sabato 31 maggio 2008

CHOPIN - BERCEUSE OP.57



Luigi Morsello
Arturo Bendetti Michelangeli


Desidero chiudere il mese di maggio con una composizione di Fryderyk Franciszek Chopin, ricorrendo al solito "zotico" per le spiegazioni necessarie.
Eccole.
"La Berceuse presenta una struttura musicale molto complessa dall'esito eccezionale. Il ritmo fondamentale è quello di barcarola, molto diffuso nella musica da salotto dell'epoca. Avere intitolato questa composizione Berceuse, però, ci fa capire che per Chopin si tratta di una ninna-nanna e ciò giustifica anche la ripetizione ostinata del ritmo, quasi con scopo ipnotico. La melodia è ricca di fascino che può essere paragonato quasi ad un canto improvvisato che si prolunga in una serie di varianti che raggiungono anche punte virtuosistiche prima che la melodia si ripresenti nella sua forma iniziale fino a conclusione.
Berceuse in RE bemolle mag. OP. 57"


CHOPIN - BARCAROLA OP. 60

Luigi Morsello

Lo “zotico” mi viene di nuovo in soccorso. Mi occorre per offrire all’ascolto la barcarola op. 60 di Chopin.
Mi serve della sua spiegazione.
Eccola.
“ La Barcarola, come la Berceuse, è uno dei pezzi unici di Chopin ma si differenzia da essa per una diversa struttura musicale che segue più il modello del notturno, ossia suddividendo la composizione in tre parti in cui la seconda è diversa dalla prima e dalla terza che sono, invece, analoghe. La presenza di queste simmetrie melodiche sono, chiaramente, del tipo proprio di Chopin e cioè sempre variate ed abbellite dall'elegante ed inimitabile virtuosismo del grande musicista che si riscontra, in quest'opera - come anche nella Berceuse, peraltro - per il necessario utilizzo di tasti neri, conseguenza delle tonalità di scrittura usate dal compositore polacco.Barcarola in FA diesis mag. OP 60."
Poi dà un estratto della vita del celebre compositore.
Eccolo.
“Fryderyk Franciszek Chopin nasce il 22 febbraio 1810 a Zelazowa Wola - che dista cinquanta chilometri da Varsavia - da Nicholas Chopin e Justyna Krayzanowsa, pianista dilettante. È interessante fare un rapido cenno alla vita del padre del musicista per comprendere come l'ambiente familiare abbia influenzato, in qualche modo, la crescita culturale e musicale del giovane Fryderyk.
Nicholas è di origini francesi e si trasferisce a Varsavia nel 1787. Nel 1794 entra nella guardia nazionale Polacca e cambia il nome in Mikolaj. Nel 1802 trova lavoro presso il conte Skarbek come insegnante di lingua francese del figlio. Nell'autunno del 1810 Mikolaj abbandona il posto di precettore presso gli Skarbek per coprire la carica di insegnante di francese al liceo di Varsavia. Nel 1812 ottiene la stessa carica presso la Scuola di Artiglieria e Genio. E, ancora, più in là diventa professore ordinario di lingua e letteratura francese al liceo. Grazie a questa carica gli viene assegnato un grande appartamento che Mikolaj trasforma in un pensionato per ragazzi benestanti.È facile comprendere come il piccolo Chopin sia stato condizionato nel suo iniziale "sentire" musicale alla sua vita in una Varsavia in disfacimento, oppressa da Prussia e Russia ed isolata dagli ambienti musicalmente più evoluti. Sicuramente, però, il gusto per la musica della madre e la buona inclinazione di quest'ultima, come già detto, a suonare discretamente il pianoforte, fanno si che, seppure in un ambiente quale quello appena sopra descritto, il futuro compositore trovi terreno sufficientemente fertile per affermare e far conoscere le sue innate doti al pianoforte e la sua capacità di esprimersi in musica.
Deve molto della sua fama alle sue eccelse qualità di virtuoso del pianoforte dal quale riesce ad ottenere un suono totalmente nuovo ed elegantemente romantico grazie alla sua inarrivabile maestria nel legato, nel tocco, nella sfumatura dinamica.
Sin da piccolo Chopin dimostra le sue grandi doti al pianoforte e a soli sette anni viene affidato a Vojtech Zivný, violinista e pianista boemo, che incanala le innate doti artistiche in direzione di un apprendimento dei canoni musicali del tempo.
Comincia a scrivere, così, le prime opere quando riesce a malapena con tratto maldestro a fissare le note sul pentagramma: una polacca in sol minore, una in si bemolle maggiore ed un'altra in la bemolle maggiore che dedica al maestro.
I migliori salotti di Varsavia fanno a gara ad ospitare il giovanissimo musicista per ammirarlo ed ascoltarlo e a dodici anni, poichè Zivný si dichiara non abbastanza preparato a continuare l'educazione quel genio della musica, viene affidato alle cure di un valente musicista - Jòzef Elsner - che ben presto comprende le potenzialità di Chopin e si esprime al suo riguardo parlando di genio musicale.
È abitudine per la famiglia Chopin trascorrere le vacanze scolastiche nell'entrotrerra polacco e ciò consente a piccolo prodigio di entrare in contatto diretto con la musica contadina dalla quale riceve non poca influenza e che si potrà ritrovare spesso nelle composizioni del futuro eccelso musicista.Dopo la licenza liceale Chopin può dedicarsi a tempo pieno alla musica e nel 1826, quando è già un affermato pianista, si iscrive alla Scuola di Musica retta da Elsner.
Nel 1829 Chopin si reca per un breve soggiorno a Vienna per tenere due concerti nei quali riporta entusiastici consensi di pubblico. Ritorna a Varsavia e compone alcuni studi, i due concerti per pianoforte ed orchestra, l'Andante spianato e la Polacca op. 22 per pianoforte ed orchestra. Nel 1830 Chopin decide di partire per una tournee che lo vede a Vienna, Parigi e l'Italia (dove suona con successo a Venezia). Nella capitale Austriaca non riesce ad organizzare alcun concerto e, intanto, il 29 novembre a Varsavia scoppia la rivolta contro l'occupazione zarista. Anche l'Austria, però, occupa, in quei tempi, le regioni meridionali della Polonia e le faccende di Varsavia mettono in cattiva luce i polacchi agli occhi degli austriaci. Nonostante questo periodo poco felice, il musicista compone lo Scherzo op. 20.
Nel Luglio del 1831 decide di lasciare l'Austria spostandosi dapprima a Linz, poi a Salisburgo e Monaco. Nel settembre dello stesso anno si trova a Stoccarda e qui apprende che Varsavia è caduta nelle mani dei russi. Non interrompe la sua attività di compositore e compone lo Studio in do minore op. 10 n. 12, lo Studio in la minore op. 25 n. 11 e i Preludi n. 2, 8 e 24.
Verso la fine del 1831 è a Parigi dove ha modo di incontrare i profughi polacchi fuggiti da Varsavia tra i quali vi sono anche appartenenti a famiglie nobili che hanno avuto modo di conoscere il giovane pianista nella loro città di provenienza.
È proprio a Parigi che il genio musicale del compositore si manifesta completamente. Diviene ben presto oggetto di attenzione ed ammirazione da parte della società parigina e intuisce subito che il suo fare musica si adatta molto meglio alle case dei privati dove poche ed attente persone possono ascoltare il suo virtuosismo pianistico, che nelle grande sale da concerti trovandosi a disagio di fronte alle grandi masse. In questi salotti ha modo di farsi ascoltare da grandi musicisti come Berlioz, Rossini, Liszt e Cherubini e la cui presenza gli è di enorme stimolo intellettuale ed artistico. Le continue richieste al giovane polacco di intervenire nei vari salotti parigini lo rendono uno degli artisti di punta degli ambienti culturali: ciò fa si che Chopin veda il consolidarsi di un notevole patrimonio.
Nel giovane musicista comincia a manifestarsi, intanto, una grave forma di tubercolosi che probabilmente si porta dietro, in forma latente, sin da bambino e che del resto è già presente nella sua famiglia.
Grazie a Liszt ed alla contessa d'Agoult, conosce la scrittrice George Sand che viene immediatamente attratta dal "personaggio" incarnato dallo Chopin di quegli anni: il musicista bello, malato, richiesto dal bel mondo di Parigi non può che sedurre l'eccentrica scrittrice. Con essa, il compositore, inizia una tormentata relazione che si protrae per dieci anni circa.Nel 1839 George Sand e Chopin vanno a trascorrere l'inverno nell'isola di Maiorca: le poco confortevoli condizioni del viaggio e l'agitato soggiorno sull'isola entusiasmano la scrittrice ma risultano spaventosi per il musicista, anche per il clima umido che peggiora notevolmente la sua salute. Il 7 febbraio del 1839 devono rientrare in Francia. Gli anni trascorsi con la Sand sono gli anni in cui in cui si concentra la maggior parte dei suoi capolavori come la Fantasia op. 49, la Berceuse, la Polacca-Fantasia ed i Notturni.
La sua salute va sempre più in declino, minata maggiormente da alcuni luttuosi accadimenti che funestano quegli anni: la morte del suo maestro Zivný, quella del migliore amico Jan Matuszynski e la morte del padre Nicholas. Inevitabilmente al crollo del suo stato di salute corrisponde l'inaridimento della vena artistica con una repentina diminuzione dell'attività di composizione.Nel 1847, come se non bastasse, finisce il suo legame con l'eccentrica scrittrice Sand e l'anno dopo Chopin parte per l'Inghilterra dove conosce Dickens; a Londra tiene il suo ultimo concerto a favore dei profughi polacchi e nel gennaio successivo torna a Parigi in pessime condizioni fisiche ed in serie difficoltà economiche. Assistito dalla sorella Luisa, muore nel mese di ottobre del 1894. È sepolto a Parigi al Pére Lachaise accanto a Bellini e a Cherubini; il suo cuore viene portato a Varsavia ed è murato nella chiesa di Santa Croce.
Non credo ci sia qualcuno che non associ inesorabilmente Chopin al pianoforte dato che è maggiormente per questo strumento che il musicista ha composto le sue opere. Forse, però, c'è qualcuno che leggendo il nome di questo compositore pensa subito ai Notturni come le composizioni più famose e rappresentative del compositore.
Potrei essere d'accordo in linea di massima ma - a parte i due concerti per pianoforte ed orchestra che, a parer mio, "fanno musica" a parte nel novero delle opere del musicista - ritengo che è sostanzialmente per tutta quella sequela di composizioni che si direbbero "secondarie" che, almeno fra gli appassionati, Chopin è più apprezzato: Valzer, Polacche, Improvvisi, Mazurke, Preludi, Ballate e Scherzi, Studi. A cui vanno aggiunte una "Berceuse" ed una "Barcarola" che sono due composizioni in cui Chopin dà dimostrazione del suo genio e del suo talento soprattutto per quanto riguarda la struttura musicale, diversa per entrambe.”


PROVE GENERALI DI GRANDE FRATELLO


Peter Gomez
29 maggio 2008

Nei prossimi giorni il governo presenterà il suo disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche. L'obiettivo iniziale, dichiarato pubblicamente da Silvio Berlusconi durante la campagna elettorale, era quello di consentire gli ascolti solo nelle inchieste di mafia e terrorismo. Spiegare alle vittime di stupri o rapine che nel loro caso la polizia indagherà senza poter intercettare nessuno, era però difficile. E così ora il cavaliere e il suo fido Guardasigilli, Angelino Alfano, stanno tentando di trovare una mediazione tra il vecchio disegno di legge Mastella (votato da tutta la Camera con solo nove astenuti) e il loro progetto. Come finirà è facile prevederlo: verrà proposta (e approvata) una norma che impedirà la pubblicazione, grazie a multe milionarie e il carcere per i trasgressori, non solo delle intercettazioni non coperte da segreto, ma anche di molti altri atti giudiziari. Non per niente già il disegno di legge Mastella impediva di utilizzare carte tratte da indagini poi archiviate.

La cosa non è grave per i giornalisti. Chi si occupa di cronaca giudiziaria o di giornalismo d'inchiesta vivrà benissimo scrivendo d'altro: magari di piante o di fiori (io vorrei seguire la pallacanestro). È grave invece per gli elettori.

Da una parte verrà di fatto impedito il potere di controllo dell'opinione pubblica sull'attività della magistratura. Se gli atti sulla base dei quali sono state arrestate delle persone non possono essere consultati chi mai potrà fondatamente esercitare il proprio diritto di critica sulle scelte di un giudice? Dall'altra i cittadini non potranno più venire a conoscenza di tutta una serie di comportamenti tenuti dagli eletti che magari non hanno rilevanza penale, ma che certamente sono rilevanti dal punto di vista politico. L'esempio più chiaro è quello di Mirello Crisafulli, il parlamentare del Pd protagonista di un'indagine (poi archiviata), nata da un'intercettazione ambientale (con relativo filmato) di un colloquio tra lui e un capomafia. Con le nuove norme di quei fatti non potrà più parlare nessuno.

La tecnica insomma sarà un po' quella utilizzata in Campania dai funzionari dell'alto commissariato rifiuti. Lì, come hanno dimostrato proprio le intercettazioni telefoniche contenute nell'ordinanza di custodia cautelare spiccata contro di loro, si piazzava nelle discariche spazzatura non trattata e pericolosa sotto un velo di monnezza resa inerte e profumata con vari additivi chimici. Così i cittadini non si accorgevano di nulla e potevano pensare che i tecnici stessero davvero lavorando per risolvere il problema. C'è voluto un po', ma adesso i risultati di questo "modus operandi" sono sotto gli occhi (e il naso) di tutti. Nascondere lo sporco sotto il tappeto, non è mai stata una buona idea.

E lo è ancor meno se ciò che si vuol far sparire sono le notizie.

COMMENTO

La riproposizione del disegno di legge Mastella, sia pure con le minuscole ed insignificanti modifiche del caso, richiama il comportamento di coloro che vogliono violare un marchio depositato di un prodotto di successo, coperto da brevetto, ricorrendo appunto alla modificazione di un dettaggio per aggirare il divieto di legge.

In questo caso, devo ricordare che il DDL Mastella fu varato, e poi bloccato in commissione giustizia del Senato, presieduta nel Governo Prodi dal sen. Cesare Salvi (oggi non rieletto come tutta la lista La Sinistra - Arcobaleno), per l'inchiesta "Why not" e le intercettazioni telefoniche disposte dal P.M. Luigi De Magistris (sappiamo com'è andata a finire), che lambivano il ministro della Giustizia Clemente Mastella, mentre dopo che le intercettazioni telefoniche colpirono la moglie di Mastella (Sandra Lonardo Mastella) ancor oggi presidente del consiglio regionale campano, cooptata dal Presidente della regione campana Bassolino (l'immarcescibile Antonio Bassolino, come anche l'attuale sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, attaccati alle loro poltrone come due patelle alle rocce marine) non vi fu più (fortunatamente) tempo per sbloccare questa iniziativa governativa, perchè Mastella si dimise dal Governo Prodi, facendo poi mancare il sostegno dei suoi parlamentari, di qui la crisi di governo, il (a mio avviso finto) tentativo di un governo 'tecnico' per modificare la legge elettorale, lo scioglimento delle camere ed i comizi elettorali del 13 e 14 aprile scorsi.

Sappiamo com'è andata a finire: Silvio Berlusconi ha vinto alla grande, cavalcando la tigre (l'ansia solo parzialmente giustificata degli elettori di più sicurezza), ignorandosi bellamente che la situazione di tutte le grandi città del mondo, delle metropoli moderne, è precaria molto più che in Italia.

Il PD e Walter Veltroni non l'hanno voluto fare ed hanno perso, consegnando il paese al PdL ed alla sua maggioranza blindata in entrambi i rami del Parlamento.

L'allarme coltivato scientemente e spregiudicatamente ad arte sul feticcio della SICUREZZA ha innescato nella popolazione un'ondata razzista e xenofoba, mentre il varo del c.d."pacchetto sicurezza" provocava l'allarme della UE e le fondate proteste di ministri del governo spagnolo.

Per due due volte lo strappo veviva ricucito dal primo ministro Zapatero, ma nulla mi toglie dalla testa che si sia trattato di autonome 'alzate d'ingegno' dei ministri spagnoli.

Adesso sono in atto le grandi manovre, le prove tecniche di regime (v. il mio contributo in questo blog del 16 maggio) sono ormai terminate ed è iniziato il primo stato di avanzamento dei lavori, l'imbavagliamento della stampa e della televisione, dei mass media in generale.

Il rischio è che si compromettano le indagini per i reati comuni, se le intercettazioni ambientali e telefoniche (praticamente l'unico vero filone di indagine possibile nel mondo della tecnologia più sofisticata) saranno fortemente compresse e se sarà impedito il controllo della pubblica opinione su operato di politica e magistratura: che pacchia, vero ?

Il Grande Fratello sta per passare dalle previsioni di Orwell e dalla (sgradevole) serie televisiva alla amarissima realtà concreta.

Attrezziamoci (almeno coloro che per l'anagrafe sono i favoriti) , sarà dura e durerà a lungo.

TOCCATA E FUGA IN RE MINORE- ANIMAZIONE DUE

Johann Sebastian Bach


TOCCATA E FUGA IN RE MINORE- ANIMAZIONE

Johann Sebastian Bach



venerdì 30 maggio 2008

IMMIGRAZIONI E SANZIONI


Roberto Ormanni
Direttore del settimanale on line
Il Parlamentare

Il capo della Polizia, Antonio Manganelli, nel corso della sua audizione alle commissione Giustizia e Affari costituzionali del Senato, ha richiamato l’attenzione sulla situazione da “indulto quotidiano” che vive l’Italia. In particolare riferendosi al problema dell’immigrazione clandestina, e dei reati commessi dai clandestini, il prefetto Manganelli ha dichiarato che “non esiste alcuna certezza della pena”.
Queste dichiarazioni hanno naturalmente polarizzato l’attenzione di tutti i mezzi d’informazione. Ma nessuno ha speso qualche minuto del suo tempo e qualche neurone del proprio cervello per una riflessione.
Il punto è, ancora una volta, cosa si intende per certezza della pena: certezza della sanzione (ossia del fatto che ad un comportamento in violazione di una norma faccia seguito l'irrogazione di una sanzione), o certezza dell'esecuzione - o dell'esecutività - di quella sanzione. Nel diritto questi sono due momenti diversi. Sotto il profilo della previsione sanzionatoria ci possono essere sanzioni adeguate e inadeguate (nel senso della loro capacità deterrente). Ma la forza deterrente di una sanzione non è soltanto il prodotto della sua gravità astratta: dipende anche dalla sua cogenza, cioè dalla possibilità, statisticamente valida e attendibile, che venga eseguita. Così, da Beccaria in poi, si è accettato il principio per il quale, ferma restando una base di proporzionalità tra fatto illecito e sanzione prevista, ciò che più conta - ai fini della deterrenza - è la consapevolezza che la sanzione venga eseguita.
Questo discorso (che pare fosse quello che il capo della polizia avrebbe voluto fare), in realtà, con il fenomeno dell'immigrazione c'entra poco. Nel senso che il problema dell'immigrazione clandestina, anzitutto, è tale indipendentemente dai comportamenti eventualmente illeciti e contra legem che i clandestini, una volta immigrati, adottano. Bisognerebbe contrastare adeguatamente il fenomeno dell'immigrazione clandestina (poco importa se realizzata attraverso sbarchi di massa o violazioni dei visti turistici) anche se, per ipotesi, nessun clandestino si fosse mai reso responsabile di qualsivoglia reato.
Se tale contrasto fosse realizzato adeguatamente (attraverso una migliore organizzazione dei corpi di polizia già disponibili, o anche attraverso un rafforzamento di uomini e attività: entrambi questi aspetti ricadono sotto la responsabilità dei capi delle polizie e dunque è demagogica la protesta di un capo della polizia in ordine al cattivo funzionamento della polizia) è evidente che una parte del problema sarebbe risolto, come si dice, "a monte" (che è poi il luogo dove preferibilmente andrebbe risolto qualunque problema). L'efficacia deterrente del controllo delle frontiere, infatti, risolve alla radice anche l'eventuale convinzione del potenziale clandestino che si appresta ad entrare in Italia sol perché immagina, a torto o a ragione, che qui ci si possa dedicare impunemente al crimine: che sia vero oppure no, sarebbe scoraggiato dal fatto che le difficoltà per entrare sono tante e tali che anche se il nostro Paese fosse quello dei Balocchi, è preferibile dirigersi altrove.
Diverso è il problema dell'esecutività della pena, una volta irrogata. In effetti, per quanto riguarda i clandestini, si potrebbe discutere - non senza qualche fondamento - della adeguatezza, nel senso della proporzionalità, della sanzione prevista a carico di coloro che vengono individuati come clandestini. E' vero che, come dimostrò Beccaria, è inutile condannare a morte l'assassino perché già la pena dell'ergastolo, o di trent'anni di galera, sarebbe un efficace deterrente (a patto però che oltre ad essere irrogata venga non solo eseguita, ma anche eseguita in tempi ragionevoli in modo da mantenere vivo il nesso causa-effetto), ma forse se l'unico rischio per un clandestino è vedersi notificare un invito a lasciare il Paese, questo è un po' poco. Ci si trova nella stessa situazione in cui si venne a trovare l'antica Roma quando, a causa di un rapido evolversi della società, la legislazione penale rimase ancorata a parametri ormai inadeguati cosicché i Quiriti che si fossero resi responsabili di percosse non giustificate nei confronti dei normali cittadini, erano condannati a pagare, come pena massima, una multa di 30 assi. Che però, in epoca imperiale, era davvero poca cosa. Perciò un senatore, provocatoriamente, se ne andava in giro per le strade di Roma a schiaffeggiare chiunque gli capitasse a tiro (è probabile che in questo modo si togliesse anche qualche "pietra dalla scarpa") e poi, prontamente, consegnava al malcapitato i 30 assi necessari ad estinguere la sua colpa. Dopo alcuni mesi il Senato approvò una nuova legge con nuove e più adeguate sanzioni e il senatore tornò nei ranghi.
Forse, invece di parlare di certezza della pena, più specificamente il capo della polizia avrebbe fatto bene a sottolineare la necessità di prevedere sanzioni più proporzionate.
Tuttavia ciò non risolve la questione: resta, per l'appunto, il nodo dell'esecutività di quelle sanzioni. Qui il discorso è molto più complesso e non è il caso di affidarlo al capo della polizia: male ha fatto la commissione a non fermarlo, invitandolo a restare sui temi che gli sono propri.In Italia, infatti, il sistema giuridico è antico e complesso. Costruito, ab origine, più per difendere il cittadino dal "Principe" che per difendere lo Stato dai delinquenti (nel senso di coloro che delinquono). Ci sono stati poi, come è ovvio, innesti numerosi e diversi, ma la filosofia di fondo resta quella del sistema di garanzie offerte al cittadino, più che del sistema di sanzioni da infliggere. E allora ecco che, inserite in questo contesto, le norme di contrasto all'immigrazione clandestina (fenomeno assolutamente inesistente e incomprensibile ai padri del nostro sistema giuridico) finiscono per svuotarsi di efficacia deterrente. Qui non si tratta di verificare se l'imputato ha realmente commesso la rapina o se è invece vittima di una macchinazione dei "birri" incaricati dal Bargello o da Sua Signoria il Granduca. Eppure, come ci insegna la Corte costituzionale, date queste condizioni sistematiche, non si può sottrarre - ad esempio - alla ricorribilità il decreto di espulsione del Prefetto. Quel decreto è un atto amministrativo a tutti gli effetti e dunque segue, deve seguire, la strada e le garanzie apprestate per gli atti amministrativi.
Il problema, allora, come si vede, è assai più complessivo e tratta dell'adeguamento di un sistema legislativo all'evoluzione della società. Un problema vecchio come l'Uomo, che in questi tempi si fa sentire tanto più forte quanto più l'evoluzione della società è frutto non solo della crescita di un microcosmo nazionale, ma anche - e soprattutto - delle influenze e degli intrecci internazionali.
E' altrettanto evidente che un discorso del genere non può essere alla portata - con tutto il rispetto e la stima - di un capo della polizia. Purtroppo non pare essere alla portata neppure del nostro legislatore degli ultimi quindici anni.

TEMPI DURI PER I VAMPIRI


Luigi Morsello

Nessun segreto. E una nuova mission all'insegna dei buoni risultati. Le amministrazioni pubbliche devono spogliarsi della veste dell'inefficienza e agire sull'esempio delle società quotate, guidate dal principio della trasparenza; i cittadini comportarsi come clienti o azionisti. Su questa nuova onda, tutti i dati sulla struttura ministeriale e le funzioni del personale, a partire da curricula, telefoni ed e-mail, fino alle assenze dei dipendenti e agli stipendi dei dirigenti sbarcano sulla rete.

TRASPARENZA - Da questa scelta, eseguita in accordo con il Garante per la Privacy, e non a caso battezzata «Operazione trasparenza» parte la «piccola rivoluzione» annunciata dal ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta e riferita, per il momento, al personale del ministero e alle strutture ad esso collegate (Scuola superiore della pubblica amministrazione, Aran, Formez, Cnipa). Così, da oggi, anche il tasso di assenteismo ufficio per ufficio e le retribuzioni lorde dal capo dipartimento ai dirigenti generali e di seconda fascia sono pubblicate on-line. Un universo di circa 1.100 dipendenti.

IL MINISTRO - Dall'esempio non si sottrae lo stesso Brunetta: nell'arco di 10 giorni saranno inseriti on line anche i suoi dati, compresa la retribuzione annua lorda, e dei suoi collaboratori. «Non sono un eroe», ha sottolineato Brunetta, ma da qui comincia la nuova fase della Pa. «Entro una settimana - ha d'altra parte annunciato il ministro - sarà pronto il piano industriale che la riformerà. Il pacchetto normativo sarà operativo entro l'anno» e nel corso della prossima settimana ci sarà l'incontro con le parti sociali. Il Paese, «non ne può più di una amministrazione pubblica opaca e arretrata. Io - ha detto Brunetta - voglio considerare la Pa come le società quotate, in cui gli azionisti sono i cittadini, quei sessanta e oltre milioni di italiani, chiamati a fare i cani da guardia». Con il compito di «liberare quel grande giacimento di produttività e di efficienza, che esiste ma non è stato ancora esplicitato». D'ora in poi, «la stella polare sarà la soddisfazione dei clienti» e «se nel privato che non lavora interviene il piede invisibile che si chiama mercato», ha continuato Brunetta tornando sul tema dei fannulloni, «io nel pubblico lo voglio introdurre nel senso di pedata». Insomma, «daremo la caccia agli imboscati».

CACCIA AGLI IMBOSCATI- Sulla base di questa nuova visione, «mi piacerebbe - ha auspicato - che si avviasse un processo emulativo per tutti gli altri ministeri» e, magari, ha indicato, anche per giornali e agenzie di stampa, così come per le amministrazioni locali e la magistratura, mentre ci si prepara alla stessa operazione per le consulenze esterne. Gli obiettivi non sono da poco: l'operazione trasparenza porterà, ha sottolineato Brunetta, «un incremento dell'efficienza del sistema pari al 30-40%, sia per quanto riguarda i servizi che la crescita del Pil, accompagnata allo stesso tempo da una riduzione, negli stessi termini, dei costi e della burocrazia». Si tratta, comunque, di una operazione 'in progress', che intende arrivare a pubblicare sul sito anche gli obiettivi, le valutazioni, gli indicatori finanziari di spesa e di qualità (per questo è stata avviata una collaborazione con l'Istat). A proposito di assenteismo, risultano essere 22 i giorni in media di assenza, escluse le ferie, per ogni dipendente del dipartimento della Funzione pubblica, che conta 256 persone in servizio (nel 2007); quelli per malattia 11, mentre il totale in un anno è stato di 13.559 giorni (53 la media procapite). «Ne vedremo delle belle», si è detto convinto Brunetta: «Il gioco è appena iniziato, l'appetito viene mangiando».
(Corriere della Sera, 26 maggio 2008).

Le frasi del ministro Brunetta mi appaiono velleitarie, per quanto segue.

Il problema esiste ed è grave ed è dovuto al meccanismo legislativo che preside al controllo delle assenze per malattie dei lavoratori pubblici in questo caso) ma anche privati.

Esaminiamolo.

Il D.L. 463/1983, convertito nella legge 11 novembre 1983 n. 638, fra le misure urgenti in materia previdenziale, assistenziale e di contenimento della spesa pubblica, dettava anche la prima, per ora unica, norma destinata alla lotta contro il fenomeno dell’assenteismo sui posti di lavoro, che ‘infestava’ (ed infesta tuttora) il lavoro dipendente, pubblico e privato.

Non ha l’A. esperienze di lavoro dipendente privato, ma, nell’ambito dei pubblici dipendenti, privatizzati e non da cui l’A. proviene, il fenomeno ha natura endemica e generalizzata, di vaste proporzioni.

I commi da 9 a 15 dell’art. 5 in epigrafe recitano:
9. Ai fini dei controlli sullo stato di salute dei lavoratori, il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, formula gli schemi-tipo di convenzione di cui all'articolo 8- bis, D.L. 30 aprile 1981, n. 168, convertito, con modificazioni, nella L. 27 giugno 1981, n. 331, nei casi in cui gli schemi suddetti non siano stati elaborati di intesa fra l'Istituto nazionale della previdenza sociale e le regioni entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto.
10. Entro i trenta giorni successivi alla data di pubblicazione degli schemi di cui al comma che precede le unità sanitarie locali adottano le convenzioni di cui al comma che precede e predispongono un servizio idoneo ad assicurare entro lo stesso giorno della richiesta, anche se domenicale o festivo, in fasce orarie di reperibilità, il controllo dello stato di malattia dei lavoratori dipendenti per tale causa assentatisi dal lavoro e accertamenti preliminari al controllo stesso anche mediante personale non medico, nonché un servizio per visite collegiali presso poliambulatori pubblici per accertamenti specifici.
11. L'omissione degli adempimenti di cui al comma che precede nel termine fissato comporta l'immediata nomina di un commissario ad acta da parte del competente organo regionale.
12. Per l'effettuazione delle visite mediche di controllo dei lavoratori l'Istituto nazionale della previdenza sociale, sentiti gli ordini dei medici, istituisce presso le proprie sedi liste speciali formate da medici, a rapporto di impiego con pubbliche amministrazioni e da medici liberi professionisti, ai quali possono fare ricorso gli istituti previdenziali o i datori di lavoro .
13. L'Istituto nazionale della previdenza sociale, per gli accertamenti sanitari connessi alla sua attività istituzionale, è autorizzato a stipulare apposite convenzioni con l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
14. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sentiti la Federazione nazionale degli ordini dei medici e il consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, sono stabilite le modalità per la disciplina e l'attuazione dei controlli secondo i criteri di cui al comma 10 del presente articolo ed i compensi spettanti ai medici.
15. Qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l'intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l'ulteriore periodo, esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo
”.

Sull’art. 5 si è formata una giurisprudenza sterminata. La banca dati “Juris Data” della Giuffrè annovera, fino ad oggi di ben 302 massime, delle quali moltissime destinate all’interpretazione della normativa che interessa in questa sede.

Tuttavia, si è in grado di affermare che la piaga dell’assenteismo sul posto di lavoro è rimasta tale e quale, almeno nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria, che però non ha colpa e responsabilità alcuna, salvo un inspiegabile immobilismo propositivo.

La disciplina legislativa stabiliva, in estrema sintesi, quanto segue.
1) il comma 9, che i Ministri “pro-tempore” della Sanità, Lavoro e Previdenza sociale formulassero gli schemi-tipo della convenzione previsti dall’art. 8 bis del D.L. 30 aprile 1981 n. 168 e finalizzati alla “effettuazione dei controlli sullo stato di salute dei soggetti aventi titolo alle prestazioni economiche di malattia e di maternità attraverso convenzioni da stipulare entro il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sulla base di appositi schemi-tipo elaborati d'intesa tra l'INPS e le regioni ed approvati con decreto del Ministro della sanità.”, nel caso i cui “…gli schemi suddetti non siano stati elaborati di intesa fra l'Istituto nazionale della previdenza sociale e le regioni entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto”;
2) il comma 10, l’obbligo delle U.S.L. (oggi A.S.L.) di
a)adottare le convenzioni suddette, nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione degli schemi stessi;
b)predisporre “un servizio idoneo ad assicurare entro lo stesso giorno della richiesta, anche se domenicale o festivo, in fasce orarie di reperibilità, il controllo dello stato di malattia dei lavoratori dipendenti per tale causa assentatisi dal lavoro e accertamenti preliminari al controllo stesso anche mediante personale non medico, nonché un servizio per visite collegiali presso poliambulatori pubblici per accertamenti specifici”;
3) il comma 11, che l’inottemperanza dell’obbligo che precede nei termini indicati avrebbe comportato la nomina da parte della Regione interessata di un commissario ‘ad acta’;
4) il comma 12, l’istituzione da parte dell’INPS delle liste dei medici, pubblici dipendenti o liberi professionisti, cui potevano far ricorso, per l’effettuazione delle visite fiscali, su richiesta dei datori di lavoro, per il tramite degli istituti previdenziali;
5) il comma 13, l’autorizzazione per l’INPS di stipulare apposite convenzioni con l’INAIL;
6) il comma 14, l’adozione delle “… modalità per la disciplina e l'attuazione dei controlli secondo i criteri di cui al comma 10 del presente articolo ed i compensi spettanti ai medici.”;
7) il comma 15, le sanzioni per il lavoratore dipendente pubblico o privato, risultato assente alla visita di controllo senza giustificato motivo:
a) la decadenza dal trattamento economico per intero per i primi dieci giorni di prognosi e nella misura della metà per il periodo successivo. Circa questa seconda parte delle sanzioni economiche va dettocce la Corte Costituzionale, con sentenza n. 78 del 26 gennaio 1988, dichiara illegittima questa norma nella parte in cui non prevede una seconda visita di controllo prima dell’adozione della sanzione della riduzione del 50% delle retribuzioni, da adottare, ovviamente, a scadenza della prima ‘tranche’ di prognosi che prevede la perdita totale della retribuzione.

Il Ministro della Salute tardava a adottare la disciplina prevista dai commi 12 e 13.

Il relativo Decreto Ministeriale n. 536700, reca la data 15 luglio1986.

Il dato più rilevante (art. 4) è costituito dall’orario di reperibilità, stabilito dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 17 alle 19 di tutti i giorni, compresi festivi e domenicali, mentre il successivo articolo 5 prevede gli obblighi del medico fiscale in caso di “impossibilità di eseguire la visita per assenza del lavoratore dall'indirizzo indicato”, in cui egli deve “darne immediata comunicazione all'Istituto nazionale della previdenza sociale” e “rilasciare apposito avviso invitando il lavoratore a presentarsi al controllo ambulatoriale il giorno successivo non festivo, presso il competente presidio sanitario pubblico indicato nell'avviso stesso, salvo che l'interessato non abbia ripreso l'attività lavorativa”.

L’art. 6 prevede gli adempimenti del medico fiscale, nei casi in cui la visita fiscale è stata fatta:
1) ”redigere in quattro esemplari, su apposito modulo fornito dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, il referto indicante la capacità o incapacità al lavoro riscontrata, la diagnosi e la prognosi”;
2) “Qualora il lavoratore non accetti l'esito della visita di controllo, deve eccepirlo, seduta stante, al medico che avrà cura di annotarlo sul referto. In tal caso il giudizio definitivo spetta al coordinatore sanitario della competente sede dell'Istituto nazionale della previdenza sociale”;
3) “Al termine della visita, il medico consegna al lavoratore copia del referto di controllo, e entro il giorno successivo, trasmette alla sede dell'Istituto nazionale della previdenza sociale le altre tre copie destinate rispettivamente, la prima, senza indicazioni diagnostiche, al datore di lavoro o all'Istituto previdenziale che ha richiesto la visita, la seconda agli atti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, la terza per la liquidazione delle spettanze al medico e per assicurare un flusso periodico di informazioni sullo sviluppo del servizio e sulle relative risultanze”.

L’art. 7 prevede l’obbligo di comunicare, entro 24 ore dall’acquisizione, il referto al datore di lavoro, con l’esito degli accertamenti effettuati.

L’art. 8 prevede l’obbligo di predisposizione del servizio di controllo anche nelle giornate festive e domenicali.

L’art. 9 prevede l’obbligo della diffida formale per il medico inadempiente e della cancellazione dagli elenchi dei medici fiscali, in caso “persistano” i predetti inadempimenti.

L’art. 10 stabilisce i compensi previsti per le prestazioni dei medici fiscali, mentre l’art. 11 prevede il rimborso di tali emolumenti a carico del datore di lavoro.

Descritto così, il sistema appare ben congegnato. Sarebbe stato lecito aspettarsi una consistente riduzione delle malattie di ‘comodo’.

Così non è stato.

Anzi, quella dell’assenteismo dal lavoro dei lavoratori dipendenti, soprattutto del pubblico impiego, è un fenomeno che contribuisce in modo significativo ad aprire una voragine nei conti pubblici.

Vediamo perchè ciò accade.

Vi sono due ordini di ragioni. Entrambe importanti.

La prima è costituita dalla formulazione del D.M. del 1986. Ivi si legge (art. 6, comma D.M. cit.) che il compito del medico fiscale è limitato ad accertare la ‘capacità’ o la ‘incapacità’ al lavoro del lavoratore dipendente sottoposto ad accertamento fiscale.
Può, inoltre, confermare o non diagnosi e prognosi. Non può fare altro.È un grave errore metodologico.
Non solo.
È anche un arretramento rispetto al precedente regime, in cui medico fiscale era il medico condotto (figura ormai scomparsa) o altro sanitario incaricato dall’amministrazione pubblica, il quale aveva discrezionalità maggiore, potendo anche ridurre la prognosi del medico di famiglia (oggi medico di base o di fiducia).
Una ‘forchetta’ così ristretta di possibilità sembra dettata più da una difesa corporativa dei medici del Servizio Sanitario Nazionale, piuttosto che da una compiuta tutela degli interessi dello Stato e dell’economia del paese Italia.
È questo, dell’ampliamento della possibilità di valutazione delle prognosi da parte del medico fiscale, un primo intervento, urgente ma veloce, da adottare mediante una modifica veloce e facile (almeno dal punto di vista tecnico) del D.M. del 1986 (art. 6).

L’altro aspetto riguarda l‘assetto normativo che è stato adottato per il servizio di medicina fiscale.
Premesso che l’art. 5, comma 10 prevede “accertamenti preliminari al controllo stesso anche mediante personale non medico”, che non sembra siano stati mai disciplinati, l’altra grave anomalia, a giudizio dell’A., è da individuarsi nella circostanza che il D.M. del 1986, art. 1, prevede “liste di medici a rapporto di impiego con pubbliche amministrazioni e liberi professionisti”, in attuazione del dettato legislativo di cui all’art. 5, coma 12, che recita, lo si ripete: “liste speciali formate da medici, a rapporto di impiego con pubbliche amministrazioni e da medici liberi professionisti”, compensati con i compensi di cui all’art. 10 del D.M. 1986.
Nel tempo si è sempre più stratificata e consolidata una tendenza ad assegnare, a queste liste, la funzione di ‘stazione di passaggio’, o ‘trampolino di lancio’ per giovani e meno giovani medici non pubblici dipendenti né specialisti con affermati studi professionali.
Il rapporto di lavoro è poi regolamentato, ovviamente considerato il regime normativo di riferimento, da convenzione libero-professionale a tempo determinato, rinnovabile anno per anno.
Qui si annidano le tendenze corporative di cui si è detto in precedenza. Mediante un semplice processo d’identificazione con il medico fiscale, un medico precario senza quasi tutela giuridica, ci si deve interrogare per quale principio etico-morale, pur sussistente, possa questo povero medico adottare un provvedimento (lui medico precario) di sconfessione di una diagnosi fatta dal collega, medico di base o specialista, senza avere la quasi certezza di incappare nelle ire (e prevedibili ritorsioni) della categoria di appartenenza, a danno – quasi certo - del fragile rapporto di lavoro da cui dipende la sua sopravvivenza (del medico fiscale) e della sua famiglia.
Il rimedio ? Occorre una seria riforma, che attribuisce alla categoria dei medici di guardia la tranquillità del trattamento economico e di tutela del posto di lavoro, mediante la trasformazione del rapporto di lavoro da precario a stabile, con contratti di lavoro a tempo indeterminato.

Il costo dell’operazione di cui sopra sarebbe ampiamente compensato dalle ore lavorative che non si perderanno per effetto di malattie di fantasia o di prognosi troppo generose.

Può il ministro Brunetta accettare questo suggerimento ?






TOCCATA E FUGA IN RE MINORE





Luigi Morsello

Johann Sebastian Bach

Karl Richter, organo

Le composizioni musicali del Barocco più conosciute al mondo sono:


  1. la Sonata al chiaro di luna di Beethoven;

  2. il Preludio n. 1 del I libro del Clavicembalo ben tenperato di Bach;

  3. la Toccata e fuga in re minore di Bach.


Confermando che sono solo un musicofilo, ho cercato in Internet un contributo soddisfacente e chiarificatore e l'ho trovato in un 'blog' di un 'blogger' che usa lo pseudonimo di "Piers". Non sono riuscito a saperne di più. Ma anche un altro 'blog', bellissimo, titolato 'L'Isola delle emozioni', riproduce questo contributo, da una 'blogger' chiamata Sofia.

Lo progongo.

Inchiusura proporrò il video delle secuzione di Karl Richter.

"L'arte del contrappunto

Una delle composizioni classiche più famose in assoluto, assieme alla nona sonata di Beethoven, soprattutto per l'inizio folgorante e la potenza che ne scaturisce all'ascolto: la Toccata e Fuga in re minore BWV565 di Johan Sebastian Bach.

Probabilmente, la composizione più famosa di quest'autore, subito seguita da "Aria sulla IVa corda", la sigla di SuperQuark, insomma!

Una musica che nasce per organo, ma che risultò già talmente geniale appena scritta, che lo stesso Bach la eseguì anche al violino e conducendo un'orchestra.



INTRODUZIONE TEORICA



Penso sia utile precisare una cosa che molti ignorano: Toccata e Fuga non è un titolo, come potrebbe essere, per esempio, "Lo schiaccianoci" o "La pastorale", ma bensì un vero e proprio genere compositivo (anzi due), basato sullo studio e l'utilizzo del contrappunto, nato e sviluppato per organo, ma che poi viene adattato a molti strumenti (soprattutto da camera); per esempio, lo stesso Bach eseguì un'altra Toccata e moltissime Fughe col clavicembalo, dando origine a quell'opera monumentale che chiamò "Il clavicembalo ben temperato", opera che istituì ufficialmente per la prima volta le 24 tonalità possibili nell'attuale sistema di accordatura, il sistema ben temperato; attuale sistema, peraltro, che è tale proprio per merito di Bach.
La Toccata ha dunque le sue regole, così come la Fuga. In particolare quest'ultima è considerata lo sviluppo tipo per qualsiasi opera contrappuntistica, ed è basata soprattutto sul contrappunto di due voci che si sviluppano sull'armonia di base, prevalentemente con intervalli di terza, quinta e nona.
Pensate un po' che il blues, nato da cultura e da motivi completamente diversi, ha moltissimi punti in comune (molto meno teorici ed articolati, ovviamente), ma usa come caratterizzazione gli intervalli di settima ed eccedenti, le cosiddette "note blu". Che sono poi quelle note così particolari che lo diversificano dalla musica occidentale. Dunque è vero che la bellezza non ha confini?



VARIE MISTIFICAZIONI



Molte composizioni famose sono legate a leggende più o meno veritiere, spesso narranti la loro scrittura; esempio tipico il Requiem di Mozart, che già per l'argomentazione che tratta si presta bene.

La Toccata e Fuga BWV565 non fa eccezione. Infatti, pare che Bach la scrisse in preda ai deliri di una febbre molto alta ed anomala, apparsa improvvisamente nel pomeriggio. La notte, sembra che l'artista venne svegliato dal suono dell'organo della chiesa presso cui prestava servizio; recatosi all'interno per verificare, sembra che egli stesso affermò di essere irrimediabilmente attratto verso la console, in preda ad un'ipnotica curiosità. Giunto in grado di vedere chi stesse suonando, vide che si trattava nientepopo' di meno che di Satana in persona! Ovviamente la musica che stava suonando era la nostra amata composizione. Alla mattina la febbre era misteriosamente scomparsa, ma solo quella fisica: quella intellettuale lo proiettava già verso la musica ascoltata la notte prima.

Al di là di questi racconti, la realtà è forse più complessa. Infatti, questa è l'opera più emblematica del compositore, tanto che non vi è sicurezza storica della sua assegnazione; viene attribuita e riconosciuta a Bach per una serie di concomitanze (periodo storico, tratti caratteristici della composizione, ecc...), ma non vi è traccia certa incontestabile della sua paternità.

In effetti, ascoltandola il mio giudizio si spacca nettamente in due: se da un lato la sua potenza e la sua genialità non possono venire che da Bach, dall'altro la partitura e il suo sviluppo hanno tratti fin troppo semplici, a volte incredibilmente futuristici; possibile che Bach, genio ligio e maestro di regola, che disattende le rigide strutture solo per crearne altre, abbia qui giocato con la sua stessa serietà?



LA SCELTA DELLO STRUMENTO



Da sempre l'organo a canne, assieme al violino e al clavicembalo, era "figlio prediletto" di Bach.

L'organo è chiamato il re degli strumenti, in quanto offre la maggior estensione possibile. Inoltre, fu il primo strumento che diede la possibilità di suonare contemporaneamente con diverse timbriche, ad un solo esecutore. Venne dunque visto, soprattutto in epoca barocca e romantica quando le orchestre presero il sopravvento, come una sorta di "orchestra a portata di mano". Fu, per dirla con termini moderni, il sintetizzatore dell'epoca.

Questa concezione, unita alle innovazioni tecnologiche che si stavano facendo avanti, spinse i costruttori a creare organi sempre più politimbrici, fino ad arrivare ad avere addirittura un'intera orchestra, divisa per sezioni, disposta su cinque manuali. Ad ogni modo, il nostro Bach era un po' più tradizionalista, sembra che amasse l'organo soprattutto per quel suono inimitabile, potente, imperativo; oltre che per motivi pratici, quale quello di dover comporre spesso canzoni liturgiche e, quando non era così, avere la possibilità di simulare diversi suoni per avere una bozza dei risultati dati da un'orchestra.
Interpreti di tutti i tempi hanno suonato la Toccata e Fuga, proponendo una miriade di soluzioni. Suonata in tutte le parti del mondo, in ogni dove prende sfumature tutte particolari, perchè ogni organo viene (più che altro venne) concepito con diverse mentalità, proprie del paese e del singolo costruttore. Così, come si suol dire, si può sentire in tutte le salse. Ma secondo me la BWV565 è stata concepita per un organo più classico, appartenente alla migliore tradizione tedesca: un Oberwerk, un Brustwerk e una pedaliera; suoni tipici, semplici e compatti, riconducibili a flauti e ottoni, oltre all'immancabile bordone sui pedali.
Il mio giudizio personale sulle interpretazioni è influenzato anche dall'organo scelto per l'esecuzione. Una delle migliori interpretazioni, che pecca solo di un tempo leggermente lento, è quella di Anton Hiller; quella che non mi è piaciuta affatto è quella di Ton Koopman, che mi usa un organo norvegese... penso che di fiammingo quest'opera abbia ben poco, oltre al fatto che suona come se gli scappasse la pipì.



LA SCELTA DELLA TONALITA'




E' nato prima l'uovo o la gallina? In una canzone nascono prima le parole e poi la musica? E in una composizione, nasce prima la melodia o l'armonia? E in entrambi i casi, prima queste o la scelta della loro tonalità? Boh !

Ma è innegabile che ogni tonalità ha delle caratteristiche particolari, percepite soggettivamente, ma alle volte che si possono anche adattare ad una classificazione un po' generale e frammentaria, ma più oggettiva. Così, la tonalità di do minore è drammatica e austera, quella di si bemolle maggiore inconsueta e contrastata, ecc...
La tonalità di re minore è una delle più utilizzate in assoluto, soprattutto per composizioni e canzoni di tipo romantico-malinconico nella musica più moderna, drammatico-estatico in quella più classica. Bach non fa grande eccezione da questo punto di vista, la tonalità scelta è di tipo armonico (le scale minori possono essere armoniche o melodiche), che rafforza maggiormente il tono drammatico. Questa tonalità è, in verità, un po' più inconsueta per l'organo, tanto che la sua sonorità la rende così particolare che ogni composizione è davvero storia a sè. Ma, in fondo, è sempre un po' così, soprattutto con le composizioni geniali.



L'OPERA – Toccata



Monumentale.
Si apre con la sequenza di note forse più famosa per queste composizioni. E' un peccato però che questa sia stata la fortuna e la sfortuna contemporaneamente dell'opera. Infatti, sembra che dopo l'inizio sfolgorante non vi sia più nulla da ascoltare, ma chi lo pensa non sa quanto si sbaglia!
Per tutta la Toccata il pedale interviene poco, solo a sottolineare i momenti più drammatici, per rafforzare quegli accordi pieni che, di solito, in Bach non sono così presenti in fasi analoghe. Questa parte dell'opera è in effetti caratterizzata dall'alternanza di momenti di vivace "inseguimento cromatico", con repentine scale a doppie mani, alternate a fasi di intensa drammaticità ma non melodrammatiche, potenti ma ironiche, portate avanti da accordi pesanti e "ansiogeni", ma solo al primo, incredulo, impatto: saranno poi destinati, con l'aiuto proprio del pedale, a risolvere in maniera sconvolgente eppure estatico.
La chiusura della Toccata non disattende le premesse; giunge dopo circa quattro minuti (qualcosa meno in molte interpretazioni) e non lascia scampo: è così perfetta eppure strana, così logica e frizzante allo stesso tempo, che vien voglia di spegnere tutto e passare i prossimi dieci anni a riflettere su quanto ascoltato finora! Ma sconsiglio vivamente di farlo, perchè il miracolo prosegue...



L'OPERA – Fuga



Anche la Fuga ha un inizio famoso, tristemente famoso direi, visto che è stata usata per una delle suonerie base di molti Nokia; sorvoliamo...

Inizia dunque con una sorta di "altalena" in scala, sostenuta da un contrappunto talmente semplice e, allo stesso tempo efficace, che sembra vanificare qualsiasi altra regola musicale. Si alternano Oberwerk e Brustwerk, poi si scambiano nuovamente e così la pienezza del Brustwerk può esprimersi con dei bicordi chitarristici. La bellezza è tutta estetica, niente di particolare dal punto vista teorico; naturalmente se non consideriamo che non è stata scritta negli anni '70, ma un secolo e mezzo prima!
I giochi proseguono, tanto che si ha l'impressione di sentire due violini che s'inseguono, ma con una tensione drammatica ed ironica in un tutt'uno che da violini non può arrivare. Il pedale si fa più presente, fondamentale, per poi sparire a lasciare il posto ad un canto d'usignolo: è la sola mano destra che suona, spinta al bordo estremo del manuale dell'Oberwerk. Poi, il canto scende fino alla mano sinistra, poi entrambe: è il preludio, che termina con il corpo più fisico della Fuga. Interviene nuovamente il pedale, in un tutt'uno che non lascia respiro, un trillo di quasi due battute con la mano destra rende solista il basso prepotente del pedale, per poi tornare in maniera vigorosa sul tutt'uno che ci travolge.
Ancora una parte senza pedale, il contrappunto si fa sentire più teorico, ma è un breve interludio. Arriva ben presto il finale, caratterizzato dalle stesse fasi dell'inizio. Un'alternanza spasmodica di scale veloci, spesso a due mani, intervallate da gruppi di accordi spesso "coronati" (ovvero di lunghezza lasciata al gusto dell'esecutore); la scelta dei tempi è qui di libera interpretazione, ed è quella che differenzia in maniera netta un'esecuzione da un'altra, così come tutta l'esecuzione dell'opera. Infatti non si può pensare di tirare troppo questo privilegio, perchè vi deve essere una certa coerenza con quanto suonato fin ad ora: caro Koopman, se prima ti scappava la pipì, come mai ora sei così calmo? Non è che te la sei fatta addosso?

Basta, non posso andare oltre. Il contrappunto di questo finale è qualcosa di sublime: mano destra, mano sinistra e pedale sono tre entità distinte e separate, ma invece no... oppure sì, ma forse no... che ne so?! Se c'è una parte musicale che può esprimere il concetto di trinità, è proprio questa, in maniera ancor più rimarcata di quanto, comunque, non possa già fare tutta l'opera.

La sequenza finale di accordi è devastante: ascoltatela col cuore, ma non sorprendetevi se una lacrima vi righerà il volto.



COMPLESSIVAMENTE



La potenza, la regalità e la superbia dell'organo sono il giusto ed insostituibile sostegno per questo monumento musicale. Essendo un'opera davvero omnia, è stata suonata anche da duetti, quartetti (di fiati ed archi) e da intere orchestre, con eccellenti risultati indubbiamente. Ma quando suona sua altezza l'organo, sedetevi ed ascoltate: ammirate. ^^
La teoria è tanta, ma spesso e volentieri qui viene disattesa. Certamente Bach è stato un genio del contrappunto sia per il suo modo di usare le regole quanto per quello di infrangerle; eppure non può non sorprendere il modo in cui, in questa sua opera, l'infrangere le regole diventa la regola stessa, tanto da risultare impossibile distinguere quale sia più il "giusto" dallo "sbagliato".
Bah, lo sbagliato è non ascoltare questa musica!



CONCLUSIONE



Ascoltatela all'infinito, altro non posso consigliarvi. Ascoltatene moltissime versioni, perchè ognuna ha qualcosa da dirvi. Approfittate dell'inconsueta facilità estetica di quest'opera, ma della sua solidità armonica e melodica: vi avvicinerete al mondo della musica per organo. Chissà che poi non abbiate voglia di proseguire il viaggio, per approdare a mete un po' più ostiche, come per esempio la Passacaglia e Fuga in do minore.

Ma di sicuro questa non dovete farvela sfuggire."

No c'è che dire, l'autore di questo contributo usa a piene mani una fine ironia tutt'altro che sconcia, anzi, direi, addirittura ingenua ma gradevole.

Anche in questo caso non posso dire di avere capito tutto, ma ascoltate !



Che ne dite ?

giovedì 29 maggio 2008

AEREOPORTO DEDICATO A UN FANTASMA


Armando Voza

L’apertura dell’aeroporto Salerno-Pontecagnano è imminente (almeno così si dice) e ancora la disputa sul nome da dare alla struttura è ancora aperta.

Qualche tempo fa correvano nomi del tipo “aeroporto dei Picentini”, “aeroporto Costa d’Amalfi” e, più recentemente, su iniziativa di un’associazione ebolitana Voci di donne “aeroporto Umberto Nobile”, probabilmente il più appropriato.

Come dal nulla qualche mese fa sui giornali locali è apparsa una notizia che ha destato grande scalpore. Il Consorzio che gestisce la struttura aveva votato a favore di una delibera nella quale si dava all’aeroporto il nome di Flavio Gioia.

Ammettendo la mia ignoranza, non ho esitato a fare subito una ricerca su internet per capire chi fosse questo personaggio e, udite-udite, questo tal Flavio Gioia è un personaggio di fantasia, un uomo che non è mai esistito: un personaggio immaginario al quale la tradizione ha voluto attribuire l'invenzione della bussola.

Da un sito su internet ho tratto queste informazioni che offro all’attenzione dei lettori.

L'Enciclopedia Treccani offre una dettagliata descrizione in merito, partendo dall'errore commesso da G.G. Giraldi che nella sua opera De re nautica (1540) attribuì senza'altro l'invenzione della bussola “a tale Flavio di Amalfi”. Indicato dagli scrittori posteriore come Flavio di Amalfi o Flavio Campano, diventò finalmente Flavio di Gioia a opera dello storico Mazzella nella Descrizione del Regno di Napoli. Evidentemente il Mazzella voleva indicare correggendo, quello che a suo parere era il vero luogo natìo del presunto Flavio, e non il suo cognome. In seguito la particella “di” scomparve e rimase quindi definitivamente il nome Flavio Gioia. In sostanza tutta la vicenda parte dalla deformazione del nome di Flavio Biondo che nel 1453 (circa) diede notizia nella sua Italia Illustrata che la bussola era stata perfezionata dagli amalfitani.

La bussola, per uso nautico, era nota in Cina sin dal quarto secolo dopo Cristo. Tra i primi a servirsi della bussola nel Mediterranneo furono i marinai amalfitani nei loro viaggi verso l'Egitto e la Siria, perfezionandola e diffondendola intorno al 1100-1200 quando i trasporti e i commerci iniziarono a moltiplicarsi anche sotto la spinta delle Crociate.

Lo scultore cavese Alfonso Balzico (Cava 1825 - Roma 1901) era stato molto colpito dal personaggio di Flavio Gioia tanto che gli dedicò ben due lavori. Uno all'inizio della sua carriera artistica e uno in età più matura.

Come ricorda il professor G. Trezza, biografo del Balzico, lo scultore realizzò - intorno ai 27 anni - un busto colossale di Flavio Gioia (riportato dalla rivista Poliorama, novembre 1853) e secondo Michele Lassona, altro biografo del Balzico, il busto doveva trovarsi nella reale Accademia delle Belle Arti di Napoli. Il modello in gesso, oltre il naturale, si trova adesso nella Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

La seconda volta che Balzico dedicò la sua attenzione al “personaggio Flavio Gioia” fu quasi alla fine del secolo scorso. L'opera è ad Amalfi e per la sua realizzazione lo scultore utilizzò come modello il busto che tanti anni prima aveva lavorato. La rivista Il Torneo (12 agosto 1892) narra: “zitto, zitto, tranquillo, tranquillo, ne modellò la statua nel suo studio di Santa Susanna in Roma: il Flavio Gioia, col il suo abito marinaresco del '300 fissa l'occhio sulla scatoletta della bussola, e col dito della mano destra segue la direzione dell'ago. Sul volto maschio è come l'accenno di un sorriso, e nell'occhio malizioso brilla il pensiero dell'uomo, che dice allo strumento: te l'ho fatta!

Docente di matematica, divulgatore di grande successo internazionale, ma soprattutto figlio di un comandante di marina che lo ha portato con sé in molti viaggi attraverso gli oceani, Amir D. Aczel, la trama del suo libro dal titolo "L'enigma della bussola" parte proprio da Amalfi, dove un monumento ricorda Flavio Gioia, gloria cittadina e “inventore della bussola” nel 1302. Ma, come scopre ben presto Aczel consultando la biblioteca locale, Flavio Gioia fu solo un personaggio leggendario che riuniva in sé le capacità nautiche e imprenditoriali della gloriosa Repubblica marinara di Amalfi, bruscamente decaduta dopo il rovinoso maremoto del 1343 che ne distrusse completamente il porto mai più ricostruito.

Allora chi inventò veramente la bussola magnetica, lo strumento che consentì di solcare i mari in qualunque stagione e con qualunque tempo, superando l'aleatorietà dei venti, del cielo stellato e del volo degli uccelli?

L'invenzione ha in realtà molte date di nascita e molti padri distribuiti un po' in tutto il mondo. Pare che i cinesi usassero oggetti di magnetite fin dal primo secolo dopo Cristo non per navigare, ma per trarne oroscopi e orientare gli edifici secondo le regole del feng shui. La bussola vera e propria debuttò comunque nel Mediterraneo alla fine del Duecento, probabilmente sulle navi della Repubblica veneziana, anche se sembra che a farla conoscere agli armatori veneziani non sia stato Marco Polo, ma i mercanti arabi. Al fantomatico Flavio Gioia andrebbe dunque solo il merito di aver reso questo strumento più pratico ed efficace.

Il prof. Trezza ricorda che nel 1892 a Genova fervevano preparativi per festeggiare il quarto centenario della scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo e anche ad Amalfi si pensò di commemorare colui che, secondo il verso del Panormita, la rese gloriosa: “primam dedit mautis usum magnetis Amalphis" e additò il cammino ai grandi viaggiatori. Nella città salernitana si seppe che lo scultore Balzico, all'epoca residente a Roma, aveva già realizzato un Flavio Gioia e pare che tal Nicolangelo Protopisani, facoltoso amalfitano offrì allo scultore un anticipo di 4.000 lire per la realizzazione di una statua del Gioia, promettendone altre seimila alla fine del lavoro. Ma gli amalfitani non misero assieme la restante somma e il Balzico chiese l'annullamaneto del contratto.

La statua, però era stata fatta e partecipò anche all'Esposizione Universale di Parigi (1900), ottenendo in premio una medaglia d'oro. Terminata la mostra parigina, la statua tornò a Roma il 2 febbraio 1901 proprio mentre il grande scultore moriva. Il Flavio fu esposto poi per molti anni al Museo Balzico a Roma, museo privato inaugurato nel 1907 dalla
Regina Margherita.

Successivamente alcune opere dell'insigne artista, destinate a Cava de' Tirreni, furono rifiutate e quando gli eredi del Balzico nel 1917 decisero di chiudere il museo privato, donarono tutte le opere alla Galleria di Arte moderna e Contemporanea di Roma.

La statua di Flavio Gioia fu acquistata dalla città di Amalfi. L'inaugurazione avvenne nel 1926 in piazza Duomo. In tempi più recenti l'opera però venne trasferita nel piazzale antistante, nel luogo ove tuttora è collocata.

Nel frattempo restiamo in attesa dell’inaugurazione dell’aeroporto salernitano sperando che questi signori si ravvedano per evitare, un giorno, si aggiungere “scuorno” per i tempi biblici occorsi per l’apertura a “scuorno”, per un nome di una persona che non esiste.

SONATA AL CHIARO DI LUNA - Wilhem Kempf


Luigi Morsello

Ludwig van Beethoven
L'esecuzione di Wilhelm Kempf

SONATA AL CHIARO DI LUNA - Daniel Barenboim


Luigi Morsello

Ludwig van Beethoven


L'esecuzione di Daniel Barenboim


IL CLAVICEMBALO BEN TEMPERATO - PELUDIO N. 1

(Pablo Picasso, Ritratto di Ambroise Vollard, 1910, Museo Pushkin, Mosca)
Luigi Morsello


Ho cercato a lungo una descrizione-trattazione dell’opera ed ho trovato questa in un blog, al seguente URL:



http://lemievaligie.splinder.com/

Il blog titola “Le mie valigie” ed appartiene ad Elena 66, non ci sono altri dati.

Ecco come scrive “Lo zotico”, pseudonimo di chi sa chi.

Il Clavicembalo ben Temperato. Ma di cosa si tratta in realtà? Conoscendo il contenuto dei due libri, devo dire che Bach, in quanto ad assegnare titoli alle proprie opere, non era il massimo. Infatti, leggendo questo titolo mi vien da pensare ad un clavicembalo in acciaio raddolcito; oppure ad un clavicembalo che suona particolarmente bene in un clima mediterraneo; o forse ad un clavicembalo dai tasti acuminati; forse è uno strumento il cui suono viene ben attutito? Niente di tutto questo!
Innanzitutto si tratta di due libri scritti in due momenti differenti della vita del "Vecchio" Bach: il primo libro riporta la data del 1722, mentre il secondo è del 1744. Tutta l'opera, con diversi obiettivi, segue un'architettura ben determinata.
Consta di due libri. Ciascun libro riporta 12 coppie di preludi e fughe. Ogni coppia di composizioni è in rapporto dialettico secondo principi tecnici diversi (o almeno questo come prima idea):




  • Il Preludio, più basato sullo sviluppo degli accordi;

  • La Fuga, maggiormente basata sul rapporto delle linee melodiche.


Ciascuna coppia di preludio e fuga è scritta sia nella Tonalità Maggiore che nella Tonalità Minore. Con questa struttura l'opera segue tutta la scala cromatica fino al suo completamento.
Cerchiamo di capire che aria tirava nella casa di Johann Sebastian. Egli faceva musica all'organo in chiesa, con il cembalo la faceva a casa, provava con cantori e strumentisti, componeva per tutti gli strumenti e dava lezioni private di musica. In questo ambiente è chiaro che anche i figli divennero inclini alla musica. Proprio per loro nacque in Bach l'idea primordiale del Clavicembalo Ben Temperato, ovvero per esercitarli a suonare in tutte le tonalità.

Ora però dobbiamo tenere presente l'evoluzione che gli strumenti a tastiera stanno avendo all'epoca e, con essa, il problema dell'accordatura. Un problema che si poneva perché essa non era così immediatamente "aggiustabile" come negli strumenti ad arco o a fiato. Che vuol dire questo? Sommariamente posso accennare solo al fatto che nel nostro sistema musicale, per questioni legate ai rapporti tra le frequenze, due “stessi” suoni (esempio DO# e REb) in realtà non coincidono. Ora il problema oggi ci sembra di poco conto, ma all'epoca di Bach, quando i suoni si trascinavano questa differenza, a seconda della tonalità utilizzata dal compositore, bisognava accordare tutti gli strumenti. Dopo numerosi passi intermedi, fu trovata, alla fine del XVII secolo, la soluzione di compromesso ancor oggi in vigore: la suddivisione dell'ottava (DO – DO) in dodici parti uguali. Si trattava del cosiddetto "temperamento equabile", nel quale tutti gli intervalli naturali, ad eccezione dell'ottava, si discostano un poco dagli intervalli naturali, mantenendo però tra i suoni una distanza che è indipendente dalla tonalità nella quale ci si trova. Solo a quel punto si poté far uso di tutte le tonalità e passare dall'una all'altra qualsiasi. L'abbandono dell'accordatura naturale fu certo una perdita spiacevole, ma enormemente maggiori furono i vantaggi che ne derivarono alla musica (con questo sistema DO# e REb coincidono).
L'evoluzione dell'idea primordiale di Bach era quello di dimostrare che suonando su una tastiera che utilizzasse un'accordatura di tipo equabile, ovvero fosse "ben temperata", si potesse passare da una tonalità all'altra in maniera indipendente.
In questa opera Bach, oltre ad essere un grande maestro, prima per i suoi figli, poi per gli allievi privati, mostra a tutti il genere "imitativo" in tutto il suo splendore In Bach il gioco delle proposte e delle risposte passa per tutti i gradi dell'espressione, da concitata a gaia, ora meditativa ora estrosa, poi burlesca dopo pomposa, con infinite sfumature, e con un senso di vita ampio e vigoroso che nasce da una concezione profondamente poetico-architettonica dei suoni e dei loro rapporti di ombra e di luce, di vuoto e di pieno, di orizzontalità dei disegni melodici e di verticalità delle ripercussioni acute o gravi.
Vorrei consigliare a tutti l'ascolto del Clavicembalo ben Temperato... ehm... chiedo scusa per lo sbaglio. In effetti il titolo dell'opera è "Dos Wohl temperirte Clavier", quindi dovrei dire: Vorrei consigliare a tutti l'ascolto della Tastiera ben Temperata, un'opera d'arte unica nella storia e ricca di particolarità e di "argomenti"
Voglio citare solo dei piccoli particolari che sono nascosti all'interno del primo Preludio e Fuga in DO Maggiore (quello che possiamo ascoltare inizialmente in questo media) del I libro al fine di generare un po' di curiosità su ciò che Bach ha lasciato all'umanità:
- La linea melodica formata all'inizio dalle sole note acute di ogni battuta del Preludio richiama palesemente il soggetto della fuga.
-
La celebre Ave Maria altro non è che questo Preludio su cui Gounod ha solo poggiato la linea melodica con le parole.
- La relazione tra la musica di Bach e la numerologia è ormai un elemento assodato. Secondo la ghematria, il nome BACH assume il valore di 14 (B = 2 ; A = 1 ; C = 3 ; H = 8). Ebbene, nella prima fuga indovinate un po' quante sono le note che formano il soggetto? Avete indovinato: BRAVI. Sono proprio 14.
- Sempre nella prima fuga le entrate del soggetto sono ben 24, dunque un'allusione nascosta e significativa al circolo delle 24 tonalità che sarà percorso nel Clavicem... ehm... Tastiera Ben Temperata
Il prezioso manoscritto, da oltre cento anni, si trova nella Deutsche Staatsbibliothek e, che per quella pazza mania di far valere la proprietà degli uomini anche sulle opere d'arte, la prima pagina è deturpata, al centro, da un timbro ovale che ne rivendica la proprietà: "Ex Bibl. Regia Berolin"
Il marchio va a rovinare una delle più belle pagine di altruismo e poesia che mi sia mai capitato di leggere. Questa pagina, redatta da Bach in bella scrittura e ornata con graziosi arabeschi, porta il titolo:
"Dos Wohl temperirte Clavier, oder Preludia, una Fugen durch alle Tone und Semitonia, So wohl tertiam majorem oder Ut Re Mi anlangend, als auch tertiam minorem oder Re Mi Fa betreffend. Zum Nutzen und Gebrauch der Lehr-begierìgen Musicalischen Jugend, als auch derer in dieserà studio schon habil seyenden besonderem ZeitVertrteìb auffgesetzel und verfertiget von Johann Sebastian Bach p. t.: HochF. Anhalt-Cothenischen Capel-Meistern und Directore derer CammerMusiquen. Anno 1722."
"
La tastiera ben temperata, ovvero preludi e fughe in tutti i toni e semitoni, comprendenti sia la terza maggiore, ossia Ut Re Mi, che la terza minore, ossia Re Mi Fa, per il profitto e l'uso della gioventù musicale desiderosa d'apprendere, come pure per particolare diletto di coloro che sono già abili in quest'arte, compilato e portato a termine da Johann Sebastian Bach, attualmente maestro di cappella e direttore delle musiche di camera di Sua Altezza il Principe di Anhalt-Còthen. Anno 1722."

Non tutto è chiaro, almeno per me che non ho studiato musica, ma l’ascolto del preludio n. 1, quello sulla cui linea melodica poggia l’Ave Maria di Gounod, compensa qualsiasi carenza, perché la musica non la si capisce, la si sente.

Non la si deve capire ma sentire.
Per sentire non intendo riferirmi all’ascolto fisico della musica, che è cosa diversa dal sentire la musica.
E per essere iniziati a sentirla occorre iniziare da quella più orecchiabile.

Viene raccontato di Arturo Toscanini un aneddoto, questo.

Al termine di un concerto negli U.S.A. una spettatrice avvicinò il Maestro manifestandogli il proprio entusiasmo e dolendosi del fatto che di musica non ci capiva niente.
Toscanini portò la signora in un ridotto del teatro dove c’era un pianoforte ed eseguì l’aria ‘La donna è mobile’ dal Trovatore di Giuseppe Verdi.
Poi chiese alla donna di canticchiare la melodia anche senza conoscerne le parole e quando la 'fan ante litteram' ci riuscì con sua grande meraviglia e gioia il Maestro le disse che appunto la musica non va capita ma 'sentita' e per ‘sentire’ la musica occorreva iniziare da quella più orecchiabile.
Come il Preludio n. 1 dal Clavicembalo ben Temperato di Johann Sebastian Bach, che può essere ascoltato dal seguente video.

Può darsi che qualcuno voglia descrivere ciò che ha provato all’ascolto: lo faccia, anche in modo a-tecnico, non si scoraggi, come non mi scoraggio io.




“Tolleranza zero!” Come nel 1992, con “Mani pulite”



Paolo Flores D'Arcais
27 maggio 2008


Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani, diceva quello di un busto del Pincio. La chiave è stata infine trovata: “tolleranza zero!” è ormai la bandiera bipartisan che unisce la penisola e i suoi video-abitanti. D’accordo. Benissimo, “tolleranza zero!” sia, ma alla lettera, ma sul serio.
E allora bisognerà cominciare col riconoscere che una sola volta, nell’intera storia d’Italia, una politica di “tolleranza zero!” è stata tentata: nell’anno di grazia 1992, a partire dall’inchiesta passata alle cronache come “Mani pulite”. Una inchiesta che non ha guardato in faccia a nessuno. Una “politica” nata per caso, per merito di magistrati che facevano solo i magistrati, applicando quanto sta scritto in tutti i tribunali (e puntualmente disatteso): la legge è uguale per tutti.
Perché “tolleranza zero!” significa contrasto sistematico allo scippo della microcriminalità, ma guerra senza quartiere ai macroscippi della criminalità d’establishment: falso in bilancio, tangenti, voto di scambio…
Altrimenti non è “tolleranza zero!”, lo dice la parola stessa, è privilegio-impunità per la criminalità dei quartieri alti e caccia alle streghe per chi non ha santi in paradiso. Ingiustizia schifosa, insomma. Non solo lurida sul piano morale (e già basterebbe per gridare un rotondo NO!) ma inefficace e anzi controproducente su quello pratico, della sicurezza.

Per almeno due motivi.

1) Perché non incide sulle leggi di procedura – alcune nate “ad personam”, altre allegramente bipartisan - che hanno vanificato la certezza della pena (oltre ad applicare a tutti i tre anni di sconto dello sciagurato indulto),
2) e perché intaserà i tribunali di procedimenti contro l’immigrazione clandestina, consentendo che per ogni altro reato sia ancora più facile farla franca (incentivando così il crimine nostrano), e riempirà le carceri di clandestini che non hanno commesso alcun reato, garantendo loro il luogo ideale in cui criminale chi non lo è ha tutte le chance di diventarlo. Con la sua legge razzista e classista, inefficace contro il crimine e discriminatoria (altro che “tolleranza zero!”, abbiamo visto) la destra fa solo il suo mestiere: è il partito del privilegio, della diseguaglianza, della società piramidale, dei cittadini di serie A, serie B e paria.
Ma la sinistra? Farebbe bene, intanto, a piangere sul latte versato. Per evitare di versarne ancora. Ha avuto quindici anni di tempo per fare l’unica autentica politica di sinistra, la politica della legalità (si chiamavano “Giustizia e libertà”, non a caso, le brigate partigiane più coerenti in fatto di democrazia), quella che da sola avrebbe risolto due terzi della questione sociale, quella che, ovviamente, avrebbe permesso di vincere a mani basse le ultime elezioni (e quelle precedenti).
Farebbe bene, anziché insistere nel suo duplice buonismo (verso i reati e verso il mondo di Berlusconi, inciucio e indulto, due facce della stessa stupidità) a rivendicare il “giustizialismo” per quello che era, legalità eguale per tutti, dunque garantismo (e severità) eguale per tutti. Di conseguenza, monumenti alle varie “banda dei quattro”, anziché vituperi.
E di fronte alla politica della destra, la capacità di metterla in difficoltà sul suo stesso terreno.
Ad esempio: c’è una sola norma, nel famigerato “pacchetto”, che andrebbe presa in parola e portata alle sue logiche conseguenze. La confisca degli appartamenti ai proprietari che lo affittano a clandestini. Norma draconiana (il proprietario rischia tre anni di carcere), che colpisce direttamente chi sfrutta il clandestino (e che dovrebbe scoraggiare indirettamente il fenomeno: si sparge la voce che in Italia non si trova casa, dunque il flusso migratorio preferirà altre strade).
Se si crede all’efficacia di questa dissuasione indiretta (a occhi e croce l’unica che può funzionare: non è certo la galera che può spaventare chi per venire in Italia ha rischiato la vita sul gommone dei nuovi negrieri), logica vuole, però, che norme altrettanto draconiane colpiscano coloro che sfruttano non già il sonno ma il lavoro dei clandestini.
Altrettanto draconiane. Per gli imprenditori edili, i latifondisti dei pomodori e della frutta, e via elencando. Altrimenti vuol dire che anche la requisizione delle case resterà una grida di manzoniana memoria, utile a fare la faccia feroce col proprio elettorato di video-dipendenti in cerca non di vera sicurezza ma di capri espiatori, ma inutile (e incivile) per affrontare la cosa stessa.
Perché la sinistra non si è ancora mossa in queste direzione? Colpire chi sfrutta gli ultimi non dovrebbe far parte del suo Dna? In questo caso verrebbe oltretutto incontro al bisogno diffuso di sicurezza, due picconi con una fava, perché allora si continua nell’harakiri del buonismo-inciucismo?
E sempre per “estremismo” logico. Se si deve essere draconiani con i proprietari di case che sfruttano i clandestini, perché non anche con quelli che sfruttano gli studenti fuorisede, in nero a 400 euro per letto in pigia-pigia? Ne verrebbe fuori uno straordinario patrimonio immobiliare da destinare ad usi sociali e di calmiere, che più di sinistra non si può, e tutto prendendo alla lettera (e alla logica) un provvedimento “loro”! Se non accetteranno, il carattere puramente razzista e da grida manzoniana del loro provvedimento verrà smascherato. Chi spreme con affitti da strozzinaggio dei giovani italiani si arricchisce in libertà, ma ad affittare anche ad equo canone ad un immigrato irregolare si va in galera e si perde l’immobile.
Cosa c’è di più moderato, responsabile, parlamentare, di una battaglia di emendamenti? E di più adatto alla logica anglosassone del governo-ombra? Forza dunque, Walter & Co., la coerenza e la logica sono di sinistra! A meno che il governo-ombra non abbia già optato per l’ombra di governo.

RIFIUTI, RIVOLTA DELLE TOGHE. SUPERPROCURA INCOSTITUZIONALE


Dario del Porto
La Repubblica
29 maggio 2008

La Procura di Napoli fa quadrato contro il decreto Berlusconi: le nuove norme, secondo i magistrati, non aiutano le indagini sui rifiuti, anzi rischiano di ostacolarle, sollevano perplessità di carattere costituzionale e renderanno "possibile smaltire in discarica", solo nella regione Campania, "un rifiuto normativamente considerato pericoloso in qualsiasi paese europeo". Un documento di quattro cartelle, firmato da 75 magistrati su 107, è stato inviato ieri all'attenzione del Csm per chiedere di esprimere parere negativo sulla riforma. Questo mentre, dinanzi agli ultimi sviluppi investigativi, i sindaci di alcuni comuni interessati dal piano varato per uscire dalla crisi chiedono ulteriori accertamenti sulla tossicità. "Alla luce di quanto sta accadendo è giusto verificare cosa sia stato versato nella discarica"; afferma Palmiro Cornetta, sindaco di Serre. E il clima resta teso a Chiaiano, dove ieri sera sono stati lanciati tre petardi collegati a bombolette di gas contro la polizia.

Ma a far riflettere è soprattutto la mobilitazione dei magistrati. La riforma, scrivono i pm di Napoli, "non sembra assecondare e sostenere lo sforzo profuso dal nostro ufficio e dagli altri uffici inquirenti campani" nelle indagini che hanno "cercato di contrastare fenomeni illegali di vario tipo, anche riguardanti le infiltrazioni della criminalità camorristica nel settore dei rifiuti, di individuare gravi degenerazioni amministrative e di contenere e ridurre il danno arrecato all'ambiente, al territorio e alla salute dei cittadini". In calce al documento, le firme di veterani dell'ufficio come il pm di Calciopoli, Giuseppe Narducci, o di sostituti impegnati in prima fila nelle indagini anticamorra come Marco Del Gaudio, Antonello Ardituro e Sergio Amato. Hanno firmato i procuratori aggiunti Sandro Pennasilico, Franco Roberti e Aldo De Chiara, ma anche i pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, titolari dell'indagine sulla gestione dei rifiuti che da martedì mattina tiene agli arresti domiciliari 25 persone fra le quali l'ex vice di Guido Bertolaso, Marta Di Gennaro, l'amministratore delegato di Fibe, Massimo Malvagna, imprenditori e dirigenti della struttura commissariale.
La nota parte proprio nel giorno in cui il capo dei pm del capoluogo campano, Giandomenico Lepore, ha incontrato in via Arenula il ministro della Giustizia, Angelino Alfano per discutere dei profili organizzativi della riforma che, nei fatti, istituisce una procura regionale e un tribunale specializzato in materia di rifiuti. Il Guardasigilli ha difeso il progetto: "Quella dei rifiuti - ha detto il ministro - è un'emergenza globale, per la quale abbiamo assunto misure che riattribuiscono competenze, soprattutto al procuratore di Napoli. Vogliamo evitare che ci siano pressioni sui magistrati territoriali".
Ma i sostituti non condividono questa impostazione. E scrivono: "Viene dilatato il potere di gestione del procuratore capo e il rischio che si prospetta è quello di vedere cancellata l'indipendenza interna e l'autonomia professionale dei sostituti". I magistrati parlano poi di "enormi perplessità destate dall'attribuzione alla Procura di Napoli in via retroattiva" delle indagini pendenti presso gli altri uffici della regione. E non manca un passaggio sulla parte nella quale il decreto "assicura una deroga a principi generali in materia di gestione dei rifiuti", vale a dire la materia al centro dell'inchiesta di queste ore. "Solo in Campania - rilevano i pm - posto che nelle altre regioni vige il divieto assoluto, sarà possibile smaltire in discarica un rifiuto normativamente considerato pericoloso in qualsiasi paese europeo".
(29 maggio 2008)
COMMENTO

I primi passi del Governo Berlusconi ter non sembrano molto accorti. Appare evidente la necessità di trasformare in atti concreti le mirabolanti promesse elettorali, ma già sono stati compiuti degli 'errori', quali:
  1. la detassazione degli straordinari solo per il lavoro dipendente privato, che allo stato riguarda solo 2 milioni di operai del nord (tradotti in voti: da 4 ai 5 milioni di elettori);
  2. l'inserimento nella conversione in legge di un decreto del governo Prodi, relativo alla ottemperanza alle sentenze della Corte di Giustizia Europea in Lussemburgo, che lasciava fuori la pendenza relativa al caso Rete 4 - Europa 7, di un comma, chiamato "salva Rete4" oggi ritirato;
  3. l'assenza di iniziative di redistribuzione della ricchezza in una situazione di grave sofferenza delle famiglie italiane, metà delle quali (soprav)vive con un reddito di soli 1.900 euro al mes.

Aggiungiamoci il flop della maggioranza sulla tutela della fauna selvatica (48 onorevoli di Pdl-Lega-Mpa in missione e 51 assenti al momento del voto) ed il quadro d'insieme è completo e assai poco confortante, anzi decisamente scoraggiante. Nè vale a confortare la considerazione che è un Governo di destra a sbagliare, perchè gli interessi degli itliani, coe si ama dire oggi, non sono nè di destra nè di sinistra.