lunedì 30 giugno 2008

Ciclismo, Simeoni campione d'Italia - giustizia per il nemico di Armstrong


EUGENIO CAPODACQUA
La Repubblica
29 giugno 2008

C'è giustizia, alla fine. Una sorta di nemesi al contrario. Una giustizia compensatrice. Prima o poi c'è per tutti. Per Filippo Simeoni, 37 agli sgoccioli di una sofferta carriera professionistica (una decina di vittorie in carriera fra cui spiccano due tappe alla Vuelta), è arrivata in un tardo pomeriggio di giugno, in una Bergamo affogata dall'afa. Sotto le vesti di una maglia tricolore dei professionisti che: "Mi ripaga di tutte le sofferenze e di tutti i sacrifici di questi anni. Una vittoria che sognavo fin da bambino, da quando avevo nove anni e pensavo di fare qualcosa di importante nel ciclismo, anche se poi mi sono dovuto ridimensionare. Una vittoria che ho meritato".

Filippo ha vinto con la forza dell'intelligenza e del carattere, lo stesso che in anni non lontanissimi lo portò a denunciare il doping del dottor Michele Ferrari, il medico più chiacchierato del ciclismo mondiale, e a subire le vendette trasversali di un certo Lance Armstrong, il padrone di sette Tour. Fu proprio il texano, seguace di Ferrari negli anni d'oro dei suoi grandi successi, a marcarlo ferocemente in quella ormai famosa diciottesima tappa del Tour 2004.

Lui, Pippo, si era infilato in una fuga con altri compagni fuori classifica; Armstrong si mosse di persona per marcarlo. Lui, il grande americano plurivincitore della "grande boucle" (quello sarà il suo sesto Tour), che si mette a tu per tu con un piccolo gregario in cerca di gloria di giornata. Lo obbligò a rinunciare. La sola presenza della maglia gialla spingeva il plotone ad inseguire ed annullare la fuga.
Simeoni, per non compromettere gli sforzi dei compagni si lasciò scivolare indietro. Sono fra le poche cose che nel ciclismo fanno indignare. Nell'ultima frazione di quel Tour Simeoni dovette subire anche il gesto delle corna fatto da Ekimov, compagno di Armstrong, mandato dal capitano a marcare ferocemente ogni iniziativa del ciociaro. L'americano, successivamente - a quanto raccontò lo stesso Simeoni - lo minacciò: "Sono ricco, ho tempo e denaro, ti distruggo, ti faccio smettere di correre". Invece intanto ha smesso lui il "cow boy" di Dallas (sia pure rimpinzato di dollari) e per Pippo, adesso, c'è questa bellissima maglia tricolore "Che dedico a tutte le persone che mi sono state vicino nei momenti difficili; maglie, figli, amici; tutti quelli che mi hanno sostenuto in questi anni difficili".

Una vita in salita quella del lombardo di Desio, ciociaro d'adozione (abita a Sezze, dove con i familiari gestisce un piccolo bar), il cui ultimo successo risale al 2005 nella 2a tappa del Giro della Cina. Per aver detto la verità alla giustizia ordinaria nel processo contro Ferrari fu perfino squalificato dall'Uci, secondo il discutibile principio che chi confessa deve essere punito in qualche modo. Questa l'assurda regola della federazione internazionale che per anni ha impedito ogni collaborazione in seno al plotone. Ma subì anche gli attacchi di un certo Mario Cipollini, anche lui per qualche stagione "cliente" di Ferrari, nonché amico "fraterno" di Armstrong. Simeoni confermò all'epoca al giudice di Bologna che Ferrari gli suggeriva di assumere sostanze dopanti. Armstrong gli diede pubblicamente del "bugiardo" e il corridore di Sezze lo querelò per diffamazione. Querela finita con un patteggiamento da parte dell'americano.

Cipollini all'epoca fece pressioni su Simeoni perché rimettesse la querela a Ferrari. Durante una corsa negli Usa, in vista del Tour, Armstrong, inoltre, avrebbe chiesto a Cipollini di adoperarsi perché Simeoni non fosse incluso nella formazione. Ma il manager della squadra di allora, Vincenzo Santoni si oppose.

Ora, francamente, vederlo sul podio tricolore sapendo che quel medico è stato radiato dal ciclismo e dallo sport nazionale (almeno ufficialmente), non può che allargare il cuore di chi per anni ha combattuto. Lui, Pippo, c'è, è lì, sul gradino più alto e a fargli da corona Giovanni Visconti e Pippo Pozzato, cioè il campione tricolore uscente e uno dei più osannati atleti del pedale nostrano. Uno di quelli - ricordano le cronache - che nel battibecco con Armstrong si schierò senza esitazione a favore dell'americano.

Doppia soddisfazione per l'atleta di Sezze, dunque. Ha vinto l'esperienza. Pippo, una volta che l'ultimo passaggio in cima a Bergamo Alta aveva scremato il gruppetto dei migliori (rinfoltitosi fino alla trentina di unità nel finale con il rientro di Bettini e altri) ha capito subito che Liquigas (Pozzato aveva con se Quinziato e Bertagnolli) e Quick Step si controllavano; che Cunego era un po' spaesato (altrimenti avrebbe messo Ballan a scandire il ritmo) e che forse a cinque chilometri dal traguardo lo avrebbero sottovalutato.

Così ha allungato deciso e la sua azione è sembrata subito potente. Dieci, dodici secondi sotto lo striscione dell'ultimo chilometro. Poi quegli infiniti metri finali. Cosa passa nella testa di un corridore quando sente che il plotone lo insegue a pochi metri dal traguardo, quando il cuore è in gola, le gambe si impastano e ogni pedalata è come fossero attraversate da coltelli? "Si sentiva come un rombo sordo. Eccoli, pensavo. Eccoli. Adesso mi passano, Adesso mi superano. Guardavo dietro e pensavo solo a spingere: un metro ancora, dai, un metro ancora, dai Pippo. Solo quasi sullo striscione ho capito che avrei vinto". La vittoria della vita.

COMMENTO

Sembra una storia d'altri tempi, raccontata con accento commosso, una bella favola che si tramuta in realtà, contro l'altra realtà, quella sgradevole, dura delle gare di competizioni, nelle quali imperversano cinismo, egoismo, assenza di sentimenti umani.

Ne esce decisamente malconcio l'"Americano" ma anche Cipollini non sembra rifulgere di luce propria.

Quanto all'UCI è semplicemente indecente il suo comportamento e le regole che lo hanno permesso, regole probabilmente elaborate apposta allo scopo di reprimere ogni falla, ogni fuga di notizie nel sistema.

BRAVO SIMEONI ! Mi associo alla tua gioia, alla tua felicità, alla tua commozione.

Lo sport avrebbe bisogno di campioni della tua statura, della tua levatura morale, ma non credo ne esistano ancora.

domenica 29 giugno 2008

IL DOLO BERLUSCONI



Marco Travaglio
L'ora d'Aria
L'Unità
29 agosto 2008
Quando il Lodo Schifani-bis, anzi il Lodo Alfano, anzi il Dolo Berlusconi sarà sulla Gazzetta Ufficiale, l’Italia sarà l’unica democrazia al mondo in cui quattro cittadini sono “più uguali degli altri” di fronte alla legge. Un privilegio che George Orwell, nella “Fattoria degli animali”, riservava non a caso ai maiali. E che, nell’Italia del 2008, diventa appannaggio dei presidenti della Repubblica, del Senato (lo stesso Schifani), della Camera e soprattutto del Consiglio. I massimi rappresentanti delle istituzioni, che nelle altre democrazie devono dare il buon esempio e dunque mostrarsi più trasparenti degli altri, in Italia diventano immuni da qualunque processo penale durante tutto il mandato, qualunque reato commettano dopo averlo assunto o abbiano commesso prima di assumerlo. Compresi i reati comuni, “extrafunzionali”, cioè svincolati dalla carica e persino dall’attività politica. Anche strangolare la moglie, anche arrotare con l’auto un pedone sulle strisce, anche stuprare la colf o molestare una segretaria. O magari corrompere un testimone perché menta sotto giuramento in tribunale facendo assolvere un colpevole. Che poi è proprio il caso nostro, anzi Suo. Come scrisse il grande Claudio Rinaldi sull'Espresso a proposito del primo Lodo, "un'autorizzazione a delinquere".
La suprema porcata cancella, con legge ordinaria - votata in un paio di minuti dal collegio difensivo allargato del premier imputato, che ha nome “Consiglio dei ministri” - l’articolo 3 della Costituzione repubblicana. Che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”. La questione è tutta qui. Le chiacchiere, come si dice a Roma, stanno a zero. Se tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, non ne possono esistere quattro che non rispondono in nessun caso alla legge per un certo numero di anni in base alle loro “condizioni personali e sociali”, cioè alle cariche che occupano. Se la Costituzione dice una cosa e una legge ordinaria dice il contrario, la legge ordinaria è incostituzionale. A meno, si capisce, di sostenere che è incostituzionale la Costituzione (magari prima o poi si arriverà anche a questo).
Ora, quando in una democrazia governo e parlamento varano una legge incostituzionale, a parte farsi un’idea della qualità del governo e del parlamento che hanno eletto, i cittadini non si preoccupano. Sanno, infatti, che le leggi incostituzionali sono come le bugie: hanno le gambe corte. Il capo dello Stato non le firma, il governo e il parlamento le ritirano oppure, se non accade nessuna delle due cose, la Corte costituzionale le spazza via. Ma purtroppo siamo in Italia, dove le leggi incostituzionali, come le bugie, hanno gambe lunghissime. Non è affatto scontato che il presidente della Repubblica o la Consulta se la sentano di bocciare la suprema porcata. A furia di strappi, minacce, ricatti, vere e proprie estorsioni politiche, il terrore serpeggia nelle alte sfere (che preferiscono chiamarlo “dialogo”). E anche la Costituzione è divenuta flessibile, anzi trattabile.
Un mese fa è passata con tutte le firme e le controfirme una legge razziale (per solennizzare il 70° anniversario di quelle mussoliniane) denominata “decreto sicurezza”: quella che istituisce un’aggravante speciale per gli immigrati irregolari. Se fai una rapina e sei di razza ariana e di cittadinanza italiana, ti becchi X anni; se fai una rapina e sei extracomunitario, ti becchi X+Y anni. Vuoi mettere, infatti, la soddisfazione di essere rapinato da un italiano anziché da uno straniero. E il principio di uguaglianza? Caduto in prescrizione. Stavolta è ancora peggio, perchè non è in ballo il destino di qualche vuccumpra’, ma l’incolumità giudiziaria del noto tangentaro (vedi ultima sentenza della Cassazione sul caso Sme-Ariosto) che siede a Palazzo Chigi. Infatti è già tutto un distinguo, a destra come nella cosiddetta opposizione, sulle differenze che farebbero del Lodo-bis una versione “migliore” del Lodo primigenio. Il ministro ad personam Angelino Jolie assicura che, bontà sua, “la sospensione dei processi non impedisce al giudice l'assunzione delle prove non rinviabili, la prescrizione è sospesa, l'imputato vi può rinunciare. La sospensione non è reiterabile e la parte civile può trasferire in sede civile la propria pretesa”. Il che, ad avviso suo e di tutti i turiferari arcoriani sparsi nei palazzi, nelle tv e nei giornali, basterebbe a rendere costituzionale la porcata.
Noi, che non siamo costituzionalisti, preferiamo affidarci a chi lo è davvero (con tutto il rispetto per Angelino e il suo gemellino Ostellino), e cioè all’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida. Il quale, interpellato il 18 giugno da Liana Milella su la Repubblica, ha spiegato come e qualmente chi cita la sentenza della Consulta che nel 2004 bocciò il primo Lodo e sostiene che questo secondo la recepisce, non ha capito nulla: “La prerogativa di rendere temporaneamente improcedibili i giudizi per i reati commessi al di fuori dalle funzioni istituzionali dai titolari delle più alte cariche potrebbe eventualmente essere introdotta solo con una legge costituzionale, proprio come quelle che riguardano parlamentari e ministri… La bocciatura del vecchio lodo nel 2004 da parte della Consulta è motivata dalla violazione del principio di uguaglianza dei cittadini quanto alla sottoposizione alla giurisdizione penale”. L’unica soluzione per derogare all’articolo 3 è modificare eventualmente la Costituzione (con doppia lettura alla Camera e doppia lettura al Senato, e referendum confermativo in mancanza di una maggioranza dei due terzi). E non con una legge che sospenda automaticamente i processi alle alte cariche: sarebbe troppo. Ma, al massimo, con una norma che - spiega Onida - “introduca una forma di autorizzazione a procedere che consentirebbe di valutare la concretezza dei singoli casi. Ragiono su ipotesi, perché gli ‘scudi’ sono da guardare sempre con molta prudenza… La sospensione non dovrebbe essere automatica, ma conseguire al diniego di una autorizzazione a procedere. E comunque la legge costituzionale resta imprescindibile”.
Insomma, quando Angelino Jolie sbandiera la “piena coincidenza del Lodo con le indicazioni della Consulta”, non sa quel che dice. La rinunciabilità del Lodo non significa nulla (comunque Berlusconi, l’unico ad averne bisogno, non vi rinuncerà mai: altrimenti non l’avrebbe fatto). E la possibilità della vittima di ricorrere subito in sede civile contro l’alta carica che le ha causato il danno, se non fosse tragica, sarebbe ridicola: uno dei quattro presidenti si mette a violentare ragazze o a sparare all’impazzata, ma i giudici non lo possono arrestare (nemmeno in flagranza di reato), nè destituire dall’incarico fino al termine della legislatura; in compenso le vittime, se sopravvivono, possono andare dal giudice civile a chiedere qualche euro di risarcimento… Che cos’è: uno scherzo? L’unica differenza sostanziale tra il vecchio e il nuovo Lodo è che stavolta vale per una sola legislatura: non per un premier che viene rieletto, nè per un premier (uno a caso) che passa da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma ciò vale fino al termine di questa legislatura. Dopodichè Berlusconi, una volta rieletto o asceso al Colle, potrà agevolmente far emendare il Lodo, sempre per legge ordinaria, e concedersi un’altra proroga di 5 o di 7 anni.

A questo punto si spera che il capo dello Stato non voglia cacciarsi nell’imbarazzante situazione in cui si trovò nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi: il quale firmò (e secondo alcuni addirittura ispirò tramite l’amico Antonio Maccanico) il Lodo, e sei mesi dopo fu platealmente smentito dalla Corte costituzionale. Uno smacco che, se si dovesse ripetere, danneggerebbe la credibilità di una delle pochissime istituzioni ancora riconosciute dai cittadini: quella del Garante della Costituzione. Quando una legge è manifestamente, ictu oculi, illegittima, il capo dello Stato ha non solo la possibilità, ma il dovere di rinviarla al mittente prima che lo faccia la Consulta.
In ogni caso, oltre al doppio filtro del Quirinale e della Consulta, c’è anche quello dei cittadini. Che, tanto per cominciare, scenderanno in piazza a Roma l’8 luglio contro questa e le altre leggi-canaglia. Dopodichè potranno raderle al suolo con un referendum, già preannunciato da Grillo e Di Pietro. Si spera che anche il Pd - se non gli eletti, almeno gli elettori - vi aderirà. Si attendono smentite al commento più scombiccherato della drammatica giornata di ieri: quello della signora Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, secondo la quale “il Lodo deve valere dalla prossima legislatura”. Così il Caimano si porta dietro lo scudo spaziale anche al Quirinale. Non sarebbe meraviglioso?

CERTIFICATI DI CREDITO DEL TESORO


Luigi Morsello

SPESE DI GESTIONE

I BOT, CTZ, CCT e BTP sono ormai tutti titoli telematici non vengono più stampati dallo Stato e devono essere custoditi in forma elettronica dall'intermediario (Banca, Ufficio Postale o altro operatore istituzionale abilitato dalla Consob) che può chiedere o no un rimborso spese. Se vengono richieste non possono superare i 10,00 € a semestre indipendentemente dalla quantità, scadenza e tipo dei titoli posseduti, dovendo essere adeguatamente pubblicizzate e indicate al cliente nei rendiconti periodici.

IMMINENZA DELLA SCADENZA

L'intermediario è tenuto ad informarvi con largo anticipo della scadenza dei Vs. BOT, CTZ, CCT e BTP indicando inoltre il termine di prenotazione per un eventuale reinvestimento.
ASTE
L'intermediario è tenuto a pubblicizzare con ampio risalto le date delle prossime aste per i BOT, CTZ, CCT e BTP e le relative scadenze di prenotazione.
VALUTA
L'intermediario è obbligato ad accreditare al cliente gli importi delle cedole dei CCT e BTP lo stesso giorno della scadenza e disponibilità immediata.
COMMISSIONI
Per CTZ, CCT e BTP lo Stato paga direttamente le commissioni agli intermediari quindi non può essere richiesta alcuna commissione per questi titoli anche nel caso in cui l'intermediario scelto non abbia partecipato direttamente all'asta della Banca d'Italia per l'emissione

CCT OBBLIGAZIONI A MEDIO LUNGO TERMINE CON CEDOLE

I CCT sono titoli di Stato al portatore a termine medio lungo con scadenza (dal 1991) a 7 anni destinati esclusivamente al mercato telematico. Sono emessi generalmente ogni 15 giorni ad un prezzo marginalmente stabilito attraverso un asta della Banca d'Italia riservata agli operatori istituzionali nella quale viene stabilito il prezzo di emissione e rimborsati alla scadenza al valore nominale di 100.
Gli operatori autorizzati (Banche Posta, ecc.) rivendono i titoli acquistati in lotti di 1.000,00 € ai singoli risparmiatori che li hanno prenotati entro il giorno precedente all'asta al prezzo determinato dall'asta stessa maggiorato della loro commissione che però deve essere contenuta entro i limiti fissati dallo Stato per decreto. Dal giorno successivo all'asta vengono quotati in borsa.
Sono titoli a tasso variabile che vengono rimborsati alla cadenza ma offrono un rendimento sotto forma di interessi pagati con cedole semestrali posticipate il cui valore è determinato di volta in volta dal rendimento dei BOT semestrali emessi nel periodo di riferimento incrementato di un'aliquota variabile tra 0,3% e 1% in funzione della durata dei CCT e decurtata dell'aliquota fiscale del 12.50%.
I CCT offrono cedole, quindi l'utile è dato solo in misura marginale dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di rimborso (sempre pari a 100,00 € ) e in larghissima parte dall'utile ottenuto con le cedole semestrali. Sulla differenza tra prezzo di emissione e rimborso viene applicata l'aliquota fiscale del 12,50%.
Anche i CCT sono generalmente disponibili nel mercato telematico (MOT) durante la loro vita utile e possono essere acquistati e ceduti in ogni momento secondo le quotazioni di mercato e la disponibilità della domanda e dell'offerta (pagando le relative commissioni): in questa fase risentono molto, soprattutto nei primi anni, degli umori di mercato e possono offrire margini di utili in caso di forti oscillazioni del mercato azionario, dell'inflazione e del tasso ufficiale di sconto.

LIVELLI DI RISCHIO: MEDIO

CCT sono una forma di investimento a medio termine che offrendo cedole variabili ricalcolate ogni sei mesi si adeguano quindi due volte l'anno ai consueti parametri dell'inflazione, del costo del denaro, ecc., possono quindi fornire in un periodo medio lungo un rendimento più adeguato rispetto ai titoli privi di cedola (BOT e CTZ) e anche a quelli a reddito fisso (BTP) ma in condizioni particolari di mercato possono essere svantaggiosi rispetto ai BOT a brevissimo corso o ai BTP di lungo periodo con tasso fisso vantaggioso.
I CCT si rivelano appetibili per chi desidera ottenere una rendita semestrale in grado di seguire l'andamento dei mercati senza eccessive sorprese o per coloro che intendono speculare sulle oscillazioni del titolo che possono essere anche sensibili nei primi anni di vita utile del titolo cioè lontani dalla scadenza in vicinanza della quale le variazioni di mercato si appiattiscono sensibilmente e le commissioni applicate quando il titolo viene negoziato rendono tali operazioni inefficaci per il risparmiatore.

CALCOLO DEI DIETIMI PER LE CEDOLE DEI TITOLI DI STATO

la parola dietimo indica l'interesse giornaliero espresso non in percentuale ma direttamente in valuta e viene utilizzata per definire gli interessi di rendimento giornalieri nelle negoziazioni dei titoli di Stato che prevedono l'emissione di cedole secondo precise norme emanate dal Ministero diverse per il mercato primario (riservato agli operatori istituzionali) e per quello secondario aperto a tutti per lotti di 1000,00 €.

MERCATO PRIMARIO CCT

Vengono considerati periodi standardizzati con anno di 360 giorni diviso in mesi di 30 giorni, le cedole non sono fisse ma variabili perchè calcolate in funzione del rendimento dei BOT semestrali.

MERCATO SECONDARIO E TRANCHE SUCCESSIVE
Nelle negoziazioni dei titoli nell'ambito del mercato secondario e per il pagamento dei dietimi per emissioni di tranche successive vengono invece seguite le convenzioni usuali basate sui giorni effettivi calcolando i giorni solari trascorsi in rapporto al totale dei giorni solari del semestre.
Ad esempio se per un titolo emesso al 5% il 1° luglio e si acquista una tranche di 1000,00 € successiva il 1° settembre dovranno essere pagati i dietimi risultanti dal calcolo così articolato:
giorni trascorsi (dal 1° luglio al 1° settembre) = 31 + 31 = 62
giorni del semestre (luglio + agosto + settembre + ottobre + novembre + dicembre) = 31 + 31 + 30 + 31 + 30 + 31 = 184
interesse semestrale = interesse annuale / 2 = 5% /2 = 0,05 / 2 = 0,025
62 / 184 * 0,025 * 1000,00 = 8,4239130 €
Lo Stato ha stabilito anche l'approssimazione in cifre decimali:
7 cifre decimali per le operazioni nell'ambito del mercato primario
5 cifre decimali per le operazioni nell'ambito del mercato secondario


Ministero dell’Economia e delle Finanze
Dipartimento del Tesoro
Direzione Seconda


VISTO il decreto del Ministro del tesoro del 9 luglio 1992, contenente “Norme specifiche per la trasparenza delle operazioni di collocamento dei titoli di Stato” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13.7.1992, Serie generale, n. 163), emanato in attuazione dell’articolo 2, comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 154 che detta “Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, successivamente modificato con decreto del Ministro del tesoro 23 dicembre 1996 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 31.12.1996, Serie generale, n. 305) e con decreto del Ministro del tesoro 10 marzo 2000 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15.3.2000, Serie generale, n. 62);
VISTO l’articolo 161, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni (testo unico bancario), il quale stabilisce che la legge 17 febbraio 1992, n. 154 viene abrogata ma continua ad essere applicata fino all’entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalle autorità creditizie ai sensi del testo unico bancario;
VISTO l’articolo 116, comma 2, del testo unico bancario, che attribuisce al Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, il potere di stabilire criteri e parametri per la determinazione delle eventuali commissioni massime addebitabili alla clientela in occasione del collocamento e per la trasparente determinazione dei rendimenti, nonché gli obblighi di pubblicità, trasparenza e propaganda da osservare nell’attività di collocamento dei titoli di Stato;
VISTO l’art. 120, comma 1, del testo unico bancario, il quale stabilisce che gli interessi sui versamenti sono conteggiati con la valuta del giorno in cui il versamento è effettuato;
VISTO l'art. 2 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, recante modificazioni al regime fiscale degli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati;
VISTO l’art. 39 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, recante disposizioni sulla dematerializzazione dei titoli di Stato;
CONSIDERATA l’opportunità di emanare nuove disposizioni per le operazioni di collocamento dei titoli di Stato, anche a seguito delle modifiche intervenute nelle tecniche di collocamento;
CONSIDERATO che, come remunerazione per il collocamento dei titoli a medio e lungo termine, agli intermediari che partecipano alle aste viene corrisposta una provvigione;
SENTITA la Banca d’Italia;

DECRETA:

Articolo 1

1. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle categorie di soggetti che svolgono le operazioni di collocamento dei titoli di Stato, a breve, a medio e a lungo termine, anche se non partecipano direttamente alle operazioni d’asta o ai consorzi di collocamento.
2. Nel caso in cui il collocamento dei titoli avvenga attraverso un consorzio di collocamento, i riferimenti al prezzo medio ponderato di cui all’articolo 2 e al prezzo di aggiudicazione di cui all’articolo 3, si intendono effettuati al prezzo di emissione stabilito dal Tesoro nel decreto di emissione.
Articolo 2

1. Per quanto concerne i buoni ordinari del Tesoro, i soggetti di cui all’articolo 1, all'atto della prenotazione da parte della clientela, sono tenuti a regolare i titoli al prezzo medio ponderato risultante dalle operazioni d'asta ed a limitare le eventuali commissioni alla misura massima indicata al successivo comma.
2. Il prezzo medio ponderato, che è reso noto con il comunicato stampa della Banca d'Italia e pubblicato a cura del Ministero dell'Economia e delle Finanze nella Gazzetta Ufficiale, è pubblicizzato nei locali aperti al pubblico mediante esposizione di avvisi datati e costantemente aggiornati, contenenti anche l’indicazione del corrispondente tasso di rendimento lordo a scadenza. Nei suddetti avvisi deve essere altresì indicata la commissione da applicare sull'operazione di sottoscrizione dei buoni. L'importo massimo di tale commissione è stabilito, per ogni 100 euro di capitale sottoscritto, come segue: 0,05 euro per i buoni aventi durata residua pari o inferiore a 80 giorni; 0,10 euro per i buoni aventi durata residua compresa tra 81 e 170 giorni; 0,20 euro per i buoni aventi durata residua compresa tra 171 e 330 giorni e 0,30 euro per i buoni di durata residua pari o superiore a 331 giorni.
3. La comunicazione inviata alla clientela relativa all'avvenuta assegnazione dei buoni ordinari del Tesoro indica analiticamente, oltre il capitale nominale dei titoli sottoscritti, i seguenti ulteriori elementi:
a. il prezzo medio ponderato risultante dall'asta di riferimento;
b. la ritenuta fiscale pagata sugli interessi, espressa sia in misura percentuale sia in valore assoluto rispetto al valore nominale;
c. la commissione applicata, espressa sia in misura percentuale sia in valore assoluto rispetto al valore nominale;
d. il prezzo totale di vendita (comprensivo quindi dell'importo della ritenuta fiscale e della commissione) ed il corrispondente tasso di rendimento annuo.

Articolo 3

1. Per quanto concerne il collocamento dei titoli di Stato a medio e a lungo termine, i soggetti di cui all'articolo 1 non addebitano commissioni sui titoli assegnati alla clientela. Sono inoltre tenuti a regolare i titoli al prezzo di aggiudicazione determinato in asta maggiorato degli eventuali interessi maturati dalla data di godimento della cedola a quella del regolamento.
2. Il prezzo di aggiudicazione, reso noto dalla Banca d'Italia tramite comunicato stampa, è pubblicizzato nei locali aperti al pubblico mediante esposizione di avvisi datati e costantemente aggiornati, contenenti anche l'indicazione del corrispondente tasso di rendimento lordo a scadenza.
3. La comunicazione inviata alla clientela relativa all'avvenuta assegnazione dei titoli di Stato a medio e a lungo termine deve indicare analiticamente, oltre il capitale nominale dei titoli sottoscritti, i seguenti ulteriori elementi:
__se il cliente è un soggetto inciso dall’imposta sostitutiva di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239:
a. il prezzo di aggiudicazione;
b. il prezzo di aggiudicazione al netto dell’imposta sostitutiva sullo scarto di emissione maturato (c.d. “prezzo per i soggetti nettisti”);
c. i dietimi di interesse netti;
d. il prezzo totale di vendita (prezzo per i soggetti nettisti comprensivo dei dietimi di interesse netti) ed il corrispondente tasso di rendimento annuo;
__se il cliente non è un soggetto inciso dall’imposta sostitutiva di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239:
a. il prezzo di aggiudicazione;
b. i dietimi di interesse lordi;
c. il prezzo totale di vendita (prezzo di aggiudicazione comprensivo dell’importo dei dietimi lordi) ed il corrispondente tasso di rendimento annuo.

Articolo 4

1. Ai sensi dell’art. 120, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i soggetti di cui all'articolo 1 accreditano alla clientela gli importi dovuti con una data di valuta coincidente con quella prevista dai singoli decreti di emissione per i relativi pagamenti.

Articolo 5

1. I soggetti indicati nell’articolo 1 espongono in modo ben visibile nei locali aperti al pubblico, non appena vengono resi noti dal Tesoro e dalla Banca d’Italia , le date di emissione dei titoli di Stato a breve, a medio e a lungo termine ed il termine entro il quale i soggetti interessati possono prenotare i titoli offerti dal Tesoro .
2. I soggetti indicati nell’articolo 1 informano con anticipo la propria clientela della scadenza dei propri titoli e del termine entro il quale la clientela stessa può prenotare i titoli offerti dal Tesoro.

Articolo 6

1. Al fine di garantire la trasparenza e la conoscibilità dell’incidenza dei costi dell’attività di gestione e di amministrazione sul rendimento effettivo dei titoli, i soggetti indicati nell'articolo 1 possono applicare spese di gestione e di amministrazione nella misura massima di 10 euro a semestre; l’importo di tali spese viene pubblicizzato nei locali aperti al pubblico mediante esposizione di avvisi datati e costantemente aggiornati e deve essere inoltre indicato nelle comunicazioni periodiche inviate alla clientela.

Articolo 7

1. Per le operazioni di collocamento disciplinate dal presente decreto non possono addebitarsi alla clientela oneri diversi da quelli indicati nei precedenti articoli, fatti salvi quelli rivenienti dall’applicazione della normativa fiscale in vigore.

Articolo 8

1. Gli avvisi da esporre nei locali aperti al pubblico, previsti dal presente decreto, riportano in maniera chiara, con una veste grafica di facile identificazione e lettura, gli elementi informativi di cui allo schema allegato.

Articolo 9

1. Alle attività disciplinate dal presente decreto si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di trasparenza e correttezza dei comportamenti previste dal decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e dalle relative disposizioni di attuazione, per i servizi e le operazioni in essi disciplinati.

Articolo 10

1. Il decreto del Ministro del tesoro 9 luglio 1992 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13.7.1992, Serie generale, n. 163) e il decreto del Ministro del tesoro 10 marzo 2000 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15.3.2000, Serie generale, n. 62) sono abrogati.
2. Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, lì 12 febbraio 2004

IL MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

Come hanno ridotto noi poveri italiani



Eugenio Scalfari
La Repubblica
29 giugno 2008



Nel 1972 due giornalisti del Washington Post iniziarono un'inchiesta sui comportamenti del presidente degli Stati Uniti d'America, Nixon, e dell'entourage dei suoi più intimi collaboratori, accusati di aver spiato i loro avversari del Partito democratico. L'inchiesta andò avanti per due anni con una serie di articoli sempre più documentati e sempre più aspri nei confronti del Presidente, supportati da documenti e testimonianze spesso coperte da anonimato. La Casa Bianca cercò in tutti i modi di intimidire l'editore (anzi l'editrice) di quel giornale senza riuscirvi. Due anni dopo, nel 1974, Nixon si dimise dalla carica per evitare l'imminente e ormai inevitabile messa in stato d'accusa da parte del Congresso.
Nel 1998, cioè ventiquattro anni dopo la conclusione del "Watergate", scoppiò lo scandalo Lewinsky, subito battezzato "Sexygate". Questa volta il bersaglio fu Bill Clinton, presidente democratico. Il reato non era neppure un reato ma pratiche di sesso orale effettuate ripetutamente nella sala ovale della Casa Bianca. Per mesi e mesi i giornali e le televisioni americane e di tutto il mondo aprirono le loro pagine alle rivelazioni sul sesso orale tra Monica e Bill, i protagonisti furono intervistati decine di volte e così pure Hillary, la moglie del Presidente. La vita privata e le intemperanze sessuali di Clinton furono raccontate nei minimi dettagli. Alla scadenza del mandato il giovane Bush, repubblicano, vinse le elezioni a mani basse.
Nessuno in America propose restrizioni alla libertà di stampa. Casa Bianca e Congresso non vararono alcuna legge che vietasse alcunché alla stampa essendo che, per radicata convinzione degli americani, la vita privata e quella pubblica dei politici sono sempre state sotto il controllo dei "media" senza restrizioni di sorta se non nei casi di diffamatoria e calunniosa non verità.

Poche settimane fa è stato presentato al Festival cinematografico di Cannes il film "Il divo" del regista Sorrentino che si è guadagnato il premio della giuria. Il protagonista è un bravissimo attore italiano che impersona Giulio Andreotti, l'accento complessivo del film è colpevolista anche se non risolve volutamente l'enigma di quell'uomo politico che fu sette volte presidente del Consiglio e fu accusato dai giornali e dai tribunali di ogni genere di nefandezze. Andreotti non ha querelato gli autori del film. Dico di più: Andreotti è stato coinvolto in processi gravissimi, condannato a gravissime pene nei processi di primo grado, poi ridotte o cancellate in appello e definitivamente annullate in Cassazione. Lui non si è mai sottratto ai processi; li ha affrontati e i suoi avvocati l'hanno difeso con tenacia e composta professionalità. Niente a che vedere con il piglio eversivo dell'avvocato Ghedini, difensore di Silvio Berlusconi e redattore delle leggi "ad personam" in favore del suo cliente. Ricordo qui i casi di Nixon, di Clinton e di Andreotti perché segnano una differenza abissale rispetto al caso Berlusconi. Differenza che riguarda contemporaneamente i protagonisti dei quattro casi, il conformismo della maggior parte della stampa italiana rispetto a quella americana, l'imbambolamento dell'opinione pubblica nostra rispetto alla reattività di quella d'oltreoceano e infine l'incapacità dei parlamentari del centrodestra di distinguere il loro ruolo di membri del potere legislativo dalle insane voglie d'un presidente del Consiglio che si vuole affrancare da ogni controllo istituzionale, giudiziario, politico, mediatico.
* * *
Bisogna tutelare la dignità privata delle persone. Principio sacrosanto. Per tutelarla c'è il codice penale e i previsti reati di calunnia e di diffamazione. Aggravata per mezzo della stampa. Se le pene si ritengono troppo lievi è giusto aggravarle. Se i processi procedono con lentezza si faccia in modo di renderli più veloci. Del resto contro la stampa di solito si procede per "direttissima".
Per proteggere la dignità dei privati (e anche degli uomini pubblici) occorre che la dignità vi sia. Nixon che usa i suoi poteri di presidente per spiare gli avversari politici non ha dignità. Clinton che si rotola sui tappeti della sala ovale con Monica non ha dignità. Berlusconi che traffica con un dirigente della Rai per collocare veline a lui ben note, favorisce quel medesimo dirigente per sue future iniziative private, negozia accordi collusivi tra Rai e Mediaset con dirigenti del servizio pubblico e perfino con un membro dell'Autorità di controllo delle comunicazioni e che infine usa alcuni di questi suoi poteri per convincere membri del Senato ad abbandonare la maggioranza e passare dalla sua parte, non ha dignità.
Ma ne ha ancora di meno quando ritaglia la sua silhouette di imputato in una legge blocca-processi, che intaserà l'intero sistema giudiziario. Nel contempo manda avanti una legge che faccia da scudo alle quattro alte cariche dello Stato. Il tutto con la connivenza dei presidenti delle Camere i quali consentono che vengano inseriti emendamenti inaccettabili e inammissibili in testi di decreto approvati dal presidente della Repubblica.
Giorgio Napolitano ha ben presente il suo ruolo "super partes" anche se le iniziative scriteriate del "premier" rendono sempre più stretto il suo spazio di mediazione. Ma si può star certi che userà i poteri di sua competenza se, nel momento in cui il disegno di legge sull'immunità delle alte cariche dello Stato sarà presentato in Parlamento e calendarizzato, la maggioranza non ritirerà l'emendamento blocca-processi inserito surrettiziamente nel decreto legge sulla sicurezza. Si può star certi che il capo dello Stato rinvierà alle Camere una legge che contenesse quell'emendamento sciagurato, inserito a sua insaputa e non bloccato come sarebbe stato suo stretto dovere dal presidente del Senato. Non già per incostituzionalità, ma per mancanza dei requisiti di urgenza. Della costituzionalità dovrà occuparsi la Corte quando sarà chiamata in causa, sia per la legge sulla sicurezza sia per l'immunità delle alte cariche e per la durata di quel privilegio immunitario.

Un collega cui non manca il talento ma che sta soffrendo (così mi sembra) d'un preoccupante prolasso di moralità deontologica, ha scritto di recente della necessità di concedere a Berlusconi una sorta di salvacondotto giudiziario; solo così, a suo avviso, si potrà risolvere l'anomalia italiana. Naturalmente chi dovrebbe prendersi carico di questa delicata operazione dovrebbe essere l'opposizione che metterebbe così le basi per affermarsi e legittimarsi di fronte alla pubblica opinione.
Favorire le scelleratezze (o le mattane) politiche d'un imputato assurto ai vertici del potere per acquistare credito da una pubblica opinione in larga misura cloroformizzata: è vero che il cinismo è di moda in politica, ma non dovrebbe spadroneggiare anche nei "media". Invece spadroneggia eccome! Questo del salvacondotto è un culmine da primato.
* * *
Lo confesso: ho un debole per la Marcegaglia. È chiara, decisa, dice sì sì, no no. Una capigliatura ondosa. Una femminile virilità. La sua ricetta è meno tasse, meno spese, salari agganciati alla produttività. Il programma di Berlusconi e anche di Tremonti, ma con qualche variante di non piccolo rilievo.
Prima variante: di diminuire le tasse non se ne parlerà fino al 2013. Avevano promesso di portare la pressione fiscale dal 43 al 40 per cento, ma ora che i voti li hanno avuti ci informano che nel 2013 la pressione fiscale sarà del 42,90. È contenta la Marcegaglia? Mi piacerebbe saperlo ma lei di queste cose non parla anche se su questo punto hanno fatto il diavolo a quattro ai tempi di Padoa-Schioppa e di Visco. Loro almeno i soldi li prendevano agli evasori e a Confindustria hanno dato cinque punti in meno di Irap e Ires. Tremonti l'Ires l'ha già riportata al livello originario, cinque punti e mezzo in più. È contenta signora? Lo dica, sì sì, no no, non muore nessuno. Qualcuno veramente ci lascia la pelle per uno straccio di contratto precario o in nero. Non dovreste espellerli da Confindustria quelli che assumono in nero?
Le spese. Tagliare gli sprechi va bene. Continuità con Padoa-Schioppa. L'Ufficio studi della Confindustria l'ha onestamente ricordato: continuità. Ma Tremonti non taglia solo le spese intermedie, taglia tutto. Tremonti è bravo. Ma lei, gentile Emma, constata con molto disappunto che la crescita nel 2008 sarà zero e nel 2009, se va bene, salirà allo 0,6. Andiamo di lusso. Con l'inflazione al 3,6 e per energia e alimentari al 5,5. Crescita zero. Investimenti sotto zero. Taglio di spese deflatorio. Però due miliardi buttati per l'Ici. Trecento milioni buttati per Alitalia, che stanno per diventare un miliardo e mezzo se Banca Intesa darà il disco verde. Sommiamo queste cifre e aggiungiamoci l'elemosina dei 500 milioni "una tantum" ai pensionati poveri. Sono già quattro miliardi buttati dalla finestra. Però niente aumento dei salari se non aumenta la produttività. Ma i suoi industriali, gentile Marcegaglia, loro per la produttività non è che abbiano fatto miracoli. Salvo il costo del lavoro da comprimere. Prodotti nuovi? Non se ne parla. Ricerca? Idem. Intanto crolla la Borsa. Non è colpa sua, signora Emma, né di Tremonti, né di Draghi. Però crolla. Trichet alzerà i tassi mentre la Fed li abbasserà. Chi ha ragione? Forse Draghi dovrebbe esprimersi e forse anche Tremonti e magari anche Confindustria.
Berlusconi è esentato. Lui si occupa di processi con Ghedini, di militari in strada con La Russa e di schedatura dei "rom" con Maroni. Ha ragione quel genio di Altan sull'ultimo numero dell'Espresso: una donnina con le labbra rosse e gli occhi pensierosi dice: "Ho paura ma non so di che cosa". Gli italiani li avete ridotti così.
(29 giugno 2008)

COMMENTO

Chissà se Emma risponderà. Io dico di no.

sabato 28 giugno 2008

BREVI RIFLESSIONI SUL PUBBLICO IMPIEGO



Luigi Morsello


Non hanno nessuna pretesa le riflessioni che seguono se non quella di portare un contributo, da parte di chi ha maturato un’esperienza di 40 anni di lavoro nelle carceri italiane in qualità di direttore, mai di dirigente.
Nel 1957 era il vigore lo Statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio n. 3.
Si trattò di uno sforzo poderoso di riassetto della miriade di leggi e leggine che fino allora avevano frammentato la condizione giuridica del lavoro dipendente pubblico; il legislatore dell’epoca sapeva legiferare.
Si potrebbe obbiettare che era un’altra epoca storica (storica ? siamo nel 1957, non nel 1857 !), un altro ritmo di vita, la società non correva (e con lei forze politiche oggi incapaci di guidarla ed indirizzarla per il bene comune, non di un singolo soggetto – si chiama privilegio !), il legislatore, oltre ad essere enormemente più competente dell’attuale e negli ultimi quattro lustri, aveva più obbiettivamente tempo per legiferare degnamente.
Fatto sta che questo codice del pubblico impiego disciplinò razionalmente la materia, secondo un modello verticistico, per carriere, preesistente, dividendo il lavoro dipendente pubblico in quattro carriere o gruppi:
1) Gruppo A: la carriera direttiva, che si concludeva con l’accesso al grado di ispettore generale, dopo aver superato lo sbarramento di esami di idoneità, concorsi speciali per esami, promozioni per merito distinto; il grado iniziale era consigliere di 3^ classe, quindi di 2^ e di 1^, poi unificati in un ruolo unico; gli altri gradi erano: direttore di sezione, direttore di divisione ed il finale quello già detto; nelle altre amministrazioni era previsto il grado di direttore generale, per decenni appannaggio della magistratura nell’amministrazione penitenziaria;
2) Gruppo B: la carriera di concetto iniziava con l’accesso a vice segretario e culminava col grado di segretario capo;
3) Gruppo C: la carriera esecutiva iniziava con la nomina ad applicato aggiunto e culminava col grado di archivista capo (alcune amministrazioni prevedevano anche un grado superiore);
4) Carriera del personale ausiliario: iniziavano col grado di ausiliare e culminavano con quello di commesso capo; per i ruoli tecnici era previsti due gradi: agente tecnico, agente tecnico capo.
Poi vi erano disposizioni speciali per vari Ministeri e per l’Amministrazione centrale. In buona sostanza un codice armonico, lungo, minuzioso, dettagliato. Furono introdotte modifiche varie, ma fino al 1972 l’impianto del codice funzionava, anche bene.
Nel 1972 iniziarono le modifiche, che io giudico nefaste, esiziali per il buon funzionamento del pubblico impiego.
Fu varato il d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748 ed iniziarono i disastri.
Si trattò della introduzione nel campo del lavoro dipendente pubblico di questa ‘dirompente’ novità: il ruolo dirigenziale
!
Venne presentato come una norma salvifica, della qualità e della produzione lavorativa che languiva.
Insomma, l’autorità politica, non volendo o non sapendo (propendo per entrambe), come contrastare iniziali forme di assenteismo e di 'lavativismo' (che è sempre esistito) anziché punire i lavativi di ogni ordine e grado, ivi compresa l’Autorità politica al governo (li vedete voi i politici che puniscono sé stessi ?), tirò fuori il primo di una serie infinita di ‘toccasana’.
Questo complesso normativo inventava i ruoli dirigenziali, con la previsione di tre gradini, e cioè, dal basso verso l'alto:
1) primo dirigente;
2) dirigente superiore;
3) dirigente generale,
ed ecco fatto, con un tocco di bacchetta magica, tutto iniziò a funzionare a meraviglia.
Ma quando mai !
Fu introdotto nel complesso normativo un articolo, un codicillo, anch’esso salutato come salvifico e che avrebbe dovuto produrre lo svecchiamento dei vertici dell’epoca del pubblico impiego: l’art. 67 (esodo volontario): l’inizio di una nuova era, il grido di battaglia, “Largo ai giovani !”
Riproduco il solo comma 1:
“Ai dirigenti ed al restante personale delle carriere direttive i quali chiedano, entro il 30 giugno 1973, il collocamento a riposo anticipato sono attribuiti:
a) un aumento di servizio di sette anni sia ai fini del compimento dell'anzianità necessaria per conseguire il diritto a pensione sia ai fini della liquidazione della pensione o dell'indennità una volta tanto; agli stessi effetti l'aumento di servizio è di dieci anni per le donne con prole di età inferiore ai quattordici anni;
b) un aumento di servizio pari al doppio del periodo occorrente per il raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo, e comunque per non oltre sette anni, ai fini della liquidazione dell'indennità di buonuscita;
c) la qualifica immediatamente superiore a quella posseduta o, se l'interessato ne faccia domanda o rivesta la qualifica terminale della propria carriera, cinque aumenti periodici di stipendio, in aggiunta a quelli in godimento, ai fini della liquidazione della pensione, o della indennità una volta tanto, e dell'indennità di buonuscita.”
Mi sembra chiaro il ricatto.
Se tu, pubblico dipendente di una certa età, te ne vai in pensione ti regaliamo:
*sette anni (dieci per le donne con figli con meno di 14 anni di età) di maggiore anzianità, sia ai fini della liquidazione della pensione o dell’indennità sostituiva, sia della buonuscita,
**la qualifica immediatamente superiore a quella posseduta, in alternativa e a domanda, cinque aumenti periodici (biennali) di stipendio in aumento a quelli posseduti e per gli impiegati che possedevano già la qualifica terminale (ispettore generale), sia ai fini pensionistici che della buonuscita.
Nell’amministrazione penitenziaria c’erano solo 12 ispettori generali (divenuti dirigenti superiori), dopo il 30 giugno 1973 ne restarono solo due, uno senza figli e l’altro con otto figlie femmine.
Un disastro !
Ci sono voluti 30 anni per rimediarvi, con molta difficoltà e non altrettanto bene.
Si era frantumato il ricambio generazionale e il rapporto fra generazioni, in cui le precedenti insegnavano alle nuove.
Ora non accade più: nessuno insegna a nessuno, anche perché nessuno ha granché da insegnare.
Ma non è finita qui, e non solo in tema di dirigenza.
Le porcherie perpetrate sono innumerevoli.
L’11 luglio 1980 il legislatore decide di approvare la legge n. 312, contenente il nuovo assetto retributivo – funzionale del personale civile e militare dello Stato.
Come al solito, il legislatore decide che … basta con la inefficienza del pubblico impiego, escogita dunque un’altra bella pensata: modifichiamo di nuovo la struttura del pubblico impiego e questa volta andiamo oltre l’istituzione (del tutto inutile, se non far prendere più soldi ai già privilegiati di prima) della dirigenza amministrativa.
Risultato: sostituisce l’organizzazione per carriere con i livelli retributivo- funzionali.

Roba da restare tramortiti dallo stupore !

Siccome l’organizzazione per carriere non funziona (rectius: non gliene frega niente a nessuno di farla funzionare) modifichiamo e pungoliamo, incentiviamo i pubblici dipendenti con livelli di retribuzione collegati con le funzioni da essi disimpegnate.
Il personale viene inquadrato in otto qualifiche funzionali, poi aumentate a nove dopo qualche anno, dalla base verso i vertici: dalla prima alla ottava qualifica, e poi alla nona.
Prevediamo, pensa il legislatore, per ogni qualifica funzionale vari profili professionali e colleghiamoli con i lavoratori dipendenti delle qualifiche individuate, dalla prima all’ottava e poi, lo ripeto, alla nona.
La struttura del pubblico impiegato per carriere è cancellata a favore di un
inquadramento orizzontale.
È prevista la ‘mobilità’ (entra in scena questo sostantivo miracolistico) verticale e quella orizzontale. I pubblici dipendenti possono emigrare verso altre qualifiche del medesimo livello o verticalizzare la propria attività verso un livello retributivo superiore: geniale !
Poi iniziano le solite complicatissime norme di primo inquadramento del personale facente parte delle ex carriere, ma occorre anche elaborare i profili professionali, compito affidato ad ogni Ministero.
Il compito, che si era previsto dovesse svolgersi entro 12 mesi dalla data di promulgazione della 312/1980, sarà completato solo il d.P.R. n. 1219 del 1984.
Dunque, tre anni e mezzo dopo.
Ma non era ancora finita lì, occorreva che una Commissione paritetica determinasse la corrispondenza tra qualifiche precedenti e nuovi profili professionali, compito che veniva consegnato il 28 settembre 1998.
Ovviamente, la lista di attesa era lunga, ai pubblici dipendenti competeva il diritto ai conguagli, con interesse legale e rivalutazione monetaria, per il maturato economico dei cinque anni precedenti tale data, oltre i quali scattava la prescrizione quinquennale dei diritti.
La matassa si ingarbugliava sempre più.
Non passano altri cinque anni ed eccoti l’ennesimo lampo di genio: siccome l’impiego dipendente pubblico continua, ostinatamente, a non funzionare, privatizziamolo, introduciamo la disciplina privatistica nel lavoro dipendente (ex) pubblico (sindacati compresi), così ogni cosa va a posto.
Ma come non averci pensato prima !
Eccoci al decreto legislativo 29 febbraio 1993 n. 29: il gioco è fatto.
Restano nell’alveo della disciplina pubblicistica del lavoro dipendente dello Stato solo:
1) i magistrati,
2) gli avvocati ed i procuratori dello Stato,
3) il personale militare e delle forze di polizia,
4) il personale della carriera diplomatica e di quella prefettizia.
Tutto a posto ? Ma quando mai !
Occorre riesaminare, riassettare, revisionare, rivedere, perché le cose continuano a non andar bene e allora eccoti fuori dal cappello a cilindro del prestigiatore-legislatore il decreto legislativo 165 del 30 marzo 2001, con le solite esclusioni, questa volta è escluso anche il personale direttivo e dirigenziale dell’Amministrazione penitenziaria divenuto, anzi rientrato nella disciplina di diritto pubblico con la legge 154 del 27 luglio 2005, che fa scomparire i direttivi di vertice dall’Amministrazione penitenziaria: i C3 (non la pessima auto della Citroen) tutti dirigenti !
E non è ancora finita.
Chissà cosa si inventerà l’attuale Ministro della Funzione Pubblica.
La conclusione, amarissima, è una sola. La classe politica non sa nemmeno com’è fatto il lavoro dipendente pubblico, provengano da altre estrazioni, di partito, di arti e mestieri vari, di insegnamento universitario ed altro ancora, talvolta dal nulla.
Bravissimi tutti, per carità.
Ma nessuno sa com’è fatto il ‘travet’ !
L’inefficienza nel lavoro dipendente pubblico o ex pubblico è responsabilità primaria del potere politico, sub-primaria dei dirigenti e direttivi di vertice, nazionale, regionale e periferico in genere.
Diceva Totò, nei panni del tirchio barone Antonio Peletti nel film “47 morto che parla”: “E io pago ! E io pago !”.
Qui, in Italia, oggi invece nessuno paga, purtroppo.

Ed è una ennesima vera indecenza.

IL GENERALE UMBERTO NOBILE


Mariano Pastore

Il subentrante mese di luglio ricorre l’anniversario della morte di Umberto Nobile, un personaggio non nativo di Eboli, ma con sangue “eburino” nelle vene perché figlio di ebolitani.
Ho cercato le fonti trovandole in un articolo di un cronista scrittore, Michele Scozzai, apparso sulla rivista Storia dal titolo “Polo Nord: La gara per salvare Nobile, naufragato al Polo nel 1928” e nel bel fascicolo edito dal Comune di Eboli datato e titolato “XV AGOSTO MCMXXVI – UMBERTO NOBILE”.
Il nome di Umberto Nobile è familiare ad Eboli, perché, pur essendo nato il 21 gennaio 1885 a Lauro in provincia di Avellino, i suoi genitori, Vincenzo e Maria La Torraca, erano ebolitani con una grossa ed estesa parentela residente ad Eboli.
Di lui si parla da un secolo, si sono consumati fiumi d’inchiostro per descrivere e ricordare le sue imprese esplorative e le sue invenzioni che sbalordirono il mondo nei primi decenni del ventesimo secolo.
Uomo “geniale”, come tanti del suo tempo subì la strumentalizzazione della propaganda ideologica del regime fascista che governava l’Italia in quel periodo e che aveva bisogno di uomini da usare come esempio per esaltare la grandezza imperiale dell’Italia fascista, fin quando facevano comodo, per poi sbarazzarsene al momento opportuno e buttarli nella polvere quando una qualsiasi azione potesse danneggiare i fasti dell’impero.
Accadde anche ad
Umberto Nobile.
Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario dell’impresa al Polo Nord che lo rese famoso al mondo intero ed il trentesimo anno della sua morte avvenuta a Roma a 93 anni, il 30 luglio 1978.

Chi era lo scopritore del Polo Nord?

A diciotto anni dopo gli studi liceali s’iscrisse all’università di Napoli laureandosi in ingegneria industriale meccanica, vinse due concorsi uno nel Genio Civile e l’altro nel Ministero delle Ferrovie, dopo due anni frequentò un corso di Aerotecnica tenuto a Roma da Gaetano Arturo Crocco, progettista e costruttore del primo dirigibile che tenne a battesimo in volo nel 1908.
Durante il primo conflitto mondiale viene aggregato presso lo stabilimento militare di costruzioni aeronautiche pur non facendo parte dell’esercito. In questo stabilimento nel 1916 progettò un nuovo dirigibile capace di esplorazioni nautiche che chiamò “O” e nel 1918 il primo paracadute italiano.

Nel 1919 è nominato direttore dello stabilimento che dirigerà fino al 1927; in questi otto anni di direzione perfeziona e progetta con i collaboratori dei dirigibili semirigidi ed insieme all’amico, ingegner Giovanni Caproni, realizza il primo aeroplano metallico italiano.
Nell’agosto del 1922 si reca negli Stati Uniti, collabora con i tecnici americani alla costruzione di un’aeronave militare.
Nel 1923, tornato in Italia, realizza il dirigibile “N1”, questo modello verrà impiegato anni dopo nella prima trasvolata del Polo Nord. Nello stesso anno viene nominato tenente colonnello del Genio Aeronautico.
Nel 1925 ebbe i primi contatti con l’esploratore norvegese Roald Amundsen, già conquistatore del Polo Sud, con lui e l’americano Lincon Ellsworth parte il 10 aprile 1926 da Ciampino a bordo del dirigibile Norge, da lui stesso progettato, e dopo lo scalo alla Baia del Re (Isole Svalbard) nella notte tra l’11 e il 12 maggio, sorvola il Polo Nord, atterra due giorni dopo senza scalo a Telier in Alaska, compiendo una traversata di oltre 5300 Km. In seguito, nascono polemiche tra lui ed Amundsen sul merito e il credito della spedizione.
Il 15 aprile 1928 l’impresa viene ripetuta partendo dall’aerodromo milanese di Baggio, al comando del dirigibile Italia con equipaggio e mezzi interamente italiani e finanziamenti privati. Nobile, in quell’occasione, effettuò tre voli: il primo si concluse dopo appena otto ore a causa di un problema ai timoni, il secondo, durante il quale vennero fatti importanti rilievi cartografici, si protrasse per tre giorni. Il terzo, quello fatale, era diretto al Polo.
Il dirigibile partì il 23 maggio dalla Baia del Re. Dopo venti ore di traversata veloce, sorvolò l’obiettivo, battuto da un vento fortissimo. Il dirigibile cominciò a sbandare nella tormenta. In breve, gran parte del combustibile fu bruciato: l’isola di Spitzbergen, nonostante fossero già stati percorsi 1540 Km. contro i 1320 previsti, era ancora lontana. Nobile capì che, con il carburante residuo, non vi era più alcuna possibilità di tornare alla base e ordinò di scendere a bassa quota. Forse aveva in mente un atterraggio di fortuna. Ma accadde qualcosa e il dirigibile cominciò a puntare verso il pak più velocemente del previsto. L’urto fu inevitabile: per i superstiti iniziava cosi un’estenuante lotta per la sopravvivenza.
I tentativi di salvataggio furono tanti, le speranze dei naufraghi erano ridotte al lumicino. Nobile fu tratto in salvo da un Fokker pilotato da Einar Lundborg, provvisto di pattini l’aereo riuscì ad atterrare nei pressi della tenda rossa, Nobile si fece convincere a salirvi anche perchè era certo che dalla Baia del Re avrebbe potuto coordinare meglio il salvataggio dei compagni. Difatti la svolta avvenne grazie a Nobile. Il Krassin, un rompighiaccio sovietico sul quale era
imbarcato il professore russo Rudolf Samoilovich, amico personale di Nobile, offrì il proprio aiuto alla nave appoggio Città di Milano. comandata dal Romagna che, tuttavia, ancora una volta, declinò l’offerta, certo che la Braganza sarebbe stata in grado di salvare i naufraghi. Ma Nobile sapeva bene che cosi non era. Prese l’iniziativa e scrisse un telegramma al comandante del Krassin: “Tutte le nostre speranze sono riposte su di voi”, Samoilovich diede ascolto a Nobile e il rompighiaccio fece rotta sulla tenda rossa. Il Krassin arrivò nei pressi dell’incidente ai primi di luglio, preceduto da un idrovolante pilotato da Boris Chuknovskij, che però – dopo aver individuato Mariano e Zappi – fu costretto a un atterraggio di fortuna. All’alba del 12 giugno la nave russa prese a bordo Mariano e Zappi, mezzo accecati e in fin di vita; poi, la sera, trasse in salvo i superstiti della tenda rossa, e sulla via del ritorno riuscì a recuperare anche Chuknovskij. Era la fine dell’incubo. Il 13 anche Sora e van Dongen, stremati, vennero recuperati da due idrovolanti e accompagnati sulla Quest. “L’alpino avrebbe subito voluto rimettersi in marcia per cercare l’involucro del dirigibile” dice Basset. Ma l’impresa sarebbe stata un suicidio. Nelle settimane successive, la Braganza, il Krasin e l’idrovolante di Penzo continuarono le ricerche. Ma da Roma e Mosca, in agosto, giunse l’ordine di rimpatriare uomini e mezzi. Penzo e il suo equipaggio, durante il viaggio di rientro, precipitarono e perirono. Il 15 settembre anche la Città di Milano abbandonò l’isola di Spizbergen, mettendo fine a una delle storie più sciagurate di sempre. In tutto si contarono 17 vittime: 8 membri dell’equipaggio del dirigibile e 9 soccorritori.
Dopo la tragedia, una commissione d’inchiesta riconobbe Nobile colpevole di aver provocato l’incidente con una manovra errata. Il gerarca Italo Balbo ministro della Regia Aeronautica da sempre nemico del Nobile colse l’occasione per accusarlo di arroganza e di vigliaccheria per aver abbandonato i compagni. L’equipaggio si spaccò in due: amicizie e legami si sfaldarono. Il generale Nobile, sdegnato, si dimise dall’Aeronautica. La sua carriera fu stroncata.
Racconta la figlia Maria Nobile, oggi novantenne: “Mussolini chiamò mio padre per farsi raccontare dell’impresa. Il duce l’accolse affettuosamente e lui gli mostrò dati e documenti che spiegavano le ragioni per cui aveva accettato di lasciare per primo la tenda rossa (se non l’avesse fatto, il Krasin non sarebbe mai intervenuto, ndr). Ma, arrabbiato com’era, si lasciò trascinare dal suo carattere impetuoso: alzò la voce e fece impallidire Mussolini. Al duce bastò un cenno di capo perché il suo cameriere personale prendesse mio padre e lo accompagnasse alla porta”.
A Nobile non restò che lasciare l’Italia. Si trasferì per cinque anni in Russia, dove continuò a progettare dirigibili, e per tre anni negli Usa. Dopo una breve tappa in Spagna, tornò in Italia nel 1943. Tra il 1946 e il 1948 fu deputato indipendente all’assemblea costituente, poi andò a insegnare aerodinamica all’Università di Napoli: Una nuova commissione d’inchiesta gli restituì l’onore e il prestigio, ma ci vollero anni per convincere l’opinione pubblica del suo valore e della sua buona fede.

Umberto Nobile a Eboli nella città natale dei suoi genitori.

Essendo figlio di ebolitani, dopo le trionfali accoglienze ricevute a Roma e Napoli, il Generale Nobile venne invitato ad Eboli, fu accolto nella nostra città Domenica 15 agosto 1926.
Era stato il Sindaco dell’epoca Vincenzo Carusi Abbamonte ad avvertire la cittadinanza del suo arrivo, ad attenderlo con la città tutta vi erano gli zii, i cugini i compagni di scuola e tanti cartelli con su scritte poesie dettate dal poeta Felice Cuomo:

Te stringe nel palpito
D’innùmeri cuori,
Con tutti i suoi fiori,
La nostra Città.
D’amore, di giubilo
Nel fervido coro,
Ti cinge l’allòro
Che eterno vivrà.

I cartelli in suo onore per tutto il vialone che conduceva alla piazza recavano le seguenti parole di elogio:
Eboli riabbraccia e incorona il Figlio trionfatore. / Onore a te, Eroe dei Cieli Polari. / Date cantici e serti al Conquistatore dell’Artica. / Gloria a te, nobile Figlio di Eboli. / Inni e ghirlande al Colombo dei cieli. / Viva il magnifico Argonauta d’Italia. / Fiori ed allori ad Umberto Nobile. Popolo di Eboli, inneggia al tuo figlio Glorioso.

Il cronista del Piccolo Corriere di Salerno cosi descrive quel ferragosto ebolitano del 1926: “
Chi ha veduto Eboli quel mattino del 15 agosto, ne serba un ricordo che difficilmente si cancellerà dal suo pensiero. Eboli è tutta una festa di bandiere, di festoni, di drappi, di fiori; Eboli è tutto un fremito esultante di cuori che attendono il grande Concittadino, il Trionfatore dei Cieli polari, Umberto Nobile. Da tutte le vie, da tutte le contrade si versano a onde larghe, più e più diffuse, incalzanti, i cittadini, nella sconfinata piazza della Villa Comunale, che appare già scarsa per tanta moltitudine. La fiumana di persone inonda il lungo erborato Corso Principe di Napoli, che mena alla stazione ferroviaria.: Questa è trasformata in una splendida serra di fiori e di piante e di bandiere. Sulle innumerevoli teste agitate nell’ansia dell’aspettativa, emergono la variopinta selva di vessilli, di labari, di gagliardetti, di fiamme. Tutte le associazioni, i sodalizi, le autorità civili e militari, i fascisti, i balilla, le piccole italiane, son qui presenti.
All’improvviso il fischio del treno in arrivo entra fragorosamente nella stazione, finalmente Umberto Nobile è qui, e con lui la sua famiglia. La signora Carlotta, l’unica figlia Maria, i due fratelli, Donato e Amedeo, il cugino comm. Vito La Torraca. Ecco S.E. il Prefetto Torre, l’on. Adinolfi, l’on. Bifani ed altri illustri personaggi a far da cornice al grande Esploratore Polare. Appena il Generale, montato su l’automobile incomincia a salutare la folla osannante Eboli è sua, il suo concittadino Poeta Felice Cuomo cosi lo consacra:

Ben vieni, o germoglio
Di questo bel suolo,
Tu d’Eboli orgoglio,
Tu eletto Figliolo!
O alìgero Umberto,
L’eccelsa vittoria
E’ fulgido serto
All’ ìtala gloria.
E’ il Sole d’Italia,
E’ il genio Romano,
Che irraggia sovrano
L’umano pensier.
E’ l’ala d’Italia,
Che splende, che ascende,
Che ovunque distende
L’immenso poter."

Dopo aver posto una corona dall’oro sul monumento dei caduti le venne consegnata una targa d’oro eseguita dal pof. Tomaselli con l’assistenza del nostro concittadino ing. Storniello che recava incise queste parole: A UMBERTO NOBILE – EBOLI MADRE – ROMA X APRILE – TELLER XIV MAGGIO MCMXXVI.
Giunti nel palazzo comunale il Sindaco consegna al Generale Nobile a nome della Città, una pergamena commemorativa con su scritto parole dettate da Felice Cuomo che cosi recitano:

U M B E R T O N O B I L E

TRADUSSE IN SUPERBA VIVENTE EPOPEA
IL SOGNO ARDITO DE’ SUOI GIOVANI ANNI
GUIDANDO L’ALA D’ITALIA A TRIONFARE
NELL’ARTICA IGNOTA
E IRRAGGIA DI SUA GLORIA IL VOLTO
DI EBOLI MADRE
CHE RIABBRACCIA E INCORONA
IL PIU’ GRANDE SUO FIGLIO
DOMENICA XV AGOSTO MCMXXVI.

Il Generale ringraziò e pronunziò il seguente discorso:

“Cittadini di Eboli! miei concittadini! Voi non dovete aspettarvi da me un eloquente discorso, perché, versato nello studio delle matematiche e della meccanica, non posseggo alcuna virtù oratoria. Io voglio esprimervi il mio schietto sentimento di commossa riconoscenza, per questa magnifica spontanea manifestazione di entusiasmo e di affetto, non inferiore a quella che mi attendevo dal vostro amore e dalla vostra benevolenza.
Di queste vostre fervide acclamazioni, però, io prendo ben poca parte, poiché l’altra, la maggiore, dobbiamo considerarla rivolta a Benito Mussolini, sotto l’auspicio, con l’aiuto e per volere del Quale l’ardua impresa è stata possibile. Sempre, dall’inizio al compimento del lunghissimo volo, ho sentito vicino a me l’anima di questa Eboli, di questa Eboli che fu la culla dei miei Genitori e dove ancora mi legano i più saldi vincoli di parentela e di fraterne amicizie, strette fin dai miei più giovani anni.
Se non primo, certo tra i primissimi, mi giunse a Teller il radiotelegramma del vostro Sindaco; ed ora non so dirvi quanti soavi ricordi suscitò nell’animo mio, là nella terra lontana, il saluto di questa cittadina amatissima.
In America, le più fastose e fervide accoglienze le ho ricevute dai vostri, dai nostri concittadini, i quali, al pari di tutti gli altri nostri emigrati, conservano vivissimo il sentimento della Patria e l’amore del loro paese.
Sono stato altre volte nelle regioni di oltre oceano; in quest’ultima, quindi, mi è stato possibile osservare e riconoscere tutto il progresso fatto dai nostri connazionali e la considerazione in cui ora è tenuto il nome d’Italia.
I nostri laboriosi emigrati non hanno più rossore di confessare la propria nazionalità, ma invece la gridano alto con entusiasmo e con fierezza.
Questa è magnifica opera e incontrastabile merito del nostro Governo Nazionale.
Ora, perché il Governo Nazionale possa raggiungere tutte le altissime mète alle quali mira con indomabile ardore, bisogna che ognuno, con tutte le sue energie, si prefigga di secondarne e coadiuvarne gli sforzi tenaci e sapienti.
Questo fervore di entusiasmo non deve spegnersi senza lasciar traccia di sé, ma deve trasformarsi in opera concorde e possente di tutti gli Italiani, per far sì che la Patria porti sempre più alto il suo nome, e sotto l’ ègida della Maestà del Re e la guida di Benito Mussolini, possa conquistare quel primato nel mondo che a Lei assegnava il suo superbo destino.
Ed ora invito voi tutti a gridare con me: - viva l’Italia ! viva il Re ! viva Benito Mussolini !.

Dopo tutte queste festevoli accoglienze saluta il popolo e va in visita invitato al Casino Sociale accolto dal presidente e da tutti i soci. Dopo un sontuoso ricevimento prende la parola il Dottor Luigi Imperato che cosi si esprime: “
Gli amici vogliono che io interpetri il loro cuore e ti dica il loro saluto materiato di amore fraterno, di devozione profonda e di orgoglio. Vogliono che ti dica la loro profonda riconoscenza per la gran prova di benevolenza, di affetto che tu ci hai dato deliberando sin dall’America di venire nella terra dei Tuoi Genitori prima che altrove, degnazione che ci ha reso orgogliosi fino alla gelosia, fino all’esasperazione (…) noi nell’ora dell’ansia dimenticammo le divisioni di parte, le beghe e le miserie, fummo tutti uniti nella stessa ambascia e nella stessa fede, e quando il grande annunzio pervenne noi ci sentimmo fratelli e per la prima volta forse nella vita di questa città ci trovammo tutti uniti a gridare la nostra passione, il nostro orgoglio e la nostra gioia in una sola voce concorde e potente che avremmo voluto fosse giunta fino a te. (…) lanceremo nel gran braciere del nostro orgoglio di ebolitani e della nostra passione italica tutte le miserie, tutte le scorie, tutte le ambizioni, per la fortuna avvenire del nostro paese e per renderci degni del nostro Fratello Eletto e delle grandi fortune dell’Italia Imperiale di cui il nostro Umberto preparerà e guiderà con sicura mano le belle navi del cielo.

A fine giornata con la gentile consorte e la sua amata figlioletta si ritira a casa della sorella Ida per un meritato riposo dopo una giornata di onorati convenevoli. Il mattino di lunedì, 16 agosto, accompagnato dal sindaco e dai Dottori Angelo Visconti e Luigi Imperato, si reca a visitare l’Ospedale Civile per rivolgere un saluto affettuoso agl’infermi e congratularsi con il cav. Nicola Costa benemerito presidente della congrega di carità e alla Superiora delle figlie di S. Anna, che insieme alle sorelle, e al personale, per l’ordine che regna nell’Ospedale e per le cure verso gl’infelici affidati alla loro custodia.
Dopo pranzo alle tre del pomeriggio con la signora Carlotta, la figlia Maria, i fratelli Donato e Amedeo, riparte per Roma.

BENEDETTO MARCELLO



Concerto per oboe e orchestra
x Mariano Pastore







venerdì 27 giugno 2008

Studiato il «cervello gay» - è simile a quello della donne


Adriana Bazzi
Il Corriere della Sera
17 giugno 2008
Condividono lo stesso tipo di organizzazione dei collegamenti fra neuroni
MILANO — Dopo il gene gay
(http://www.repubblica.it/2006/08/sezioni/scienza_e_tecnologia/genetica/gay-etero/gay-etero.html), ecco il cervello omosex: gli uomini omosessuali condividono con le donne etero caratteristiche cerebrali simili. Stesso discorso per le lesbiche: i loro due emisferi assomigliano più a quelli di un uomo che di una donna etero. E si riapre così il dibattito fra chi sostiene che l’omosessualità è una questione puramente biologica e chi invece la interpreta come il prodotto di un condizionamento ambientale. La nuova ricerca, appena pubblicata sulla rivista scientifica Pnas, parla in generale di forma del cervello e, in particolare, di una sua zona, l’amigdala, legata alle emozioni e all’umore.

Così, secondo un gruppo di ricercatori svedesi dello Stockholm Brain Institute, il cervello delle donne omosessuali e degli uomini etero è leggermente asimmetrico, con l’emisfero di destra lievemente più largo di quello di sinistra, mentre il cervello di uomini omosessuali e donne etero non lo è. Non contenti, poi, di aver sottoposto 90 volontari alla risonanza magnetica per ottenere questi risultati (l'esame permette di «fotografare » con estrema precisione un organo), Ivanka Savic e Per Lindstrom hanno pensato anche di ricorrere alla Pet (la tomografia a emissione di positroni che invece consente di vedere il funzionamento di un organo) per valutare l'amigdala, una piccola zona del cervello che è coinvolta nelle reazioni allo stress.

E hanno dimostrato che gay e donne etero condividono lo stesso tipo di organizzazione dei collegamenti fra neuroni, così come lesbiche e uomini etero ne condividono altri, il che potrebbe spiegare come i gay siano emotivamente più simili alle donne. Se però queste differenze siano responsabili dell’orientamento sessuale o ne siano la conseguenza è ancora tutto da verificare. E le numerose ricerche condotte fino a oggi non sono mai riuscite a dimostrare definitivamente una vera diversità biologica fra omosessuali ed eterosessuali. Nel 1993 aveva fatto scalpore uno studio pubblicato su una rivista di tutto rispetto, l’americana Science, a firma di Dean Hamer, secondo il quale esisteva un gene dell’omosessualità, ma nessuno lo ha poi confermato.

Due anni prima un altro ricercatore, Simon LeVay ( che ha poi scritto il libro «Sexual brain», il cervello sessuale) aveva sostenuto che gay e donne presentavano una certa area del cervello più piccola rispetto agli uomini etero e aveva scatenato polemiche a non finire. Oggi la maggior parte degli scienziati pensa che alla base di molti comportamenti umani (compreso quello sessuale) esista un fattore biologico (forse anche genetico), sul quale poi interviene l’ambiente sia fisico, che culturale. Gli stessi ricercatori svedesi si chiedono se le differenze fra i due emisferi cerebrali abbiano origine già nell’utero o si sviluppino poi dopo la nascita e alla fine concludono che probabilmente l’ambiente uterino prima e l’ambiente in cui poi vive il bambino abbiano entrambi la loro influenza. Del resto c’è anche chi ha ipotizzato che i gay raramente sono figli unici, ma più spesso sono secondogeniti (per questi ultimi la probabilità di essere omosessuali è del 30 per cento) o terzogeniti (in questo caso la probabilità aumenta ancora): sarebbe lo stesso organismo materno a «difendersi» contro i maschi, creando condizioni «femminilizzanti».

MORTE A VENEZIA

Gustav Mahler
Sinfonia n. 5
Adagietto
x Rossana

GIOVANNI ALLEVI - ARIA

Luigi Morsello

Se si chiudono gli occhi sembra di sentire Ludovico Einaudi.
Vorrei chiedere: perchè non si esibisce con un classico, per esempio, la "sonata al chiaro di luna" ? Come si fa, eccetto i discografici (chiaramente interessati), a dargli tanta importanza ? Come si fa a non rendersi conto che prende tutti per i fondelli ?
Non occorre essere un musicologo !
Questa è musica minimalista, acqua fresca rispetto ai capostipiti: Erik Satie, Michael Nyman, lo stesso Ludovico Einaudi !

giovedì 26 giugno 2008

EL ALAMEIN - SINONIMO DI EROISMO


El Alamein, ultime lettere dal deserto
Giuseppe Ramazzotti
Il Corriere della Sera
25 giugno 2008

Nel deserto di El Alamein, dove nel 1942 si scontrarono i soldati inglesi con quelli italiani e tedeschi, con la pace è tornato il silenzio rotto solo dallo scoppio accidentale di qualche mina, dalle voci dei beduini alla ricerca di rottami e, 60 anni fa, dal lavoro degli operai di Caccia Dominioni che recuperavano i resti dei caduti. Fino a poco tempo fa il governo egiziano ha impedito agli stranieri di andare nell'area della battaglia anche per le scaramucce che impegnano i soldati del Cairo contro i contrabbandieri. Ma Stefano Rossi, 48 anni, ex ufficiale degli alpini paracadutisti e ricercatore storico e Luigi Vittori, 60 anni, studioso di storia della seconda guerra mondiale, hanno convinto il governo a concedere a un piccolo gruppo di italiani il permesso di raggiungere l'antico campo di battaglia.

Nel corso delle ricognizioni fatte in questi mesi da Rossi e Vittori la sabbia ha restituito una serie di reperti che testimoniano la vita quotidiana dei soldati: la bottiglia di Gordon Gin di un militare di Sua Maestà britannica («Più in là — racconta Rossi — abbiamo trovato le bottiglie molotov dei nostri parà»), le scatole di fiammiferi con la pubblicità dell'aranciata San Pellegrino, le «Finest norwegian Brisling sardines» del menù di un fante della 44ª divisione, le sigarette «tipo esportazione » dei Regi monopoli o le più raffinate «numero 10 sigarette Macedonia», il coperchio di una gavetta con inciso il nome del proprietario: Dianna. M a nell'elenco dell'ex ufficiale degli alpini ci sono anche indumenti, buffetterie, suole e tomaie di scarpe cotte dal sole, occhiali, borracce, fogli di giornale. Il clima secco del deserto li aveva almeno parzialmente salvati: «Commovente il ritrovamento di frammenti di lettere e di piastrini di riconoscimento». Ecco la busta di una lettera indirizzata al soldato Vittorio Caldoguegno del 185˚ reggimento Folgore con tanto di francobolli da 5 e 10 centesimi. C'è il piastrino di Domenico Binello originario di Covone, in provincia di Cuneo, classe 1922.

«Abbiano fatto ricerche nella speranza di ritrovarlo — racconta Rossi —. Purtroppo è deceduto nel 1986. Stiamo anche cercando chi portava il piastrino con su scritto "Formichella Vincenzo di Luigi e Lombardi Caterina, nato a Montegiordano (Cosenza) nel 1920". Ne abbiamo trovato anche uno tedesco con su stampigliato "162 A, II/Art.Reg. 7", presumibilmente un artigliere paracadutista della brigata Ramke». La lettura dei libri di Paolo Caccia Dominioni, di Raffaele Doronzo e di Renato Migliavacca sugli italiani in Africa Settentrionale, la decifrazione di antiche e nuove mappe e l'uso del Gps hanno fatto ritrovare luoghi entrati nella storia della battaglia di El Alamein: il Passo del Carro, il Passo del Cammello, le alture di Naqb Rala dove combatterono vittoriosi i parà del 186˚ Folgore contro i legionari di France Libre e gli inglesi della 44ª divisione. Ma anche nicchie nel terreno come la buca da dove sparava con la mitragliatrice il parà di Saronno Cesare Lui, classe 1919: «Abbiamo rintracciato e fotografato la sua buca che aveva ancora sul fondo i bossoli della sua Breda».

C'è il rischio di ritrovare questi reperti in un mercatino? «Chi viene con noi può fotografare liberamente e per l'eventuale asportazione di materiali deve limitarsi a quelli che in Italia possono essere usati per mostre, per essere dati a musei o donati a chi li possedeva in quei giorni tragici o ai loro eredi. Impossibile esportare parti di armi e munizioni. Si avrebbero gravissime conseguenze penali». Luigi Vittori e Stefano Rossi sono scettici sulla possibilità di preservare a fini turistici il campo di battaglia di El Alamein come in Francia la Linea Maginot o da noi i forti delle Alpi. Ci sono rischi altissimi per la presenza di mine e ci sono, là sotto, giacimenti petroliferi che fanno gola. «Più ottimisti di noi — sostiene Rossi — sono i ricercatori dell'Università di Padova: se i loro progetti dovessero trovare realizzazione collaboreremo volentieri».
COMMENTO
La tragedia dei paracadusti della divisione "Folgore", trovatisi a dover combattere nel deserto come soldati di fanteria, decimati dalle forze alleate comandate dal gen. Montgomery.


« Fra le sabbie non più deserte
son qui di presidio per l’eternità
i ragazzi della Folgore
fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi.
Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dello stesso
nemico,
essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna,
il cammino dell’onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci.
Dio degli Eserciti,
accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo
che riserbi ai martiri ed agli Eroi. »
(Epigrafe davanti al cimitero della Folgore a El Alamein).
Dal fronte di El Alamein la Folgore si ritirò senza essere sconfitta il 3 novembre 1942, alle 2 di notte, senza acqua e trasportando a braccia i propri pezzi anticarro. Alle 14:35 del giorno 6, dopo aver esaurito tutte le munizioni ed aver distrutto le armi, ciò che restava della Divisione si arrese, ma senza mostrare bandiera bianca e senza alzare le mani agli inglesi.
L'11 novembre 1942, a battaglia ormai conclusa Radio Londra trasmise il famoso comunicato:
« I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane. »
(Radio Londra)
Dei 6450 paracadusti della Folgore ne sopravvissero solo 340, inclusi gli ufficiali.
Furono concesse 16 medaglie d'oro al valor militare:
1) BRANDI Ferruccio, Tenente cpl.;
2) GOLA Marco, Tenente cpl.;
3) GAMBAUDO Giovanni, Sottotenente cpl.;
4) PIRLONE Dario, Sergente maggiore;
5) BANDINI Roberto, Tenente cpl.;
6) CAPPELLETTO Giuseppe, Paracadutista;
7) LUSTRISSIMI Gerardo, Paracadutista;
8) PISTILLO Nicola, Sergente paracadutista;
9) PONZECCHI Dario, Caporal maggiore;
10) RUSPOLI principe di Poggio Suasa Costantino, Capitano cpl. cavalleria;
11) SIMONI Gastone, Capitano s.p.e. cavalleria;
12) CESARONI Giacomo, Paracadutista;
13) FRANCHI Leandro, Paracadutista;
14) ANDRIOLO Antonio, Caporal maggiore paracadutista;
15) BRUNO Pietro, Sottotenente cpl.;
16) RUSPOLI Marescotti Carlo dei principi di Poggio Suasa, Tenente Colonnello s.p.e. cavalleria;
17) PASCUCCI LuigiTenente cpl.
La medaglia d'oro al valor militare fu concessa anche alla divisione Folgore.

Gustav Mahler - Sinfonia n. 5 - primo movimento

Leonard Bernstein