lunedì 29 novembre 2010

LA MIA VITA DENTRO

Dr.ssa Francesca R. Valenzi
(Dirigente Area Detenuti e Trattamento)
Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria
MILANO

Sai che sono un tipo che vorrebbe fare le cose sempre in maniera approfondita e puntuale, ma questo mi porta via molto tempo, anzi a volte anche troppo (lo vivo come un difetto), perchè alcune cose dovrei trovare la capacità di risolverle più velocemente; d'altra parte lavorare con un capo unico come è Luigi Pagano, che punta sempre un pizzico più avanti degli altri dandoci modo di imparare a guardare più avanti del naso, credo sia giusto abbia il suo prezzo in termini di ricerca della qualità!

Per lo stesso motivo non ti ho scritto nulla, dopo aver letto, tutto d'un fiato, il tuo libro.

Avrei voluto "fermarci su il pensiero" e trovare il modo di esprimerti le mie impressioni senza cadere nella banalità, cosa che probabilmente farò dicendoti in breve che, in primis, mi ha suscitato una forte emozione (ma come mai anch'io sono andata ad infilarmi in questo mondo?) e, subito dopo, una profonda riflessione, non tanto come cittadina comune amante della lettura e di tutte le sue espressioni, quanto, anzi soprattutto, come operatore penitenziario, come persona chiamata, per funzione, per ruolo, a ponderare sempre le decisioni assunte, consapevole del fatto che avranno ricaduta su uomini, siano essi detenuti, siano essi operatori di un così complesso sistema. Sono ritornata su più passi, a volte incredula, a volte meravigliata, spesso compiaciuta: il ricordo vivo, lucido, dei nomi, delle storie di tanti detenuti credo sia la parte più bella, proprio così come la parte più bella del nostro lavoro sono le storie che si tessono con ci sta intorno e quello che in effetti riusciamo a fare per chi a noi è stato affidato. E' stato bello leggere del detenuto (Costi Guerrino, nd.a.) che, a distanza di anni, scriveva a tua moglie o dell'emozione in lui suscitata per aver potuto tenere in braccio i tuoi figli!

Poi ho pensato a quanto sia diverso il penitenziario di oggi da quello che racconti e mi sono fatta il convincimento che, dietro la scorza dura di tanti operatori di qualche tempo fa (direttori, ma non solo) c'era e c'è ancora molta più umanità e insieme molta più professionalità, di quanta ne venga, ipocritamente, sbandierata da tanti operatori /burocrati di oggi.

E mi sono fatta il convincimento che sarebbe bene che il tuo libro fosse letto dalle nuove leve, dai neo assunti, perché apprezzino i progressi e capiscano in che termini (e a che prezzi) è stato costruita quell'amministrazione in cui oggi possono esprimere il proprio apprezzamento e il proprio dissenso, spesso avanzando rivendicazioni (a volte neanche legittime) un tempo inimmaginabili.

Ergo: è giusto, anzi doveroso, prestare sempre più attenzione a quello che si fa, a come le cose si conducono o si decidono, consapevoli che esse, sempre e comunque, avranno una ricaduta su qualcun altro.

Ergo: adesso avrò bisogno di ancora più tempo per svolgere degnamente il mio lavoro! e questo mi riporta alla situazione iniziale, ma almeno tu non ti arrabbierai!

CONFIDENZE TROPPO INTIME

Confidenze troppo intime
(Confidences trop intimes)
è un film di Patrice Leconte del 2004.

Titolo originale Confidences trop intimes
Paese Francia
Anno 2004
Durata 104 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere drammatico
Regia Patrice Leconte
Sceneggiatura Jérôme Tonnerre e Patrice Leconte
Fotografia Eduardo Serra
Montaggio Joëlle Hache
Musiche Pascal Estève
Scenografia Ivan Maussion
Interpreti e personaggi
Sandrine Bonnaire : Anna
Fabrice Luchini : William
Michel Duchaussoy : Dr. Monnier
Anne Brochet : Jeanne

Trama

Anna, commessa in una boutique di lusso, dopo aver preso appuntamento per una prima seduta con il dottor Monnier, uno psicanalista, entra nel suo studio e comincia a raccontargli alcuni dei particolari che l'hanno condotta ad avere un colloquio con lui. Dopo un paio di sedute la donna si rende conto di aver commesso un errore: lo studio in cui è entrata non è quello dello psicanalista, ma quello di William, un fiscalista, il quale non era riuscito in alcun modo ad avvertire la donna del malinteso. Anna, apparentemente alterata dalla situazione, fugge via, imbarazzata per aver raccontato alcuni frammenti della sua vita ad un perfetto sconosciuto. Passano alcuni giorni e William, attratto dai racconti di Anna e desideroso più che mai di rivederla, si mette a cercarla, chiedendo inutilmente notizie al dottor Monnier finché non accade qualcosa di inaspettato agli occhi del fiscalista: la donna si ripresenta nel suo studio, ansiosa di continuare a raccontargli i propri problemi. Tra Anna e William incomincia a stabilirsi un ambiguo rapporto, dettato dai racconti morbosi e perversi che la donna racconta a lui, terribilmente affascinato da questa situazione che prenderà una piega inaspettata.

Commento

Il film risulta riuscito sotto diversi punti di vista: la regia, accorta ed intelligente, miscela con sapienza generi quali il dramma psicologico e la commedia, dando come risultato un apprezzabile thriller dei sentimenti; i due interpreti (Luchini e la Bonnaire) sono perfettamente in parte e formano un duetto molto affiatato; entrambi riescono con estrema bravura ad alternarsi di continuo nei ruoli del gatto e del topo, serviti da una sceneggiatura che delinea abilmente il loro scavo psicologico. Nonostante il film si basi quasi totalmente sul rapporto tra i due protagonisti, è da notare come Leconte sia riuscito a creare intorno a loro almeno un paio di interessanti personaggi di contorno.(WIKIPEDIA)

Fazio: "Italiani vogliono nuova tv, la Rai no" Oggi l'ultimo atto di "Vieni via con me"


L'ELENCO. Dieci milioni di spettatori, oltre il trenta per cento di share, cifre superiori al Grande Fratello per un programma fieramente antitelevisivo. I politici usati dalla tv e non viceversa. Un fronte di critiche trasversali, da Grillo a Libero, e un altrettanto trasversale successo di pubblico. La signora Welby che fa più ascolti del festival di Sanremo, gli sfollati dai campi rom più dell'Isola dei Famosi. Nel nome della più bella canzone di Paolo Conte si è compiuta una rivoluzione nel costume televisivo.

Fabio Fazio, allora un'altra tv è possibile e quindi un'altra Italia?
"Con la volontà rispondo sì, con la ragione no. Diciamo che un'altra tv è desiderata da milioni d'italiani. Ma la reazione dell'establishment politico-televisivo è stata tale da farmi pensare che sia troppo presto. La Rai non sopporta che la tv pubblica diventi strumento di un vero dibattito sociale, culturale. L'hanno permesso perché non se n'erano accorti, non se l'aspettavano. E nemmeno noi. Ma la prossima volta sarà impossibile".

Karl Kraus diceva: la satira che il potere riesce a capire, viene giustamente censurata. Vale anche per "Vieni via con me". Al principio erano soltanto preoccupati che parlaste di Berlusconi, e invece...
"Non l'abbiamo quasi mai nominato, tolta la prima puntata. Siamo il primo programma già nel dopo Berlusconi".

Nonostante questo, vi sono saltati addosso tutti. Perché?
"Abbiamo fatto una tv riformista e non c'è cosa che spaventi più del riformismo. La rissa a somma zero di altri talk show in fondo è del tutto innocua".

Era un programma non ideologico, Saviano e lei non lo siete, gli ospiti hanno raccontato storie. La signora Welby e il signor Englaro hanno raccontato tragedie di famiglia. Come si spiega che il cda Rai abbia chiesto di far replicare a un'esperienza di vita con un comizio ideologico di un movimento integralista cattolico?
"Accettare quella replica dei Pro Vita avrebbe significato ammettere che Mina Welby e Beppe Englaro avevano parlato in favore della morte. Non esiste direttiva Rai che possa impormi un'assurdità del genere".

Più che un programma, siete stati il fenomeno sociale di queste settimane, insieme alla lotta universitaria. Anche la vostra era una specie di "occupazione"?
"Il parallelo mi piace e mi è piaciuto che gli studenti abbiano adottato nelle lotte lo strumento dell'elenco. Sono segnali che sta accadendo qualcosa di profondo nella società italiana, che parte dai due luoghi principali di formazione dell'opinione pubblica, la scuola e la televisione. E riguarda i valori, l'identità".

Se dovesse citare due valori di questo cambiamento?
"Legalità e laicità. Sono le basi di partenza di ogni patto civile, i materiali con i quali si costruisce una comunità. In questi anni sono stati attaccati e derisi, hanno trasformato l'uno in giustizialismo e l'altro in laicismo. Eppure nell'opinione pubblica sono valori più importanti di quanto si pensi. Saviano è amato perché incarna il bisogno di legalità di un pezzo di Paese disgustato dalla corruzione, dal malaffare, dalla rassegnazione a convivere con le mafie".

Come si spiega che decine d'inchieste sulla 'ndrangheta al Nord non siano riuscite a smuovere un decimo di un racconto di Roberto Saviano?
"La narrazione è più libera dell'inchiesta. Roberto ha questo dono del divulgatore e poi è un trentenne, appartiene a un generazione non ideologica. Poi certo il programma ha avuto un effetto Sanremo. Dopo quegli ascolti, tutti dovevano intervenire. Ma se questo ha finalmente portato la discussione politica su temi concreti, come la 'ndrangheta in Lombardia, i diritti civili, l'integrazione degli immigrati, beh, vivaddio".

Avete intercettato il bisogno di una lingua diversa in tv. Niente talk show, niente conduttore domatore, tempi lenti, argomenti difficili. Chi si aspettava questo seguito?
"Siamo partiti per fare il 12 per cento. Il 15 sarebbe già stato un successo. È arrivato il 30. Perché non lo capisco neppure io. Dai dati ho capito soltanto che una grande fetta di pubblico è in realtà un non pubblico, gente che non accendeva mai il televisore. In termini politici abbiamo recuperato l'astensionismo di massa. Che evidentemente non era indifferenza, ma ribellione alla tv del pollaio, al finto dibattito dove uno dice una cosa, l'altro lo interrompe con il contrario e alla fine non s'è capito nulla, non è successo nulla. Con gli autori abbiamo pensato a una cerimonia. Una cosa certo poco televisiva, semmai teatrale. Fondata sul valore della parola nuda. Un format post o pre berlusconiano, và a sapere. L'unico precedente linguistico era Celentano, i suoi silenzi, la rottura del rito attraverso un altro rito".

Lei quando si è emozionato di più?
"Quando Gemmi Sufali ha letto le ragioni per cui le piace essere italiana. Era una delle bambine sbarcate a Bari dall'Albania con la nave Vlora nel '91. Vent'anni dopo quell'inferno c'è questa ragazza intelligente, carina, entusiasta di un Paese meraviglioso, il suo e nostro".

Elenco. Vuole ringraziare qualcuno?
"Roberto Saviano, gli autori, Benigni che ci ha permesso di rompere il ghiaccio alla grande. Il pubblico, naturalmente. Quelli che mi hanno insegnato il mestiere, da Guglielmi a Biagi a tanti altri".

Vuole ringraziare anche qualcuno che non dovrebbe?
"Ma certo. Il dottor Masi, che ha commentato: gli ascolti non sono tutto. L'editore che di sicuro da domani mi chiederà di mettere a frutto il successo per nuovi programmi. Buona, vero?".

Avete fatto saltare il banco, e ora? Che cosa farà dopo un'avventura come questa?
"
Una lunga vacanza. Un viaggio. No, un programma comico".

(29 novembre 2010)

Tra corruzione e fondi neri, su Finmeccanica si torna alla prima Repubblica


L'inchiesta in corso su Finmeccanica dimostra che le cose sono cambiate ben poco dai tempi della prima Repubblica e casomai sono peggiorate. E' stato cancellato quel tanto che c'era di buono, come la centralità del Parlamento, senza modificare quel che c'era di marcio, la corruzione. Abbiamo buttato il bambino e ci siamo tenuti l'acqua sporca.
Non so cosa accerteranno le indagini in corso, ma da quel che sta emergendo direi che non c'è niente di nuovo sotto il sole: fondi neri accumulati grazie a sovrafatturazioni e falsi in bilancio e poi adoperati per corrompere manager e politici disinvolti. I fondi neri vengono dirottati off shore, così le manovre sporche possono essere nascoste facilmente e in Italia tutto sembra limpidissimo.
Il presidente del Consiglio ha definito “suicida” cercare di far luce sui comportamenti delle “forze produttive” e ha accusato i magistrati che indagano di danneggiare l'economia. Ancora, niente di nuovo: è una litania che abbiamo già sentito, anche questa volta il caimano dimostra di non sapere nemmeno dove stanno di casa il senso dello Stato e quello delle istituzioni. Per lui gli interessi nazionali si difendono sempre con lo stesso metodo: l'impunità dei potenti a partire da lui stesso.
La verità è opposta. L'interesse nazionale lo si difende chiedendo che la verità sia accertata senza guardare in faccia a nessuno, tanto più che si tratta di un'azienda di Stato e quelle eventuali malversazioni sono un danno enorme per i cittadini tutti e per la credibilità del Paese.
Perché sia fatta chiarezza e perché le indagini possano arrivare sino in fondo è necessario che i vertici di Finmeccanica si dimettano immediatamente, e questo avrebbe dovuto chiedere Berlusconi.
Lorenzo Cola, il consulente esterno che era vicinissimo al presidente di Finmeccanica Pier Francesco Guaraglini e che, in carcere da luglio, sta collaborando con la giustizia, ha raccontato ai PM che il perno del sistema di sovraffatturazioni, costituzione di fondi neri, corruzione e distribuzione di appalti miliardari era la società Selex, di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie di Guaraglini, oggi indagata. Era la Selex che “gestiva” gli appalti dell'Enav, l'Ente nazionale di assistenza di controllo al volo, il cui presidente, Luigi Martini, e l'amministratore delegato,Guido Pugliesi, sono a loro volta indagati.
Cola racconta anche che Marina Grossi era “assistita” molto assiduamente nel suo operato da Lorenzo Borgogni, capo delle relazioni esterne di Finmeccanica e braccio destro di Guaraglini, tanto da essere comunemente definito il suo “alter ego”.
Saranno gli inquirenti a stabilire se il presidente Guaraglini sia o no coinvolto direttamente nella vicenda, ma certo la sua presenza ai vertici di Finmeccanica non può che rendere più torbide le acque e più difficili le indagini. Per questo deve dimettersi subito, e con lui deve andarsene di corsa un presidente del consiglio che, invece di indignarsi per la corruzione che infesta un'importantissima azienda di Stato,si indigna perché i magistrati cercano di combatterla.

Ultimo assalto con gli hacker poi Washington si arrende


MARCO BARDAZZI

L’ ultimo tentativo di sbarrargli la strada, tardivo e un po’ disperato, è stato un assalto in stile hacker al suo sito, Wikileaks.org, finito ko nel tardo pomeriggio di ieri. Ma a quel punto niente poteva più fermare Julian Assange, il trentanovenne crociato australiano della lotta ai segreti dei governi. La sua arma segreta sono state decine di «chiavette» Usb da 1,6 gigabyte, ognuna non più grande di due unghie affiancate, ma ciascuna capace di contenere 251.287 documenti che raccontano anni di scambi di informazioni tra Washington e oltre 250 ambasciate e consolati Usa nel mondo. Da settimane le aveva fatte consegnare a un ristretto gruppo di giornalisti in varie parti del mondo e ad altre mani sicure, in modo da aggirare i tentativi di censura.

Assange stesso si è «smaterializzato» nella domenica più importante della sua vita. È comparso in collegamento video da chissà dove in una conferenza di giornalisti investigativi in Giordania, facendo capire di sentirsi braccato. «Non posso essere con voi oggi, ma sono costretto ad apparire su un link video perché ho la Cia alle calcagne», ha detto. Assange ha rivendicato la legittimità del suo gesto, spiegando che gli Stati Uniti negli ultimi giorni «hanno cercato con tutte le forze di disinnescare il meccanismo, avvertendo i governi ma senza sapere cosa avremmo pubblicato».

Una qualche trattativa tra Assange e Washington è proseguita fino alla notte tra sabato e domenica, quando il Dipartimento di Stato ha deciso di rendere pubblica una lettera con la quale lanciava un avvertimento in extremis al fondatore di Wikileaks. La pubblicazione dei documenti «mette a rischio le vite di un numero imprecisato di persone innocenti», ha scritto ad Assange il consigliere legale di Hillary Clinton, Harold Hongju Koh, aggiungendo una lista di altri possibile gravi conseguenze: operazioni militari compromesse, lotta al terrorismo bloccata, rischi per la guerra ai trafficanti di armi, di uomini e di droga. Koh ha esortato Assange a fermare tutto e distruggere i documenti in suo possesso. Ma le chiavette Usb ormai erano già tutte a destinazione e i team investigativi di vari quotidiani erano al lavoro sul loro contenuto. «La nostra organizzazione ha una storia di quattro anni di pubblicazioni e per quanto ne sappiamo nessuno è mai stato in pericolo per le nostre rivelazioni», ha tuonato Assange, prima di interrompere il videocollegamento con la Giordania e sparire di nuovo.

Poco dopo le 17 di ieri, la sua organizzazione si è fatta viva su Twitter con un messaggio di allarme: «
Siamo sottoposti a un massiccio attacco “denial of service”», cioè investiti da un’ondata digitale di contatti usati per bloccare un sito su Internet. A rivendicare il gesto è stato un misterioso hacker che si fa chiamare «The Jester», già protagonista di attacchi contro siti da lui accusati di «terrorismo». Wikileaks.org è rimasto inaccessibile per molte ore, mentre la valanga di documenti cominciava a uscire sul «New York Times», il «Guardian» e le altre testate che li avevano avuti in anteprima. I giornali però hanno scelto di porre quantomeno un filtro alla pubblicazione, coprendo l’identità delle fonti utilizzate dai diplomatici americani nel mondo per ottenere le informazioni poi trasferite a Washington.

Una cautela legata ai timori dei media nel mettere apertamente sul web nomi e cognomi contenuti su documenti che fino a ieri erano chiusi dentro il circuito «Siprnet», la rete interna riservata gestita dal Pentagono, sulla quale circolano anche i cablogrammi del Dipartimento di Stato. Proprio il fatto che la falla si sia aperta nel network militare avvalora il sospetto che l’autore della più vasta fuga di notizie della storia sia sempre il soldato Bradley Manning, 22 anni, arrestato sette mesi fa per aver diffuso i segreti del ministero della Difesa Usa già finiti da tempo su Wikileaks.

I documenti circolati ieri non sono necessariamente della categoria «top secret», riservata alle agenzie di spionaggio, ma arrivano fino al livello «Secret NoForN». Un acronimo il cui significato è che nessun straniero («foreign national») sarebbe autorizzato a leggerli. Un divieto che ora evapora, mentre il mondo si immerge nei segreti diplomatici americani.

"Berlusconi è vanitoso inefficace come leader"


Silvio Berlusconi «è un leader fisicamente e politicamente debole» le cui «frequenti lunghe nottate e l'inclinazione alle feste significano che non si riposa a sufficienza». Così l'ormai ex incaricata d'affari americana presso l'ambasciata Usa di Roma, Elizabeth Dibble, inquadra la figura del capo del governo italiano. La valutazione della Dibble fa parte di uno dei 3.012 documenti inviati dalle sedi diplomatiche Usa in Italia al Dipartimento di Stato. Cablogrammi «catturati» dal sito pirata Wikileaks e diffusi ieri pomeriggio. Si scopre che in un altro dispaccio Silvio Berlusconi è definito «incapace, vanitoso e inefficace come leader moderno» e si fa riferimento a sue «feste selvagge». Berlusconi si sarebbe fatto «una risata», dicono fonti a lui vicine, quando ieri sera gli sono stati riferiti i contenuti di Wikileaks.

I rapporti con Putin
Se le «antenne» della diplomazia Usa rilasciano giudizi sul premier, da Washington arrivano anche altre richieste. Partono dal segretario di Stato Hillary Clinton preoccupata dall'intensificarsi delle relazioni personali fra il premier russo Vladimir Putin e il Cavaliere. I diplomatici Usa descrivono il rapporto fra i due come «straordinariamente stretto. Un rapporto - si legge in un cablo riportato dal New York Times - che include «generosi regali e lucrosi contatti nel campo energetico». Viene citato «un oscuro intermediario che parla russo». La relazione fra i leader è così solida che gli statunitensi considerano «Berlusconi il megafono di Putin in Europa». Sono tutte notizie e rivelazioni che suscitano l'attenzione di Washington. In un dispaccio del 28 gennaio 2010 Clinton chiede «di procurarsi ogni informazione sulla relazione personale fra Putin e Berlusconi». Il segretario di Stato vuole sapere «quali investimenti personali, se ce ne sono, potrebbero condizionare la loro politica estera o quella economica». In pratica Hillary Clinton vuole sapere se Berlusconi abbia davvero fatto affari privati con l'amico russo. A preoccupare Washington è l'intesa «fra Eni e Gazprom su Southstream», il mega gasdotto che collegherà Russia e Ue.

Partnership a Kabul
Gli ultimi «cablo» a finire fra le maglie di Wikileaks risalgono a febbraio 2010. Gli ultimi due sono datati 25 febbraio. Sul sito pirata è spuntato un «cablogramma» risalente al 12 febbraio 2010. Riferisce di un incontro privato avvenuto quattro giorni prima a Roma fra il ministro degli Esteri Franco Frattini e il capo del Pentagono, Robert Gates. I due parlano della situazione in Afghanistan, Frattini assicura l'alleato che l'America «può contare sul pieno sostegno dell'Italia a Kabul, sull'Iran e nella lotta al terrorismo». Il capo della Farnesina propone un coordinamento a più alti livelli della Nato fra civili e militari e suggerisce la creazione di «progetti per le popolazioni locali al confine fra Iran e Afghanistan».

Frattini-Gates e l'Iran
Ma il nocciolo della conversazione è la minaccia rappresentata dalle ambizioni nucleari di Teheran. «È necessaria un'azione urgente» dice Gates. «Senza progressi nei prossimi mesi, rischiamo la proliferazione nucleare in Medio Oriente, una guerra provocata da un raid aereo israeliano, o entrambi». Il capo del Pentagono - si legge nel carteggio - «prevede un mondo diverso nei prossimi 4-5 anni se l'Iran svilupperà armi nucleari». Frattini illustra la posizione italiana, dice di pensare che «la Russia sosterrà il percorso delle sanzioni» e spiega che la «sfida è portare a bordo la Cina». Pechino e New Delhi sono gli elementi chiave per far sì che le sanzioni - dice Frattini - «possano colpire il governo [di Teheran, ndr] senza danneggiare la società civile». È a questo punto che il titolare della Farnesina dice che l'azione diplomatica deve includere Arabia Saudita, Brasile, Egitto e Turchia accusata dal ministro «di fare il doppio gioco per avvicinarsi sia all'Iran sia all'Europa».

Motoscafi per Teheran
Le tensioni fra Roma e Washington emergono da un altro cablo inviato dall'ambasciata di Roma a Foggy Bottom. Gli Usa avevano chiesto all'Italia di bloccare la prevista consegna di 12 motoscafi all'Iran con i quali, era la paura americana, gli iraniani potevano colpire le navi statunitensi nel Golfo. Solo «dopo mesi di traccheggio nei quali 11 barche sono state consegnate», l'Italia fece marcia indietro.

Quelle parole che lasciano il segno


MARIO CALABRESI

Annunciata da giorni, ieri sera si è scatenata in tutto il mondo l’orgia dei documenti riservati: sono diventati pubblici centinaia di migliaia di messaggi che la diplomazia americana ha spedito negli ultimi anni a Washington da ogni angolo del mondo, insieme alle direttive che facevano il percorso inverso, quelle che il Dipartimento di Stato ha indirizzato ad ambasciate e consolati.

Una tempesta per i rapporti internazionali, destinata ad alzare la tensione contemporaneamente nei punti più caldi del pianeta: dal Golfo Persico dove ora non è più segreta la richiesta saudita agli americani di attaccare urgentemente l’Iran per distruggere il programma nucleare di Teheran.

All’Afghanistan del «paranoico» Karzai; alle ipotesi di riunificazione coreana con la notizia del missile di Pyongyang capace di colpire; fino all’accusa ai cinesi di aver bloccato Google.

Una situazione difficile da gestire per la Casa Bianca e per la diplomazia americana che vengono messe a nudo nei loro ragionamenti riservati, nelle loro strategie, nelle loro debolezze e nei loro peggiori aspetti. Quale clima ci sarà da questa mattina al Palazzo di Vetro a New York nel momento in cui si viene a sapere che lo scorso anno partì una direttiva firmata Hillary Clinton in cui si chiedeva di far partire una campagna di spionaggio contro i vertici dell’Onu?

Una tempesta per le opinioni pubbliche di ogni Paese che da oggi possono sapere cosa pensano dei loro governi gli americani. A far scalpore non sono solo gli scenari che emergono dalle analisi a stelle e strisce, scenari che in parte già conosciamo da tempo (sono forse un mistero la diffidenza verso il presidente iracheno Karzai o il disprezzo per Ahmadinejad?), ma la possibilità di leggerli nero su bianco.

Il caso italiano è emblematico: le feste «selvagge» di Berlusconi sono forse una sorpresa per qualche nostro concittadino, così come il rapporto assiduo e opaco con Putin o Gheddafi non sono forse materia su cui ci si interroga da anni? I documenti americani, ad una prima lettura delle anticipazioni, non rivelano nulla di terribilmente nuovo, ma la loro forza è un’altra: mostrarci come i discutibili comportamenti del nostro primo ministro, sia nel suo privato sia sullo scenario internazionale, abbiano un peso nella nostra immagine nel mondo. Anche questo può apparire scontato, ma leggere che gli americani considerano Berlusconi «il megafono di Putin in Europa» (parlando di «regali generosi» e «contratti energetici redditizi») e lo definiscono «incapace, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno» è qualcosa che lascia il segno. Ma soprattutto qualcosa che questa volta non potrà essere smentito o accolto con una scrollatine di spalle.

Nell’estate del 2009 Maurizio Molinari scrisse su questo giornale che l’amministrazione Obama era preoccupata e irritata per la politica energetica del nostro governo troppo dipendente da Mosca, che c’erano pressioni sull’Eni perché cambiasse la sua politica sui gasdotti troppo sbilanciata - a parere di Washington - sull’accordo con Gazprom per dare vita al South Stream. Il giorno dopo il ministro degli Esteri Franco Frattini rispose che non esisteva nessun malumore americano verso la nostra politica energetica. Allo stesso modo sono state regolarmente liquidate le evidenze di un fastidio dei nostri alleati per una politica estera poco «ortodossa» e troppo fuori linea.

Due fatti hanno fatto particolarmente rumore al desk europeo del Dipartimento di Stato negli ultimi anni: il primo (nel 2007) è stato il pagamento del riscatto da parte del governo Prodi per ottenere la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo in Afghanistan, un comportamento non in linea con quello degli alleati e che scatenò le ire della diplomazia americana perché il passaggio di denaro venne reso pubblico, costituendo un pericoloso precedente.

Il secondo è stato l’atteggiamento assunto da Berlusconi durante la crisi guerra tra Russia e Georgia, quando parlò di «aggressione georgiana» mettendosi in netto contrasto con la linea della Nato. Erano ancora i tempi della Casa Bianca dell’amico George W. Bush, ma gli strascichi di quella polemica sono arrivati intatti sui tavoli della nuova Amministrazione. Dopo le battute di Berlusconi su Barack Obama (indimenticata quella sull’abbronzatura) ebbi l’occasione di chiedere un commento ad uno degli uomini più vicini al presidente americano, il quale con grande pragmatismo mi rispose: il problema non sono le battute ma quel voluminoso dossier sui rapporti tra Roma e Mosca che ci è stato lasciato in eredità al Dipartimento di Stato. Non è un caso che nella prima intervista rilasciata da David Thorne al suo arrivo a Roma, il nuovo ambasciatore statunitense disse al Corriere della Sera che «una delle più grandi preoccupazioni americane è la dipendenza energetica dell’Italia».

Era il primo avviso pubblico, dopo quelli riservati che erano stati ignorati, a cui seguirono altre pressioni sia sul governo sia sull’Eni. Ma se queste carte ci raccontano il nostro crollo di credibilità e svelano i giudizi privati dell’ambasciata e della diplomazia, sbaglieremmo a pensare che ogni cablogramma del passato possa essere la fotografia del presente. Le stesse fonti americane che per lungo tempo hanno raccontato l’irritazione dell’Amministrazione, da qualche mese segnalano un cambio di passo di Berlusconi e anche dell’Eni, sottolineando che parte delle preoccupazioni di Washington sulla rete degli oleodotti hanno trovato ascolto con l’apertura alla possibile convivenza del South Stream con il progetto Nabucco (caro agli Usa) e che è stato apprezzato il viaggio dell’amministratore delegato del colosso italiano degli idrocarburi, Paolo Scaroni, in Azerbajian.

La diplomazia americana racconta del pragmatismo di una Casa Bianca che non ha tempo di curarsi dei nostri vizi ma che ritiene che l’Italia «può avere un ruolo positivo in Medio Oriente» perché è uno dei pochi governi europei ad avere un buon rapporto con il governo di Netanyahu e con Egitto, Siria e Libano.

Così Berlusconi, sicuro di non pagare conseguenze, può farsi una risata e Frattini chiedere che nessun politico commenti, ma in rete e sui giornali di tutto il mondo resteranno quei giudizi impietosi che ci espongono al ridicolo e quella diffidenza che rende faticoso il rapporto con il più importante dei nostri alleati.

Ma il vero obiettivo è Obama


Se un complotto c’è, è nei confronti di Obama. Affascinati dal capire cosa pensano di noi i proconsoli americani nel mondo, eccitati dal poter sollevare il velo delle cortine delle opportunità pubbliche, un dato sembra acquisito.

Il rilascio di quasi due milioni di dispacci del Dipartimento di Stato da tutte le sue sedi nel mondo, è intanto e prima di tutto un gravissimo colpo per la amministrazione americana.

Ancor prima che nei contenuti, l’operazione di Wikileaks
mette alla berlina l’intero sistema di sicurezza degli Stati Uniti, lo attraversa, lo squaderna e lo mette in piazza dimostrandone tutta la fragilità. In questo senso, si potrebbe dire che Assange ha un suo precursore nel giovane tedesco che poco tempo prima della caduta del Muro di Berlino raggiunse Mosca con un piccolo aereo è atterrò sulla Piazza Rossa, svelando con un solo colpo d’ala la fragilità di un sistema che si vantava dei suoi scudi stellari e delle sue testate nucleari. Se non fosse che l’azione odierna del giovane Assange ha scopi e sbocchi che la pongono ben al di là del «disvelamento» della natura del potere.

L’operazione-verità di Wikileaks, cui va dato il benvenuto come a tutte le operazioni di trasparenza, ha tuttavia anche un sottotesto molto politico, ha un impatto laterale, senza capire il quale rischiamo di essere messi anche noi nel sacco
. C’è, insomma, una seconda lettura del rilascio di questi documenti, una sorta di eterogenesi dei fini, che suscita varie domande.

Intanto, le
dimensioni di questo ultimo rilascio sono molto diverse dal primo, quello sulla guerra in Iraq. In quel caso, Wikileaks gestì circa quattrocentomila testi, si disse. Un numero eccezionale, ma non impossibile da raccogliere se si considera il gran numero di soldati coinvolti nel conflitto, la facilità con cui tutti loro usano in questa guerra il computer, e l’intensità dei sentimenti contro la guerra che circolano al fronte. Non suscitò dunque meraviglia che nel giro di qualche anno tale mole di informazioni venisse raccolta e passata ad Assange. Questa volta invece si tratta di quasi due milioni di dispacci, provenienti da tutte le ambasciate americane nel mondo: come ha fatto Wikileaks a mettere insieme una raccolta di tali dimensioni? Con quanti uomini e donne, in quali tempi, da quali basi operative? Certo, sappiamo bene che la tecnologia è flessibile, che basta un computer da una panchina per lavorare; sappiamo anche che proprio i grandi Stati peccano di eccesso di sicurezza rispetto ai propri sistemi operativi e ai propri codici. Ma, anche così, il dubbio rimane: bastano davvero solo un pugno di volontari e tante gole profonde per catturare ben due milioni di messaggi da tutte le ambasciate del mondo? E come può continuare a gestire tale complessa operazione un uomo come Assange che è da parecchio tempo in fuga, proprio per non far bloccare il suo lavoro? E - a proposito - come mai questo uomo che sfida da solo l’opacità del potere, non si trova? C’è qualcosa di davvero formidabile nella capacità di questo giovane di non farsi trovare dai servizi di intelligence più importanti del mondo.

C’è insomma un lato incomprensibile in questa storia, o, se volete, un vero e proprio lato oscuro. Chi sta aiutando Assange? C’è solo la sua fede e quella di pochi volontari nella libertà di stampa a sostenerlo? O, sempre in nome della libertà di stampa non abbiamo noi stessi il diritto di chiedere a questo punto allo stesso Assange trasparenza sulle sue operazioni?

Certo non si può essere così ingenui da non vedere che l’imbarazzo creato all’amministrazione di Obama, rende molto popolare il creatore di Wikileaks presso molti nemici di Obama.
E se oltre che benvenuto Assange fosse stato anche aiutato da questi nemici?

Qui si apre una prateria di ipotesi, e tutte inquietanti.

Sappiamo, proprio dai dispacci che leggiamo su Wikileaks, che il mondo in questo momento è un luogo molto incerto.

Sappiamo che il potere degli Usa è in forte declino, e che è al centro di molti attacchi.

Sappiamo infine anche che lo stesso Obama è combattuto da potenti forze nel suo stesso Paese.

E’ davvero ridicolo dunque ipotizzare che Wikileaks possa essere diventato strumento involontario o volontario di queste tensioni? Staremo a vedere. Ma certo Assange stesso ci perdonerà questi dubbi, dal momento che essi sono solo l’applicazione a lui della stessa richiesta di trasparenza che la stampa libera rivolge a tutti.

Libia, Russia e le «amicizie pericolose»


Una coincidenza maligna vuole che Silvio Berlusconi si trovi in Libia e stia per andare in Russia proprio mentre i pirati elettronici di Wikileaks hanno cominciato a divulgare le prove dei malumori americani per le eccessive attenzioni del presidente del Consiglio tanto verso Tripoli quanto verso Mosca. Converrà attendere che siano resi noti tutti i documenti per verificare ulteriormente una inquietudine degli Usa che è comunque già palese nei primi dispacci diplomatici diffusi ieri e nella richiesta di informazioni avanzata dal Segretario di Stato Hillary Clinton.
I rapporti tra il capo del governo italiano e i massimi dirigenti russi: è certamente questo il tema che maggiormente preoccupa gli americani. E se le carte di Wikileaks vorranno farne la storia, sarà una storia lunga. Fu durante il suo primo governo del 1994, infatti, che Berlusconi espresse una idea bizzarra: bisognava far entrare la Russia in Europa, perché così la Ue, per estensione, per forza economica e per disponibilità di armamenti nucleari, avrebbe finalmente potuto dialogare da pari a pari con gli Stati Uniti. I primi a rispondere con un sorriso furono i russi. Mentre Bill Clinton, a Washington, invece di andare su tutte le furie per quel desiderio di anomala alleanza nucleare fece finta di non aver capito i messaggi che gli giungevano da Roma.

Quella prima esperienza, tuttavia, aiutò gli americani a conoscere il personaggio e ad aspettarsi di tutto, senza per questo far la fatica d'irritarsi. Berlusconi che a Villa Madama difende Putin sulla Cecenia, anzi si proclama suo «avvocato». Una serie fittissima di incontri spesso ultra riservati tra Berlusconi, Putin, e poi anche Medvedev. Una amicizia costante e dichiarata con i dirigenti russi che tra gli occidentali soltanto Bush, Blair e forse Aznar avevano meritato. I complimenti al cugino bielorusso Lukashenko dichiarato campione di democrazia perché si era molto avvicinato al cento per cento dei consensi. Il racconto fantastico di una «minaccia» rivolta a Obama e Medvedev grazie alla quale, pur di essere accolti all'Aquila, i due avrebbero concordato prima del G8 il loro trattato per la riduzione degli ordigni nucleari. La pubblica precisazione (ormai superflua) che per i russi Putin e Medvedev sono un dono di Dio. Fermiamoci qui, ricordando che ognuna di queste sortite è stata ovviamente riferita a Washington. E che l'America, per quanto se ne sa, non ha mai dato eccessivo peso alle esternazioni di Berlusconi. Seppure sgradite in alcuni casi, esse sono parse ai responsabili statunitensi pragmaticamente secondarie.

Ma sulle questioni di sostanza poste dall'abbraccio italo-russo il problema era, e in parte è ancora, assai diverso. Gli americani provano stupore e disagio quando il presidente del Consiglio si pone nelle sedi internazionali come difensore d'ufficio, e talvolta come portavoce, della dirigenza russa. Non amano il costante flusso di elogi che da Roma si riversa su Mosca e che non tiene conto dei tanti difetti della semi-democrazia russa. Soprattutto, temono che l'Europa dipenda troppo dalle forniture energetiche russe e dunque non gradiscono le iniziative di chi, come Berlusconi con il Southstream, rafforza anche per il futuro questa dipendenza che il gasdotto Nabucco invece attenuerebbe. I meriti di Pratica di Mare e della mediazione in Georgia con Sarkozy (che peraltro Bush guardò con sospetto) non possono bastare a raddrizzare la barca.

Forse da Wikileaks verranno spezzoni di verità su alcuni di questi aspetti. Ma prima di scivolare nel caos mediatico e politico che i fornitori di documenti riservati intendono evidentemente innescare, occorre intendersi su alcuni punti. È interesse dell'Italia oggi come è stato sempre con governi di ogni colore, ed è anche nostra speranza, che i rapporti con la Russia migliorino. I nostri partner europei, ma anche gli Stati Uniti (ricordate il «reset» con Mosca, e la recentissima mano tesa della Nato a Medvedev?) condividono questo interesse. Va messa in conto una certa «gelosia» dell'America che è abituata a fungere da bussola occidentale nei rapporti con il Cremlino e che anche per questo non ama lasciare spazio autonomo agli europei. Ancora, i malumori verso la politica russa dell'Italia sono andati sottotraccia da quando la priorità afghana ha reso tanto l'Italia quanto la Russia indispensabili ai progetti degli Usa e della Nato a Kabul e dintorni.

Si dovrà tenere conto di queste tradizioni e di questi aggiornamenti, quando avremo sotto gli occhi il materiale di Wikileaks. E si dovrà anche riflettere, a proposito di presunti complotti, se un complotto non ci sia davvero, ma contro Obama che dovrà probabilmente pagare prezzi altissimi nella sua già poco fortunata politica estera. Libia, e soprattutto Russia. Le fughe in avanti del nostro governo portano principalmente questi due nomi. Pongono questioni di stile e di sostanza. Pongono dubbi. Creano la sensazione di «relazioni pericolose» che non sono certo soltanto italiane, ma nelle quali noi diamo l'impressione di aver smarrito l'ordine delle priorità. Tutto sta ora a distinguere tra contributi di trasparenza e volontà di sabotaggio, perché Wikileaks sembra essere animata più dal secondo obbiettivo che dal primo.

Franco Venturini
29 novembre 2010

L'INCUBO SI MATERIALIZZA

Il confronto delle lettere dei finiani e dei leghisti


La lettera di Generazione Italia

On. Presidente,
Generazione Italia considera conclusa negativamente l’esperienza di questo Governo che, come fosse un suo feudo personale, ha presieduto.
I patti richiedevano l’immediata approvazione di una legge antitrust che eliminasse il monopolio di Mediaset e che favorisse il rinnovo strutturale della Rai restituendo ai media la loro libertà e democratica funzione per informare imparzialmente ed obiettivamente l’opinione pubblica.
I patti richiedevano la netta separazione tra gli interessi personali dal Capo del Governo e la sua funzione di altissimo Pubblico Ufficiale.
Lei in campagna elettorale ha promesso di risolvere il secolare problema meridionale, di garantire la pace sociale, di sostenere la piccola e media impresa, di eliminare la partitocrazia e lo Stato padrone; di fare dell’Italia un grande paese ad ispirazione liberal-democratica.
Il suo Governo ha inteso la governabilità come fine a se stessa, il potere per il potere, la governabilità per la governabilità, un Governo non intenzionato ai cambiamenti, un Governo dei conflitti con la magistratura e con il sindacato, un governo del controllo dell’informazione!
Nella nostra alleanza c’è chi ci accusa addirittura di sovvertire lo Stato di diritto perché chiediamo una verifica, falsificando la verità e dichiarando che questo Governo non sarebbe il frutto, come nel passato, di una contrattazione post elettorale, bensì, sarebbe la conseguenza di un patto preventivo stipulato davanti agli elettori!
E quindi solo a Berlusconi, se è vera la premessa, competerebbe concedere la verifica e implicitamente mantenere o sciogliere le Camere.
E’ una tesi che lede i poteri costituzionali del Presidente della Repubblica e lascia trasparire il ritorno nella politica di dogmi antiliberali!
Onorevole Presidente, lo Stato non è lei! E dopo di lei non c’è il diluvio! Le chiedo con quali diritti Lei batta i pugni sul tavolo dichiarando la sua insostituibilità? Con quali diritti Lei pretenda di interpretare personalmente la Costituzione tuttora in atto? Onorevole Presidente, Lei non è l’uomo della provvidenza, tutt’altro!
L’Italia è una Repubblica democratica, in cui il Parlamento elegge e fa cadere i Governi, valutando i meriti e i demeriti di chi presiede o fa parte del Governo: il tradimento è solo quello di chi, ad un Paese disperatamente alla ricerca di un patto costituente, contrappone voglia di potere e minacce di tumulti di piazza!

La lettere di Umberto Bossi del 1994
(in grassetto le parti riprese da Generazione Italia)


Onorevole presidente, io parlerò di cose politiche. Il fatto che lei abbia consegnato alla stampa, prima del dibattito parlamentare, il suo intervento sottolinea quanto sia debole in lei il senso dello Stato e delle Istituzioni.

Il documento attraverso il quale abbiamo espresso la sfiducia nei confronti dell’attuale governo da lei presieduto, onorevole Berlusconi, è il primo esempio di sfiducia costruttiva. Esso contiene una elencazione delle ragioni che spiegano i motivi politici, ma anche economici e costituzionali che giustificano la sfiducia della Lega e, nello stesso tempo, è un documento che predispone le strutture di un nuovo governo. La Lega considera conclusa negativamente l’esperienza di questo governo che, come fosse un suo feudo personale, l’onorevole Berlusconi ha presieduto dal 16 maggio a oggi.

Qualcuno potrebbe affermare, in polemica con il dissenso della Lega, che in sette mesi è difficile riedificare uno Stato italiano completamente nuovo e quindi strutture politiche, economiche e sociali distrutte dal passato partitocratico.

Tuttavia, quando la Lega accettò di far parte della coalizione per garantire la governabilità, i patti che Berlusconi sottoscrisse furono molto chiari. La Lega decise di aderire al governo Berlusconi superando le legittime resistenze di molti suoi elettori e della totalità dei suoi militanti verso l’inquinante contiguità con la frangia fascista missina, considerando prioritario garantire la governabilità del Paese.

La nostra fu una scelta che non era conseguente ad alcun accordo elettorale precedente. La Lega aveva sempre ribadito a Berlusconi che mai e poi mai avrebbe potuto governare con il trasformismo fascista, che mai e poi mai avrebbe stretto accordi elettorali con Alleanza Nazionale, il partito neoassistenzialista e “democratico”.

Noi abbiano accettato di far parte di questa coalizione unicamente per il senso del dovere che abbiamo nei confronti del popolo italiano e dei nostri elettori, che esigono governabilità. Quindi, questo governo è stato fin dall’inizio un governo di numeri, la cui esistenza era subordinata solo e soltanto all’assoluto rispetto dei patti. E la Lega pose sul tavolo gli itinerari programmatici che il governo avrebbe dovuto seguire, sottolineando il suo ruolo di coscienza critica della coalizione per il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

Solo per questo patto postelettorale e pregovernativo la Lega, nonostante potesse chiedere al Capo dello Stato, secondo la prassi costituzionale, Palazzo Chigi (aveva infatti la più folta rappresentanza parlamentare all’interno del polo), rinunciò a favore di Berlusconi, in perfetta buona fede. La Lega portava a Berlusconi la dote maggiore sul piano politico: la distruzione del sistema centralistico partitocratico. Portava in dote la lotta di liberazione democratica che, avanzando a folate sotto una gragnuola di colpi del vecchio regime, aveva atterrato le oligarchie craxiane e andreottiane, sollecitando e cavalcando la protesta nata dalle regioni trainanti del Paese, dalla piccola e media borghesia imprenditoriale, a quelle delle libere professioni. E anche la necessità, fatta maturare nella coscienza del popolo grazie alle nostre lotte, di superare le ricette antiquate di una cultura demagogica e populista per passare dallo Stato assistenzialista a uno Stato liberale dove ci sia finalmente l’eguaglianza di diritti e doveri dei cittadini.

Una lotta di liberazione, la nostra, fatta quando l’emblema della società dei consumi – tutto è nel consumo – si era fatalmente trasformato in un altro emblema – tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato – ponendo il problema del superamento del centralismo istituzionale con il federalismo.

I patti richiedevano inoltre l’immediata approvazione di una legge antitrust che eliminasse il monopolio della Fininvest e favorisse il rinnovo strutturale della Rai-Tv, restituendo ai media la loro libertà e la funzione democratica di informare imparzialmente e obiettivamente l’opinione pubblica. I patti richiedevano la netta separazione tra gli interessi personali del Capo del governo e la sua funzione di altissimo pubblico ufficiale.

In campagna elettorale lei ha promesso milioni di posti di lavoro, ha promosso di risolvere il secolare problema meridionale, di garantire la pace sociale, di sostenere la piccola e media impresa, di eliminare la partitocrazia e lo Stato padrone, insomma, di fare dell’Italia un grande Paese a ispirazione liberal-democratica.

“Ho fatto un sogno: rendere perfettamente trasferimento questa casa e restituire lo slancio alla società civile.” Si ricorda queste parole, presidente Berlusconi? Le pronunciava alla presentazione del governo alla Camera.

In realtà, il sogno non ha fatto sognare che lei; avrà consolidato il suo potere personale, ma non ha risolto nemmeno uno dei tanto fattori di crisi del Paese, che erano e restano i seguenti: la distribuzione e la dimensione della spesa pubblica, il carico fiscale, il reddito e la sua distribuzione sul territorio, l’efficienza o, meglio, l’inefficienza dell’apparato politico e amministrativo dello Stato, fattori di crisi che derivano dall’esistenza intatta di uno Stato centralizzato che svolge ormai solo una funzione redistributiva e che costituisce la principale ragione del dissenso.

Si trattava, e si tratta, quindi, di trovare le linee di fondo di un progetto di riforma federalista: e la Lega lo ha realizzato! Il ministro onorevole Speroni ha realizzato il progetto federalista, che si colloca a metà tra il riduzionismo empirico e il massimalismo astratto e che è il federalismo possibile!

E speroni ha dovuto preparare il proprio progetto federalista che diventerà disegno di legge in questa Camera, tra il disinteresse e l’ostilità delle forze di governo!

Insomma, il suo è stato un governo che ha inteso la governabilità come fine a se stessa, il potere per il potere, la governabilità per la governabilità! Si è trattato non solo di un governo non intenzionato ai cambiamenti, ma di un governo dei conflitti con la magistratura e con il sindacato, un governo del controllo dell’informazione!

Si è trattato di un’alleanza in cui c’è chi accusa la Lega addirittura di sovvertire lo Stato di diritto perché ha chiesto la verifica, falsificando la verità e dichiarando che questo governo non sarebbe il frutto, come nel passato, di una contrattazione post-elettorale, bensì la conseguenza di un patto preventivo stipulato davanti agli elettori. E quindi, se è vera la premessa, solo a Berlusconi competerebbe concedere la verifica e implicitamente mantenere e sciogliere le Camere. E’ una tesi che lede i poteri costituzionali del Presidente della Repubblica e lascia trasparire il ritorno nella politica di dogmi antiliberali.

Questa non è e non sarà mai più, onorevoli Berlusconi e Fini, la Camera dei fasci e delle corporazioni!

Presidente, mi consenta di ricordarle che lo Stato non è lei! E dopo di lei non c’è il diluvio! Con quali diritti lei batte i pugni sul tavolo dichiarando la sua insostituibilità? Con quali diritti lei pretende di interpretare la Costituzione tuttora in vigore? Presidente, mi creda, lei non è l’uomo della Provvidenza, tutt’altro!

La nostra mozione di sfiducia non è provocatoria né in contrasto con la Costituzione. E’ solo la conseguenza dell’impantanamento del suo governo, delle due tensioni che si annullano all’interno del governo stesso, tra una destra assistenzialista e monopolista, che rappresenta null’altro che il tentativo di ripristinare la filosofia del vecchio pentapartito scardinato dall’avanzata della Lega, e la destra liberista e federalista, europea e moderna, incarnata dalla Lega e, mi auguro, anche da una parte di Forza Italia.

L’Italia, colleghi, è una Repubblica democratica, in cui il Parlamento elegge e fa cadere i governi, valutando i meriti e i demeriti di chi presiede e fa parte del governo: il tradimento è solo di chi, a un Paese disperatamente alla ricerca di un patto costituente, contrappone voglia di potere e minacce di tumulti!

La Lega, presidente, una responsabilità ce l’ha, io ho una responsabilità! Quella di far finire oggi, finalmente, la Prima Repubblica. La Lega, onorevole presidente, le toglie la fiducia.

Appalti in famiglia, lite Democratica


Polemiche dopo l'incarico al marito della Finocchiaro. La difesa: "Ci colpiscono per il sostegno a Lombardo". Ma i giovani del partito chiedono chiarezza

Nessuno osi parlare di familismo perché lei minaccia sfracelli (e querele). Parliamo della capogruppo dei senatori Pd Anna Finocchiaro e della notizia dell’appalto per l’informatizzazione della Casa della salute di Giarre, in provincia di Catania, affidato dalla Regione al marito Melchiorre Fidelbo, di professione ginecologo, come stabilisce la convenzione firmata quattro mesi fa dal direttore generale della Asp 3 (l’azienda sanitaria) Giuseppe Calaciura.

La notizia sta facendo il giro delle redazioni e impazza sui siti internet e sui social network, coi relativi commenti tra il disilluso e l’arrabbiato dei navigatori. Trecentocinquanta mila euro tondi tondi, questa è la cifra tirata fuori dalle casse pubbliche, come compenso per il lavoro svolto dalla Solsamb, società di cui Fidelbo è amministratore delegato e che prima d’ora pare non brillasse per fatturati da capogiro. La presentazione del progetto (proposto dal Consorzio sanità digitale e ambiente di cui la Solsamb era una sorta di società collaterale) risale al 2007, ai tempi del governo Cuffaro, quando assessore alla Sanità era Roberto Lagalla, professore di diagnostica dell’Università di Palermo e da un paio d’anni rettore. E di sicuro c’è che non c’è stata gara d’appalto. Anzi la pratica ha viaggiato su un binario veloce. Il progetto infatti nel giro di pochi giorni passò dal tavolo dell’allora direttore generale dell’Asp 3 di Catania a quello dell’assessorato retto da Lagalla (che diede parere favorevole), per poi varcare il portone del Ministero della Salute e ottenere il relativo finanziamento ministeriale. Poi l’iter viene bloccato dalla riforma sanitaria voluta dalla giunta Lombardo. Le Case della salute, infatti, sono diventate presidi territoriali di assistenza e la Solsamb deve rifare il progetto (nel frattempo il Consorzio sanità digitale e ambiente riconosce la titolarità del progetto alla Solsamb che firma direttamente la convenzione con l’Asp 3 nel luglio 2010).

Una vicenda intricata e con più di un aspetto che non si comprende, come conferma, interpellato dal Fatto, l’assessore regionale alla sanità Massimo Russo, che parla di strumentalizzazioni politiche e abbozza una difesa d’ufficio della senatrice: “Che c’entra il familismo? Probabilmente la Finocchiaro nemmeno sapeva di questa storia”. È un po’ difficile da credere, visto che era pure presente all’inaugurazione del centro insieme al marito. Ma “era lì per accompagnare Livia Turco che da ministro ha fortemente voluto questo tipo di sistema sanitario decentrato”, ribatte l’assessore. Poi annuncia un’indagine interna e dice: “In questa vicenda voglio vederci chiaro, non capisco perché, come pare, non ci sia stata gara e come mai l’assessorato abbia autorizzato la pratica in tempo record. Lunedì chiederò una verifica per accertare quello che è successo”. Il direttore generale dell’Asp Giuseppe Calaciura si tira fuori da ogni responsabilità perché all’epoca in cui venne presentato il progetto per la prima volta non era direttore. Ma la convenzione l’ha firmata lui. Forse i funzionari che gli hanno istruito la pratica avrebbero potuto sbirciare un po’ meglio tra le righe e fargli presente la cosa. L’assessore Russo intanto garantisce che nessun servizio sarà affidato ai presìdi sanitari siciliani senza che ci sia una gara. Antonello Cracolici, presidente del gruppo Pd all’Assemblea regionale siciliana, commenta la vicenda nel suo blog e parla di “manganello mediatico contro chi nel Pd si è macchiato della colpa di sostenere il governo Lombardo”, dichiara guerra senza quartiere a chi riferisce la notizia senza discutere del merito.

Livio Gigliuto, segretario dei giovani democratici di Catania usa toni ben diversi: “In generale penso che fare chiarezza sia una cosa positiva, non so se sia il caso di questa vicenda di cui so solo quel che hanno scritto i giornali. Ci terrei però a dire che noi giovani democratici di Catania abbiamo sempre espresso la nostra totale contrarietà al sostegno della giunta Lombardo da parte del Pd. Un partito come il nostro deve sostenere solo persone limpide e non chi come Lombardo ha un modo clientelare di gestire potere e per di più è sospettato di aver frequentazioni con mafiosi”.

Da Il Fatto Quotidiano del 28 novembre 2010

Wikileaks, Clinton vuole conoscere gli investimenti di Putin e Berlusconi, “macho autoritario” affaticato dalle feste



On-line le prime informazioni dai documenti diffusi da Julien Assange ai giornali americani e europei. Molte le informazioni sensibili sui rapporti tra Usa e Stati esteri

Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha chiesto all’inizio di quest’anno alle ambasciate americane a Roma e Mosca informazioni su eventuali “investimenti personali” dei premier Silvio Berlusconi e Vladimir Putin che possano condizionare le politiche estere o economiche dei rispettivi paesi. E’ quanto si legge in un documento riservato anticipato dal sito Wikileaks e pubblicato dal settimanale tedesco Der Spiegel che ha pubblicato, insieme a New York Times, Guardian, Le Monde e El Paìs le anticipazioni di Wikileaks. Il premier italiano e l’omologo russo sono al centro di alcuni dei 3.012 rapporti diplomatici inviati dalle sedi diplomatiche italiane verso gli Usa. Altri riguardano i contatti tra Franco Frattini e il segretario alla difesa Robert Gates (leggi la nostra sintesi).

Il New York Times riporta altre notizie sui rapporti tra Putin e Berlusconi. Parlano dei “regali sontuosi”, dei vantaggiosi contratti energetici e di un “misterioso” intermediario russo-italiano. I diplomatici scrivono che Berlusconi “sembra sempre più il portavoce di Putin” in Europa e che mentre Putin può godere di una supremazia su tutte le figure pubbliche in Russia, Berlusconi è ostacolato da ingestibile burocrazia che spesso ignora i suoi editti.

Una cosa che li accomuna è lo stile autoritario e machista, che permette a Putin di relazionarsi perfettamente con il premier italiano. Questo rapporto provoca negli statunitensi una profonda diffidenza, scrive il quotidiano spagnolo El Paìs. Ma di Berlusconi sia il giornale madrileno sia il settimanale tedesco, nella sua copertina uscita in anticipo, mettono in evidenza “le feste selvagge”. E’ “irresponsabile, vanesio e inefficace, come un leader europeo moderno”, dice Elizabeth Dibble, agente diplomatico americano a Roma di Berlusconi. Un altro rapporto dalla Capitale segnala la debolezza “fisica e polica” di un leader la cui “inclinazione per le feste notturne e frequenti significa che non si riposa abbastanza”. Lo riporta il Guardian.

Queste e altre critiche degli Usa a importanti leader mondiali sono quindi i contenuti dei 260 mila documenti diplomatici resi pubblici dal sito di Julian Assange, un sito a cui molte persone non riescono ad accedere. “Siamo sotto attacco”, dicono i gestori su Twitter.

Nella copertina del settimanale tedesco compare la grossa scritta, ’Enthullt’ (Rivelato), e il sottotitolo: “Come l’America vede il mondo, il rapporto segreto del Dipartimento di Stato americano” e 12 foto di personaggi illustri. Tra questi, solo per citarne alcuni, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, con la didascalia “questo è Hitler”, il colonnello Muammar Gheddafi(“procaci biondine come infermiere”), il presidente afghano Karzai (“spinto dalla paranoia”), il presidente francese Nicolas Sarkozy (’imperatore senza vestiti’) e ultimo in fondo a destra, il premier italiano.

Il giornale Mail on Sunday scrive che il presidente sudafricano accusò il presidente Usa George Bush di essere razzista perché, ai tempi dell’invasione dell’Iraq, ignorò le richieste dell’Onu perche Kofi Annan era di colore. Secondo il Sunday Times invece ci sarebbero rivelazioni esplosive per le relazioni di Usa e Gran Bretagna con opinioni negative date da Washinghton sui governi di Blair, Brown e dello stesso Cameron. Una ’gelata’ si attende anche per i rapporti di Usa e Russia.
Secondo il Kommersant infatti ci sarebbero palesi critiche degli Usa ai leader russi nonché le registrazioni di colloqui tra diplomatici americani e russi. Non dovrebbe invece esserci nulla di compromettente per i rapporti tra Usa e Israele. Il premier Benjamin Netanyahu ha fatto oggi sapere di essere stato contattato dal governo Usa in merito ai file Wikileaks da cui non dovrebbero emergere elementi di polemica.

I giornali che hanno avuto le esclusive

The New York Times
The Guardian
Der Spiegel
Le Monde

El Paìs

Wikileaks, Frattini “I pm indaghino sulla fuga di notizie, non sui fatti”


“Si indaghi sulla fuga di notizie e non sui fatti”. In attesa della pubblicazione di tre milioni di file segreti sul sito Wikileaks, il ministro degli Esteri Franco Frattini, in un’intervista al Corriere della Sera di oggi, mette le mani avanti e cerca di smarcarsi da eventuali coinvolgimenti dell’Italia. Dice di non sapere nulla dei documenti che saranno rivelati stasera, però si preoccupa di dare istruzioni alla magistratura e all’opposizione. “Che si fa, si indaga su ipotesi di reato che derivano da un documento rubato? L’indagine in questo caso va fatta sul furto di notizie e non sui fatti sostanziali”. E ancora: “E’ alla prova la tenuta dell’interesse nazionale italiano. L’opposizione dovrebbe astenersi da ogni commento”. Se venerdì aveva parlato di complotto e poi aveva ritrattato, ora minimizza ancora di più. Anche se dalle sue parole traspare preoccupazione: “Immaginiamo che il ministro degli Esteri italiano, cioè io, abbia commesso un atto illecito nei confronti di uno stato terzo. E’ immaginabile che possa essere indagato sulla base di un documento che in sé costituisce oggetto di un reato? Assurdo”.

Tutto il mondo attende le rivelazioni del sito di Julian Assange, annunciate lunedì scorso, di centinaia di migliaia di “cablogrammi” e rapporti diplomatici inviati dalle ambasciate e dai consolati statunitensi nel mondo al Dipartimento di Stato. Tre milioni di file, per la metà senza livello di segretezza e per il 40,5% classificati come “confidenziali”. 15.652 sono le informazioni catalogate come “segrete”, nessuna come “top secret”. Riguarderebbero soprattutto il Medio Oriente e l’Asia, mentre solo il 5% dei file tratterebbe questioni europee. Per quanto riguarda l’Italia si ipotizzano critiche sui rapporti energetici con Russia e Libia grazie alle relazioni di Silvio Berlusconi con Vladimir Putin e Muammar Gheddafi. Politici, analisti e giornalisti di tutto il mondo stanno esprimendo le loro preoccupazioni e le loro previsioni (leggi l’articolo di Gramaglia). Washington, tramite il portavoce del Dipartimento di Stato Philip Crowley, giudica “irresponsabile il comportamento di Wikileaks”. “Mettono a rischio la vita dei soldati americani e degli alleati”, afferma Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori Riuniti. Quanto basta per mettere in moto la “diplomazia preventiva”. Il sottosegretario di Stato Hillary Clinton ha contattato i colleghi cinesi e indiani.

Wikileaks va contro l’interesse nazionale e mette in pericolo la segretezza, “pilastro della diplomazia”, dice Frattini nell’intervista. Da una parte cerca di allontanare le responsabilità dal suo governo: “È noto che il materiale copre fatti dal 2006 al 2009…”, dice alludendo al fatto che all’epoca c’era il governo di Romano Prodi. Ma dall’altra parte cerca di serrare i ranghi: “Andare a spulciare migliaia di pagine sperando di trovare la notizia egualmente illegale, più dannosa per la controparte politica e meno dannosa per noi, sarebbe un suicidio pal quale in Italia nessuno si dovrebbe prestare”.
La magistratura dovrebbe muoversi contro il fondatore e uomo immagine del sito, Julian Assange, o almeno “dovrà valutarlo seriamente”, afferma. I giudici devono fare anche attenzione a come muoversi dopo la pubblicazione di documenti, perché è “assurdo” – sostiene il capo della Farnesina – indagare su reati rivelati da documenti rubati, e quindi a loro volta provenienti da reati. C’è da chiedersi cosa possa esserci di dannoso per l’Italia.

Nessun giornale nazionale ha avuto i documenti in anteprima, a differenza di New York Times, Guardian, Der Spiegel, Le Monde e El Paìs, e nessuna indiscrezione è uscita sul nostro Paese. Si sospetta che al centro dell’attenzione dei diplomatici possano esserci gli interessi economici italiani di grossi gruppi come Finmeccanica, al centro di varie inchieste delle procure italiane, ma soprattutto quelli del ramo energetico e della Eni. Sempre seguendo le vie del petrolio e del gas, si sospetta che le rivelazioni riguardino la gestione della materia in base a “corsie preferenziali” di Silvio Berlusconi verso capi di Stato come Vladimir Putin, Muammar Gheddafi e col turco Recep Tayyip Erdogan, invisi agli Usa, quindi nulla di nuovo. Le triangolazione Berlusconi-Putin-Erdogan per il gasdotto Southstream, che rivaleggia con il Nabucco a stelle e strisce, gli accordi con la Gazprom e gli affari italiani in Montenegro, ma anche la trattativa per la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e l’opa su Telecom fatta ai tempo del governo Prodi.