa, Nobile si fece convincere a salirvi anche perchè era certo che dalla Baia del Re avrebbe potuto coordinare meglio il salvataggio dei compagni. Difatti la svolta avvenne grazie a Nobile. Il Krassin, un rompighiaccio sovietico sul quale era
imbarcato il professore russo Rudolf Samoilovich, amico personale di Nobile, offrì il proprio aiuto alla nave appoggio Città di Milano. comandata dal Romagna che, tuttavia, ancora una volta, declinò l’offerta, certo che la Braganza sarebbe stata in grado di salvare i naufraghi. Ma Nobile sapeva bene che cosi non era. Prese l’iniziativa e scrisse un telegramma al comandante del Krassin: “Tutte le nostre speranze sono riposte su di voi”, Samoilovich diede ascolto a Nobile e il rompighiaccio fece rotta sulla tenda rossa. Il Krassin arrivò nei pressi dell’incidente ai primi di luglio, preceduto da un idrovolante pilotato da Boris Chuknovskij, che però – dopo aver individuato Mariano e Zappi – fu costretto a un atterraggio di fortuna. All’alba del 12 giugno la nave russa prese a bordo Mariano e Zappi, mezzo accecati e in fin di vita; poi, la sera, trasse in salvo i superstiti della tenda rossa, e sulla via del ritorno riuscì a recuperare anche Chuknovskij. Era la fine dell’incubo. Il 13 anche Sora e van Dongen, stremati, vennero recuperati da due idrovolanti e accompagnati sulla Quest. “L’alpino avrebbe subito voluto rimettersi in marcia per cercare l’involucro del dirigibile” dice Basset. Ma l’impresa sarebbe stata un suicidio. Nelle settimane successive, la Braganza, il Krasin e l’idrovolante di Penzo continuarono le ricerche. Ma da Roma e Mosca, in agosto, giunse l’ordine di rimpatriare uomini e mezzi. Penzo e il suo equipaggio, durante il viaggio di rientro, precipitarono e perirono. Il 15 settembre anche la Città di Milano abbandonò l’isola di Spizbergen, mettendo fine a una delle storie più sciagurate di sempre. In tutto si contarono 17 vittime: 8 membri dell’equipaggio del dirigibile e 9 soccorritori.
Dopo la tragedia, una commissione d’inchiesta riconobbe Nobile colpevole di aver provocato l’incidente con una manovra errata. Il gerarca Italo Balbo ministro della Regia Aeronautica da sempre nemico del Nobile colse l’occasione per accusarlo di arroganza e di vigliaccheria per aver abbandonato i compagni. L’equipaggio si spaccò in due: amicizie e legami si sfaldarono. Il generale Nobile, sdegnato, si dimise dall’Aeronautica. La sua carriera fu stroncata.
Racconta la figlia Maria Nobile, oggi novantenne: “Mussolini chiamò mio padre per farsi raccontare dell’impresa. Il duce l’accolse affettuosamente e lui gli mostrò dati e documenti che spiegavano le ragioni per cui aveva accettato di lasciare per primo la tenda rossa (se non l’avesse fatto, il Krasin non sarebbe mai intervenuto, ndr). Ma, arrabbiato com’era, si lasciò trascinare dal suo carattere impetuoso: alzò la voce e fece impallidire Mussolini. Al duce bastò un cenno di capo perché il suo cameriere personale prendesse mio padre e lo accompagnasse alla porta”.
A Nobile non restò che lasciare l’Italia. Si trasferì per cinque anni in Russia, dove continuò a progettare dirigibili, e per tre anni negli Usa. Dopo una breve tappa in Spagna, tornò in Italia nel 1943. Tra il 1946 e il 1948 fu deputato indipendente all’assemblea costituente, poi andò a insegnare aerodinamica all’Università di Napoli: Una nuova commissione d’inchiesta gli restituì l’onore e il prestigio, ma ci vollero anni per convincere l’opinione pubblica del suo valore e della sua buona fede.

Umberto Nobile a Eboli nella città natale dei suoi genitori.

Essendo figlio di ebolitani, dopo le trionfali accoglienze ricevute a Roma e Napoli, il Generale Nobile venne invitato ad Eboli, fu accolto nella nostra città Domenica 15 agosto 1926.
Era stato il Sindaco dell’epoca Vincenzo Carusi Abbamonte ad avvertire la cittadinanza del suo arrivo, ad attenderlo con la città tutta vi erano gli zii, i cugini i compagni di scuola e tanti cartelli con su scritte poesie dettate dal poeta Felice Cuomo:

Te stringe nel palpito
D’innùmeri cuori,
Con tutti i suoi fiori,
La nostra Città.
D’amore, di giubilo
Nel fervido coro,
Ti cinge l’allòro
Che eterno vivrà.

I cartelli in suo onore per tutto il vialone che conduceva alla piazza recavano le seguenti parole di elogio:
Eboli riabbraccia e incorona il Figlio trionfatore. / Onore a te, Eroe dei Cieli Polari. / Date cantici e serti al Conquistatore dell’Artica. / Gloria a te, nobile Figlio di Eboli. / Inni e ghirlande al Colombo dei cieli. / Viva il magnifico Argonauta d’Italia. / Fiori ed allori ad Umberto Nobile. Popolo di Eboli, inneggia al tuo figlio Glorioso.

Il cronista del Piccolo Corriere di Salerno cosi descrive quel ferragosto ebolitano del 1926: “
Chi ha veduto Eboli quel mattino del 15 agosto, ne serba un ricordo che difficilmente si cancellerà dal suo pensiero. Eboli è tutta una festa di bandiere, di festoni, di drappi, di fiori; Eboli è tutto un fremito esultante di cuori che attendono il grande Concittadino, il Trionfatore dei Cieli polari, Umberto Nobile. Da tutte le vie, da tutte le contrade si versano a onde larghe, più e più diffuse, incalzanti, i cittadini, nella sconfinata piazza della Villa Comunale, che appare già scarsa per tanta moltitudine. La fiumana di persone inonda il lungo erborato Corso Principe di Napoli, che mena alla stazione ferroviaria.: Questa è trasformata in una splendida serra di fiori e di piante e di bandiere. Sulle innumerevoli teste agitate nell’ansia dell’aspettativa, emergono la variopinta selva di vessilli, di labari, di gagliardetti, di fiamme. Tutte le associazioni, i sodalizi, le autorità civili e militari, i fascisti, i balilla, le piccole italiane, son qui presenti.
All’improvviso il fischio del treno in arrivo entra fragorosamente nella stazione, finalmente Umberto Nobile è qui, e con lui la sua famiglia. La signora Carlotta, l’unica figlia Maria, i due fratelli, Donato e Amedeo, il cugino comm. Vito La Torraca. Ecco S.E. il Prefetto Torre, l’on. Adinolfi, l’on. Bifani ed altri illustri personaggi a far da cornice al grande Esploratore Polare. Appena il Generale, montato su l’automobile incomincia a salutare la folla osannante Eboli è sua, il suo concittadino Poeta Felice Cuomo cosi lo consacra:

Ben vieni, o germoglio
Di questo bel suolo,
Tu d’Eboli orgoglio,
Tu eletto Figliolo!
O alìgero Umberto,
L’eccelsa vittoria
E’ fulgido serto
All’ ìtala gloria.
E’ il Sole d’Italia,
E’ il genio Romano,
Che irraggia sovrano
L’umano pensier.
E’ l’ala d’Italia,
Che splende, che ascende,
Che ovunque distende
L’immenso poter."

Dopo aver posto una corona dall’oro sul monumento dei caduti le venne consegnata una targa d’oro eseguita dal pof. Tomaselli con l’assistenza del nostro concittadino ing. Storniello che recava incise queste parole: A UMBERTO NOBILE – EBOLI MADRE – ROMA X APRILE – TELLER XIV MAGGIO MCMXXVI.
Giunti nel palazzo comunale il Sindaco consegna al Generale Nobile a nome della Città, una pergamena commemorativa con su scritto parole dettate da Felice Cuomo che cosi recitano:

U M B E R T O N O B I L E

TRADUSSE IN SUPERBA VIVENTE EPOPEA
IL SOGNO ARDITO DE’ SUOI GIOVANI ANNI
GUIDANDO L’ALA D’ITALIA A TRIONFARE
NELL’ARTICA IGNOTA
E IRRAGGIA DI SUA GLORIA IL VOLTO
DI EBOLI MADRE
CHE RIABBRACCIA E INCORONA
IL PIU’ GRANDE SUO FIGLIO
DOMENICA XV AGOSTO MCMXXVI.

Il Generale ringraziò e pronunziò il seguente discorso:

“Cittadini di Eboli! miei concittadini! Voi non dovete aspettarvi da me un eloquente discorso, perché, versato nello studio delle matematiche e della meccanica, non posseggo alcuna virtù oratoria. Io voglio esprimervi il mio schietto sentimento di commossa riconoscenza, per questa magnifica spontanea manifestazione di entusiasmo e di affetto, non inferiore a quella che mi attendevo dal vostro amore e dalla vostra benevolenza.
Di queste vostre fervide acclamazioni, però, io prendo ben poca parte, poiché l’altra, la maggiore, dobbiamo considerarla rivolta a Benito Mussolini, sotto l’auspicio, con l’aiuto e per volere del Quale l’ardua impresa è stata possibile. Sempre, dall’inizio al compimento del lunghissimo volo, ho sentito vicino a me l’anima di questa Eboli, di questa Eboli che fu la culla dei miei Genitori e dove ancora mi legano i più saldi vincoli di parentela e di fraterne amicizie, strette fin dai miei più giovani anni.
Se non primo, certo tra i primissimi, mi giunse a Teller il radiotelegramma del vostro Sindaco; ed ora non so dirvi quanti soavi ricordi suscitò nell’animo mio, là nella terra lontana, il saluto di questa cittadina amatissima.
In America, le più fastose e fervide accoglienze le ho ricevute dai vostri, dai nostri concittadini, i quali, al pari di tutti gli altri nostri emigrati, conservano vivissimo il sentimento della Patria e l’amore del loro paese.
Sono stato altre volte nelle regioni di oltre oceano; in quest’ultima, quindi, mi è stato possibile osservare e riconoscere tutto il progresso fatto dai nostri connazionali e la considerazione in cui ora è tenuto il nome d’Italia.
I nostri laboriosi emigrati non hanno più rossore di confessare la propria nazionalità, ma invece la gridano alto con entusiasmo e con fierezza.
Questa è magnifica opera e incontrastabile merito del nostro Governo Nazionale.
Ora, perché il Governo Nazionale possa raggiungere tutte le altissime mète alle quali mira con indomabile ardore, bisogna che ognuno, con tutte le sue energie, si prefigga di secondarne e coadiuvarne gli sforzi tenaci e sapienti.
Questo fervore di entusiasmo non deve spegnersi senza lasciar traccia di sé, ma deve trasformarsi in opera concorde e possente di tutti gli Italiani, per far sì che la Patria porti sempre più alto il suo nome, e sotto l’ ègida della Maestà del Re e la guida di Benito Mussolini, possa conquistare quel primato nel mondo che a Lei assegnava il suo superbo destino.
Ed ora invito voi tutti a gridare con me: - viva l’Italia ! viva il Re ! viva Benito Mussolini !.

Dopo tutte queste festevoli accoglienze saluta il popolo e va in visita invitato al Casino Sociale accolto dal presidente e da tutti i soci. Dopo un sontuoso ricevimento prende la parola il Dottor Luigi Imperato che cosi si esprime: “
Gli amici vogliono che io interpetri il loro cuore e ti dica il loro saluto materiato di amore fraterno, di devozione profonda e di orgoglio. Vogliono che ti dica la loro profonda riconoscenza per la gran prova di benevolenza, di affetto che tu ci hai dato deliberando sin dall’America di venire nella terra dei Tuoi Genitori prima che altrove, degnazione che ci ha reso orgogliosi fino alla gelosia, fino all’esasperazione (…) noi nell’ora dell’ansia dimenticammo le divisioni di parte, le beghe e le miserie, fummo tutti uniti nella stessa ambascia e nella stessa fede, e quando il grande annunzio pervenne noi ci sentimmo fratelli e per la prima volta forse nella vita di questa città ci trovammo tutti uniti a gridare la nostra passione, il nostro orgoglio e la nostra gioia in una sola voce concorde e potente che avremmo voluto fosse giunta fino a te. (…) lanceremo nel gran braciere del nostro orgoglio di ebolitani e della nostra passione italica tutte le miserie, tutte le scorie, tutte le ambizioni, per la fortuna avvenire del nostro paese e per renderci degni del nostro Fratello Eletto e delle grandi fortune dell’Italia Imperiale di cui il nostro Umberto preparerà e guiderà con sicura mano le belle navi del cielo.

A fine giornata con la gentile consorte e la sua amata figlioletta si ritira a casa della sorella Ida per un meritato riposo dopo una giornata di onorati convenevoli. Il mattino di lunedì, 16 agosto, accompagnato dal sindaco e dai Dottori Angelo Visconti e Luigi Imperato, si reca a visitare l’Ospedale Civile per rivolgere un saluto affettuoso agl’infermi e congratularsi con il cav. Nicola Costa benemerito presidente della congrega di carità e alla Superiora delle figlie di S. Anna, che insieme alle sorelle, e al personale, per l’ordine che regna nell’Ospedale e per le cure verso gl’infelici affidati alla loro custodia.
Dopo pranzo alle tre del pomeriggio con la signora Carlotta, la figlia Maria, i fratelli Donato e Amedeo, riparte per Roma.

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