sabato 28 febbraio 2009

Vengo da lontano ma so dove andare: Caro Marco, ti scrivo#links

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La sconfitta delle donne


28/2/2009
CHIARA SARACENO

Negli Anni 70 il movimento delle donne lanciò l’iniziativa «riprendiamoci la notte». Contro l’idea che qualsiasi donna si trovasse fuori casa di notte, specie se non accompagnata da un uomo, era potenzialmente una puttana o comunque una preda disponibile, si rivendicava orgogliosamente la legittimità della presenza delle donne nello spazio pubblico, anche di notte. Era un’affermazione del diritto alla libertà di movimento e di azione, il rifiuto della necessità di dover sempre ricorrere alla protezione, quindi alla dipendenza, di un uomo. Era accompagnata da un altro slogan ironico - «tremate, tremate, le streghe son tornate» - che giocava sull’ambivalenze con cui venivano, e vengono, guardate le donne libere e padrone di sé. Non è infatti un caso che l’espressione «donna libera» evochi immagini di trasgressioni e bassa moralità, non di autonomia.

Trent’anni dopo, la richiesta di «riprendere la notte» è sostituita nel discorso pubblico dalla richiesta delle ronde, dei «protettori». Le donne sono tornate nel ruolo di vittime da proteggere, ma anche potenzialmente chiudere in spazi, appunto, protetti. Ma quali? E chi può garantire protezione? Oltre alla notte dovremmo riprenderci anche il giorno, e oltre alle strade e ai parchi anche le case, ove continua ad avvenire il maggior numero di violenze, anche sessuali, contro le donne di ogni età e contro i bambini di entrambi i sessi.

E nessuno garantisce che chi si candida a proteggere in pubblico non sia un aggressore in privato. Al contrario, l’affidamento di un ruolo pubblico di protettore può rafforzare in alcuni l’idea che le donne siano una proprietà privata da difendere dagli altri uomini, anche contro loro stesse. Non sono rare violenze tra uomini motivate da uno sguardo o una parola sbagliata rivolta alla «donna di un altro». E troppo spesso la reazione contro gli autori di violenze in luoghi pubblici è stata l’invocazione di poter fare giustizia da sé, della consegna dello stupratore agli uomini di famiglia della vittima. Attribuire alle donne lo status di vittime potenziali non giova né alla loro sicurezza né alla loro libertà. Il fatto che si autocandidino anche ronde femminili sposta di poco la questione, anche se toglie il monopolio maschile ai «protettori».

Ciò non significa che non si debba fare nulla di fronte alla mattanza che miete vittime di ogni età con ritmo pressoché quotidiano, da parte di italiani come di stranieri, rimandando al, pur necessario, lavoro culturale ed educativo per modificare comportamenti. Non si tratta solo d’inasprire, e rendere certe, le pene. Occorre anche rendere ragionevolmente sicuri, per tutti, almeno gli spazi pubblici tramite un controllo diffuso e costante del territorio con mezzi normali: illuminazione; esercizi pubblici diffusi e aperti; il vigile o il poliziotto di quartiere di cui periodicamente si parla, ma che raramente decolla (e che ora sembrerebbe sostituito dalle ronde di quartiere), con una particolare attenzione per le aree e le ore più a rischio; mezzi pubblici che non abbiano fermate perse nel nulla e che di notte siano non solo più frequenti, ma autorizzati anche a fermate supplementari e che possano collegarsi, come avviene già in alcune città, ad un servizio taxi.

Ma fa parte della sicurezza degli spazi pubblici anche una diffusa coscienza e comportamento civico, per cui ciascuno si sente responsabile di ciò che succede nel proprio spazio, non facendo il poliziotto, ma il cittadino vigile e solidale. Fa impressione che dilaghi la domanda e l’offerta di ronde in un contesto comportamentale in cui si può essere aggrediti a scuola o per strada senza che nessuno muova un dito, perché è meglio farsi i fatti propri; in cui chi assiste a un borseggio in autobus tace, fin che il fatto è avvenuto e il borseggiatore se n’è andato. È l’omertà unita a indifferenza e paura diffuse che rende pericoloso lo spazio pubblico, per le donne, ma anche per tutti coloro che per età o altro appaiono vulnerabili.

Un'Europa dei titoli pubblici

28/2/2009
DOMENICO SINISCALCO

L’economia degli Stati Uniti ha registrato una forte contrazione nel quarto trimestre del 2008, con il prodotto interno lordo che è caduto del 6,2 per cento su base annua. I consumi, in particolare, hanno segnato la frenata più brusca degli ultimi trent’anni. Di fronte all’aggravarsi della situazione, l’amministrazione Obama, nell’arco di un mese, ha varato tre iniziative complementari:
una serie di misure per evitare il pignoramento degli immobili ai mutuatari morosi;
un piano di salvataggi bancari di notevoli dimensioni;
una manovra di sostegno all’economia, che già quest’anno porterà il disavanzo federale intorno al 10 per cento del Pil, nonostante gli aumenti delle tasse.
La dimensione di questi interventi è imponente e la crescita del deficit spaventa molti politici e operatori, nonostante la promessa di dimezzare nuovamente il deficit entro la metà del mandato presidenziale.

Senza voler discutere, per il momento, la crescita del debito pubblico, i primi interventi dell’amministrazione Obama rappresentano la risposta forte e coordinata di un governo federale a una crisi che potrebbe concretamente trasformarsi in una vera depressione.

Al confronto di questa risposta, le misure europee contro la crisi lasciano un po’ a desiderare. Come ha osservato ieri il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Joaquín Almunia, il coordinamento tra le politiche dei vari Paesi europei è stato a dir poco carente. Alcuni Paesi, come il Regno Unito, hanno tagliato l’Iva; altri hanno aumentato i sussidi pubblici; altri stanno investendo in infrastrutture; altri ancora hanno tagliato i contributi. Mentre sul piano bancario, alcuni Paesi hanno nazionalizzato; altri hanno offerto prestiti; altri stanno pensando alla bad bank; altri Paesi ancora non hanno fatto nulla.

In questa situazione, come era facile immaginare, i mercati hanno iniziato a prendere di mira i diversi debiti pubblici, allargando gli spread (ovvero i differenziali tra i tassi di interesse) a svantaggio dei Paesi più piccoli e più fragili. È possibile che questa reazione sia eccessiva, ma nell’attuale fase di nervosismo dei mercati non è da escludere che la situazione si aggravi, visto l’ammontare crescente delle emissioni di debito pubblico, destinato ad avvicinare 1000 miliardi di euro nel 2009 nella sola eurozona. Una situazione come questa merita attenzione. E merita attenzione, in particolare, la proposta formulata da Romano Prodi giovedì scorso, in un articolo pubblicato sul Messaggero e sul Financial Times. Secondo questa proposta, i Paesi Europei, devono muoversi come una Unione sul mercato dei titoli del debito pubblico. A tal fine si propone di creare un cuscinetto di emergenza nel bilancio dell’Unione, elevandone l’ammontare dall’1 per cento all’1,25 per cento del Pil europeo; emettendo titoli del debito pubblico europeo; coordinando, si può aggiungere, le emissioni dei vari Paesi per evitare l’accavallarsi di aste in qualche settimana.

L’architettura europea, dopo la creazione del mercato unico e della moneta unica, prevede che i debiti pubblici restino nazionali. Ciò non esclude, tuttavia, che possa essere creato un vero mercato dei bond europei, ove le emissioni di titoli pubblici dei governi vengano coordinate ex ante. Non si tratta qui di fondere i debiti nazionali, né di diluire le responsabilità. Si tratta piuttosto di agire in modo coordinato per ridurre i rischi di ogni singolo Paese.

La costruzione europea ha attraversato alti e bassi. L’evidenza mostra che essa ha incontrato il massimo favore quando ha dimostrato di essere utile, come nel caso del mercato unico e della moneta unica, ed il minimo quando è diventata elemento astratto o fine a se stessa. Il mercato del debito, in questa fase, può diventare troppo grande e rischioso per essere gestito indipendentemente da ogni singolo Paese. Un approccio europeo al mercato dei titoli pubblici è dunque utile e risponde a una logica di sussidiarietà e solidità del sistema. Torna ad incarnare un’Europa che serve.

La strategia del Dalemone


28/2/2009
RICCARDO BARENGHI

Il progetto ce l’hanno ben chiaro in testa. I protagonisti sono gli ex diessini del Partito democratico, in particolare D’Alema e quelli a lui più vicini. E il Piano che hanno studiato a tavolino, una volta si sarebbe chiamato un «dalemone», si svilupperà nei prossimi sette-otto mesi. Che poi vada in porto, è tutt’altro discorso: i dalemoni, come si è visto nel passato, erano tanto perfetti in teoria quanto fallimentari in pratica.

In ogni caso il Piano prevede che al momento si stia tutti intorno a Franceschini, lasciandogli anche una certa autonomia di iniziativa, non mettendogli i bastoni tra le ruote, non comportandosi come si è fatto con Veltroni che qualsiasi cosa dicesse o facesse non andava bene. Non a caso ieri D’Alema ha dichiarato che il Pd «sta facendo ottimamente il suo lavoro», una frase che con Veltroni non si era neanche sognato di dire. Ma ora il discorso è diverso, e anche quando Franceschini dice cose non condivisibili o si lascia trascinare dal «ma anche» come ha fatto recentemente sul testamento biologico e sulla legge antisciopero, nessun problema. Si fa finta di essere d’accordo ché adesso non è il momento di riaprire battaglie interne. Il segretario deve arrivare con una certa tranquillità alle prossime sfide elettorali, e tutti cercheranno di collaborare, di fare il possibile perché il risultato non sia troppo negativo, insomma siamo sulla stessa barca e cerchiamo di non farla affondare.

Ma tutti sanno che le elezioni andranno male, lo stesso Piero Fassino, durante l’Assemblea costituente di sabato scorso, ci spiegava che «a me le europee preoccupano meno delle amministrative, dove noi partiamo altissimi, su 5000 comuni ne governiamo 3800... è evidente che ne perderemo moltissimi e dunque la sconfitta sarà sotto gli occhi di tutti. Basterà confrontare le tabelle». È una delle ragioni per cui non era questo il momento adatto per prendersi la guida del Pd. L’altra, spiega sempre Fassino, «perché era giusto che adesso toccasse a un leader con un’altra cultura e un’altra storia politica. Poi in autunno, al congresso, il discorso può cambiare...».

Tradotto in poche e ciniche parole, significa che Franceschini ballerà una sola estate, caricandosi sulle spalle il probabile tracollo elettorale, per poi passare la mano. Ovviamente lui non è un ingenuo, conosce la politica e pure i suoi polli, dunque è perfettamente consapevole del gioco che si sta facendo. E ne è anche partecipe, preparando un suo futuro da ex segretario ma con un ruolo importante nel Partito.

Succederà allora, o almeno dovrebbe succedere secondo il dalemone, che dopo il risultato elettorale il Pd entrerà in una fortissima fibrillazione, magari qualcuno (Rutelli, la Binetti, altri) se ne andrà fondando con Casini una nuova forza di centro che guarda a sinistra (per ora), liberando così il campo del Pd da zavorre troppo moderate. Ci sarà la festa del partito, le interviste sui giornali, il lavorio nelle periferie - peraltro già cominciato - per preparare la riscossa degli ex comunisti. I quali, com’è noto, rappresentano almeno i due terzi del Partito democratico, dunque hanno tutti i numeri in regola per poterne rivendicare la leadership, la linea politica, la gestione. E così faranno, o almeno vorrebbero fare, vincendo il congresso, candidando uno di loro alle primarie, forse Bersani, forse Anna Finocchiaro, forse Cuperlo, e risolvendo in questo modo quell’«amalgama mal riuscito» che è stato finora il Pd secondo la definizione dello stesso D’Alema. Ne uscirebbe fuori un partito più spostato a sinistra, che rimette al centro i suoi 150 anni di storia (come ripete Bersani), che insomma diventerebbe nei fatti una forza socialdemocratica europea. Ma senza chiamarsi così, e senza neanche esserlo fino in fondo, ché altrimenti quegli ex dc che non andrebbero mai con Casini (Rosi Bindi, Marini, lo stesso Franceschini) non potrebbero neanche rimanere nel Pd.

Dunque un nuovo-vecchio partito che metterebbe nel conto la perdita di una sua parte, anche elettorale, quella appunto più moderata, scommettendo però sul recupero di quel popolo di sinistra che si aggira sbandato per il paese e cerca una casa abitabile. È insomma il classico passo indietro oggi per farne due avanti domani, come scrisse Lenin che infatti poi fece la rivoluzione. Resta da vedere se sia D’Alema il nostro Lenin.

Gioacchino Genchi accusa

27 febbrio 2009

Intervista a Gioacchino Genchi:

"Io svolgo l'attività di consulente tecnico per conto dell'autorità giudiziaria da oltre vent'anni, lavoro nato quasi per caso quando con l'avvento del nuovo codice di procedura penale è stata inserita questa figura, come da articoli 359 e 360 che danno al Pubblico Ministero la possibilità di avvalersi di tecnici con qualunque professionalità allorquando devono compiere delle attività importanti. Mi spiace che Martelli se lo sia dimenticato, Cossiga me lo abbia ricordato, proprio il nuovo codice di procedura penale che ha promulgato il presidente Cossiga inserisce questa figura che è una figura moderna. Che è nelle giurisdizioni più civili ed avanzate, mentre prima il Pubblico Ministero era limitato, e doveva per accertamenti particolari avvalersi solo della Polizia giudiziaria, il nuovo codice ha previsto queste figure. Per cui per l'accertamento della verità, nel processo penale, accertamento della verità significa anche a favore dell'indagato o dell'imputato, il Pubblico Ministero non ha limiti nella scelta delle professionalità di cui si deve avvalere. Io ho fatto questa attività all'interno del Dipartimento della Pubblica sicurezza.

Abbiamo svolto importanti attività con Arnaldo La Barbera, con Giovanni Falcone poi sulle stragi. Quando si è reso necessario realizzare un contributo esterno per il Pubblico Ministero, contenuto forse scevro da influenze del potere esecutivo, mi riferisco a indagini su colletti bianchi, magistrati, su eccellenti personalità della politica, il Pubblico Ministero ha preferito evitare che organi della politica e del potere esecutivo potessero incidere in quelle che erano le scelte della pubblica amministrazione presso la quale i vari soggetti operavano.

Nel fare questo ho fatto una scelta deontologica, cioè di rinunciare alla carriera, allo stipendio, per dedicare tutto il mio lavoro al servizio della magistratura. Questa scelta, anziché essere apprezzata è stata utilizzata dai miei detrattori che fino a ieri mi hanno attaccato in parlamento, al contrario.

Il ministro Brunetta non poteva non riferire che la concessione dell'aspettativa non retribuita che io avevo chiesto era perfettamente regolare, è stata vagliata da vari organi dello Stato, dal Ministero dell'Interno, dal Ministero della Funzione pubblica e dalla presidenza del Consiglio dei Ministri di Berlusconi, la stessa che mi ha attaccato in maniera così violenta e così assurda dicendo le fandonie che hanno fatto ridere gli italiani perché tutto questo can can che si muove nei miei confronti, questo pericolo nazionale, cioè una persona che da vent'anni lavora con i giudici e i Pubblici Ministeri nei processi di mafia, di stragi, di omicidi, di mafia e politica più importanti che si sono celebrati in Italia, rappresenta un pericolo.

Forse per loro! Per tutti quelli che mi hanno attaccato perché poi la cosa simpatica (è chiaro che ora sto zitto, non posso parlare sono legato al segreto) ma mi scompiscio dalle risate perché tutti i signori giornalisti che mi hanno attaccato, da Farina a Luca Fazzo a Lionello Mancini del Sole 24 ore, al giornalista della Stampa Ruotolo, sono i soggetti protagonisti delle vicende di cui mi stavo occupando. Questo è l'assurdo!

Gli stessi politici che mi stanno attaccando, sono gli stessi protagonisti di cui mi stavo occupando. Da Rutelli a Martelli, Martelli conosciuto ai tempi di Falcone. Parliamo di persone che comunque sono entrate nell'ottica della mia attività. Martelli nei computer di Falcone quando furono manomessi, Rutelli perché è amico di Saladino usciva dalle intercettazioni di Saladino, Mastella per le evidenze che tutti sappiamo e così via, poi dirò quelli che hanno parlato alla Camera al question time, quel giornalista che gli ha fatto il comunicato, cose da ridere! Tra l'altro questi non hanno nemmeno la decenza di far apparire un'altra persona.

No, compaiono loro in prima persona! Sapendo che loro entravano a pieno titolo nell'indagine. Questo è assurdo. Io continuo a ridere perché il popolo italiano che vede questo grande intercettatore, che avrebbe intercettato tutti gli italiani, ma che cosa andavo ad intercettare agli italiani? Per farmi sentire dire che non riescono ad arrivare alla fine del mese? Per sentir dire che i figli hanno perso il posto di lavoro o che sono disoccupati? Che c'è una crisi economica? Ma perché mai dovrei andare ad intercettare gli italiani? Ma quali sono questi italiani che hanno paura di Gioacchino Genchi?

Quelli che hanno paura di Gioacchino Genchi sono quelli che hanno la coscienza sporca, e quelli che hanno la coscienza sporca sono quelli che mi hanno attaccato. E con questo attacco hanno dimostrato di valere i sospetti che io avevo su di loro. Anzi, più di quelli di cui io stesso mi ero accorto, perché devo essere sincero, probabilmente io avevo sottovalutato il ruolo di Rutelli nell'inchiesta Why not.

Rutelli ha dimostrato probabilmente di avere il carbone bagnato e per questo si è comportato come si è comportato. Quando ci sarà la resa della verità chiariremo quali erano i rapporti di Rutelli con Saladino, quali erano i rapporti del senatore Mastella, il ruolo di suo figlio, chi utilizzava i telefoni della Camera dei Deputati... chiariremo tutto! Dalla prima all'ultima cosa. Questa è un'ulteriore scusa perché loro dovevano abolire le intercettazioni, dovevano togliere ai magistrati la possibilità di svolgere delle intercettazioni considerati i risultati che c'erano stati, Vallettopoli, Saccà, la Rai eccetera, la procura di Roma immediatamente senza problemi però apre il procedimento nei confronti del dottor Genchi su cui non ha nessuna competenza a indagare, perché la procura di Roma c'entra come i cavoli a merenda. C'entra perché l'ex procuratore generale di Catanzaro ormai fortunatamente ex, ha utilizzato questi tabulati come la foglia di fico per coprire tutte le sue malefatte e poi le ha utilizzate come paracadute per non utilizzarle a Catanzaro, dove probabilmente il nuovo procuratore generale avrebbe immediatamente mandato a Salerno.

Perché in quei tabulati c'è la prova della loro responsabilità penale. Non della mia. Quindi, non li manda a Salerno che era competente, non li manda al procuratore della Repubblica di Catanzaro che avrebbe potuto conoscere quei tabulati e quello che c'era, non li manda al procuratore della Repubblica di Palermo dove io ho svolto tutta la mia attività ma li manda a Roma che non c'entra niente.

Quindi si va a paracadutare questi tabulati sbagliando l'atterraggio perché in una procura che non ci azzecca nulla. Perché tra l'altro in quei tabulati c'erano delle inquisizioni che riguardavano magistrati della procura della Repubblica di Roma! Su cui stavamo indagando. Ora la procura di Roma indaga su di me e sui magistrati della procura della Repubblica di Roma. Si è ripetuto lo scenario che accadde tra Salerno e Catanzaro e si è ripetuto lo scenario che era già accaduto tra Milano e Brescia all'epoca delle indagini su Di Pietro. Con la sola differenza che all'epoca si chiamava Gico l'organo che fece quelle attività, adesso si chiamano Ros, ma sostanzialmente non è cambiato nulla. In ultima analisi dico che io sono comunque fiducioso nella giustizia. Hanno cercato di mettermi tutti contro, hanno cercato di dire ad esempio, nel momento in cui c'era un rapporto di collaborazione con la procura di Milano anche fra De Magistris e la procura di Milano, un'amicizia personale fra De Magistris e Spataro, che siano stati acquisiti i tabulati di Spataro. Assurdo! Non è mai esistita un'ipotesi del genere. Nemmeno per idea! Come si fa a togliere a De Magistris l'appoggio della magistratura associata? Diciamo che ha preso i tabulati di Spataro. Come si fa a mettere il Csm contro De Magistris? Diciamo che ha preso i tabulati di Mancino.

Adesso i Ros dicono che nei tabulati che io ho preso ci sono, non so quante utenze del Consiglio superiore della magistratura. Non abbiamo acquisito tabulati del Csm, sono i signori magistrati di cui abbiamo acquisito alcuni tabulati, quelli sì, tra cui alcuni della procura nazionale antimafia ben precisi, due, solo due, che hanno contatti col Csm.

Ha inquisito il Quirinale! Ma quando mai? Se però qualcuno del Quirinale ha chiamato o è stato chiamato dai soggetti di cui ci siamo occupati validamente, bisogna vedere chi dal Quirinale chi ha avuto contatti con queste persone, ma io non ho acquisito i tabulati del Quirinale. A parte che se fosse stato fatto sarebbe stata attività assolutamente legittima perché, sia chiaro, le indagini in Italia non si possono fare soltanto nei confronti dei tossici e magari che siano pure extracomunitari, oppure quelli che sbarcano a Lampedusa nei confronti dei quali è possibile fare di tutto, compresa la creazione dei lager.

La legge è uguale per tutti. Tutti siamo sottoposti alla legge! Perché sia chiaro. Questo lo devono capire. Nel momento in cui a questi signori li si osa sfiorare solo da lontano, con la punta di una piuma, questi signori si ribellano e distruggono le persone che hanno solo il coraggio di fare il proprio lavoro. Gli italiani questo l'hanno capito. E hanno capito che questo dottor Genchi di cui hanno detto tutte le cose peggiori di questo mondo... e io adesso pubblicherò tutti i miei lavori, dal primo sino all'ultimo pubblicherò tutte le sentenze della Corte di Cassazione, delle Corti d'Appello, delle Corti di Assise, dei tribunali che hanno inflitto centinaia e centinaia di anni di carcere col mio lavoro.

Ma le sentenze di cui io sono più orgoglioso non sono le sentenze di condanna, ma sono le sentenze di assoluzione! Sono quelle persone ingiustamente accusate anche per lavori fatti dal Ros che sono state assolte grazie al mio lavoro e che rischiavano l'ergastolo! E che erano in carcere. Persone che erano in carcere perché avevano pure sbagliato l'intestatario di una scheda telefonica. E adesso questi signori vengono ad accusare me di avere fatto lo stesso lavoro che loro... ma non esiste completamente! Tutte queste fandonie e la serie di stupidaggini che sono state perpetrate addirittura in un organismo che è il Copasir! Che si deve occupare dei servizi di vigilanza sulla sicurezza, non sui consulenti e sui magistrati che svolgono la loro attività sui servizi di sicurezza! Noi abbiamo trovato delle collusioni di appartenenti ai servizi di sicurezza, con delle imprese che lavorano per i servizi di sicurezza, che lavorano nel campo delle intercettazioni, che costruiscono caserme con appalti dati a trattativa privata per milioni di euro, noi stavamo lavorando su quello! Stavamo lavorando su quello e ci hanno bloccato perché avevano le mani in pasta tutti loro! Questa è la verità.

Questa è la verità e adesso mi hanno pure dato l'opportunità di dirla perché essendo indagato io non sono più legato al segreto perché mi devo difendere! Mi devo difendere con una procura che non ci azzecca nulla con la competenza, la procura di Roma, mi difenderò alla procura di Roma.

Però sicuramente la verità verrà a galla! E non ci vogliono né archivi né dati perché sono tre o quattro cose molto semplici. Le intercettazioni di Saladino utili saranno una decina, quando fu intercettato prima che De Magistris iniziasse le indagini, ma sono chiarissime! E l'attacco che viene fatto nei miei confronti parte esattamente dagli stessi soggetti che io avevo identificato la sera del diciannove luglio del 1992 dopo la strage di via D'Amelio, mentre vedevo ancora il cadavere di Paolo Borsellino che bruciava e la povera Emanuela Loi che cadeva a pezzi dalle mura di via D'Amelio numero diciannove dov'è scoppiata la bomba, le stesse persone, gli stessi soggetti, la stessa vicenda che io trovai allora la trovo adesso!

Ancora nessuno ha detto che io sono folle. Anzi, sarò pericoloso, terribile ma che sono folle non l'ha detto nessuno. Bene allora quello che io dico non è la parola di un folle perché io dimostrerò tutte queste cose. E questa è l'occasione perché ci sia una resa dei conti in Italia. A cominciare dalle stragi di via D'Amelio alla strage di Capaci. Perché queste collusioni fra apparati dello Stato servizi segreti, gente del malaffare e gente della politica, è bene che gli italiani comincino a sapere cosa è stata."

Ne' destra ne' sinistra

27 febbraio 2009

Pubblico uno stralcio dell'intervista rilasciata durante la trasmissione "Otto e mezzo", in onda il 25 febbraio 2009 su La7.

Mi è stato chiesto di che colore politico sono. A mio avviso la politica delle ideologie è morta e sepolta insieme a vessilli e stereotipi. E con esse la maggior parte dei politici che oggi rispondono semplicemente a logiche di opportunismo del consenso, sono come bandiere al vento.

Mi sto impegnando a fare politica rispondendo a dei principi di etica, moralità e giustizia.

Non sono giustizialista, e questo termine non esiste, le regole si possono anche cambiare, ma una volta definite si rispettano sempre e non a seconda del proprio torna conto. Non sono quindi di destra, di sinistra, di centro, di alto o di basso, sono dalla parte dei cittadini.


Testo dell'intervento

Chiara Geloni: E' di destra o di sinistra?
Antonio Di Pietro: Ne l'uno ne l'altro. Sono una persona che crede nella solidarietà cristiana, e quando un buon comunista è solidale, come sanno essere solidali nelle case del popolo, non gli chiedo se va a messa la domenica perché vuol dire che va a messa tutti i giorni. Non sono affatto fascista perché non lo sono di famiglia e non me lo immagino di essere, ma quando parlo di ordine e legalità non lo parlo perché sono un uomo di destra, perché ritengo che la legge deve essere uguale per tutti e tutti la devono rispettare. Quando parlo di far rispettare la legge e di mettere in galera i delinquenti lo faccio non perché sono fascista, ma perché conviene ai cittadini.

Federico Guiglia: Non è che è diventato un po radicale nel frattempo? Perché ha già annunciato due referendum e ne ha appena consegnato uno sul lodo Alfano.
Antonio Di Pietro: Veramente lo avevo fatto anche sul lodo Previti, e avevano detto che andava bene. Veramente, anche a giugno si vota un referendum sulla legge elettorale, e noi siamo tra i sottoscrittori e tra quelli che avevano raccolto le firme. Credo nella democrazia diretta, soprattutto quando c'è un Parlamento come questo attuale dove i parlamentari vengono nominati dal principe che votano senza nemmeno sapere nemmeno cosa votano altrimenti vanno a casa la prossima volta, e in cui c'è un grave conflitto d'interessi.

Chiara Geloni: Questo è un concetto di destra.

Lilli Gruber: Che cosa è di destra?

Chiara Geloni: Questa idea della democrazia diretta e questa concezione dell'inutilità del Parlamento e della rappresentanza...

Federico Guiglia: Populismo.

Antonio Di Pietro: Scusate. Lo dico a voi cittadini. Ho detto che è inutile il Parlamento oppure ho detto che Berlusconi sta rendendo inutile il Parlemento? Lo dico a voi perché cosi ci si rende conto meglio dell'informazione.
Abbiamo un Parlamento in cui ci sono condannati e avvocati di condannati che prendono decisioni in materia di giustizia. Accusate me che parlo sempre di giustizia, ma sa perché parlo sempre di giustizia? Perché solo di quello si parla in Parlamento. Invece di portare i provvedimenti in materia di economia, di tasse, di imposte, ieri nel Milleproroghe sa cosa hanno messo come prima norma? Non era una proroga a termine, ma una sanatoria: il non pagamento delle multe che i partiti devono pagare per aver affisso i manifesti abusivi durante la campagna elettorale precedente, per aver violato la par condicio. Io non posso violarla, perché ne va della mia credibilità, gli altri la violano e si fanno una legge in Parlamento in cui non è più reato.
Sa cosa è successo oggi in Parlemento? Per un sacco di volte siamo andati di due-tre voti sotto come opposizione perché la maggioranza non solo ha cento parlamentari in più, ma sono fannulloni, alla Brunetta maniera, e non vanno a votare. C'è un signore che con due mani fa tre voti, voglio vedere se ci riuscite: sin sala bin.

Chiara Geloni: Ma ora mettono le impronte digitali, non si può più fare. No?
Antonio Di Pietro: Non ci siamo capiti. Dalla settimana prossima metteranno le impronte digitali, ma sa perché le hanno messe? Perché ci sono dei truffatori in Parlamento.

Lilli Gruber: Oggi il provvedimento di Brunetta che intende premiare il merito di chi lavora seriamente nella pubblica amministrazione è diventato legge. Su questo è d'accordo?
Antonio Di Pietro: Per la premiazione del merito assolutamente si, a cominciare, ripeto, dai parlamentari. Molti sono fannulloni e fanno votare gli altri truffando lo Stato e fregandosi la diaria.

Lilli Gruber: Con questo è d'accordo col governo.
Antonio Di Pietro: D'accordo col governo? Sono d'accordo con il buon senso.

Lilli Gruber: Anche sulla questione della costruzione delle centrali nucleari? E' stata annunciata la costruzione di ben quattro centrali nucleari in Italia.
Antonio Di Pietro: Noi dell'Italia dei Valori riteniamo che sia inopportuna, inutile per quanto riguarda il tempo, dannose e pericolose. Per questa ragione noi ci opporremo dentro e fuori il Parlamento affinché non vengano realizzate. Faccio presente che queste centrali nucleari di terza generazione sono quelle che sono state installate in altri paesi ben trent'anni fa, che producevano tante scorie e che tant'è vero che oggi si è detto che sono obsolete. Fra trent'anni metteremo delle centrali nucleari che già sono obsolete, senza sapere dove andremo a buttare le scorie.
In realtà queste centrali nucleari non si faranno mai, perché nel frattempo ci sarà altra energia, da quella eolica a quella solare. E' soltanto un altro spot di Berlusconi che vende fumo per annunciare cosa farà domani ed evitare di rispondere a quello che fa oggi.
Sa cos'è successo oggi in Parlamento? E' arrivato il direttore generale del Ministero dell'Economia, direzione entrate, il quale ci ha informato che ci sono 200 miliardi di evasione fiscale all'anno di tasse evase in Italia. Se al governo ci fossi io mi impegnerei per far entrare nelle casse dello Stato quei soldi, perché cosi tutti paghiamo meno tasse e tutti abbiamo più servizi. Questo deve fare il governo, e non annunciare ogni giorno “la luna nel pozzo”.

venerdì 27 febbraio 2009

Striscia la giustizia

MARCO TRAVAGLIO
27 febbraio 2009

La richiesta di archiviazione per le telefonate Berlusconi-Saccà inaugura un nuovo genere giurisprudenziale: la giustizia creativa. Secondo i pm napoletani che avviarono l’indagine, se il politico più ricco e potente d’Italia chiede al direttore di Raifiction di sistemare 5 ragazze «per sollevare il morale al Capo» a spese degli abbonati e aggiunge «poi ti ricambierò dall’altra parte quando sarai un libero imprenditore. M’impegno a darti grande sostegno», è corruzione. Basta ascoltare la telefonata per trovare l’atto illecito (far lavorare gente che non lavorerebbe senza raccomandazione) e la «promessa di denaro o altra utilità» in cambio, cioè i due ingredienti tipici della corruzione. Quanto basterebbe, in un paese normale con due imputati normali e una giustizia normale, per affidare la faccenda al giudizio di un tribunale. Ma, per i pm romani che hanno ereditato l’inchiesta per competenza, «non vi è certezza del do ut des», al massimo di un po’ di «malcostume». E poi Saccà non è un incaricato di pubblico servizio (al servizio pubblico radiotelevisivo non crede più nessuno). E soprattutto i due piccioncini hanno un rapporto talmente «stretto e asimmetrico» che «Berlusconi non ha alcuna necessità di garantire indebite utilità per avere favori da Saccà». Cioè: Berlusconi è il padrone dell’Italia, dunque della Rai, dunque di Saccà, dunque non può pagare tangenti: è lui stesso una tangente (resta da capire perché allora garantisse «utilità» nella telefonata a Saccà: forse scherzava). E così il conflitto d’interessi, anziché un’aggravante, diventa un alibi. Giustizia è fatta.

IL COLORE DELLA PELLE


Aldo Maturo

Questa è una storia senza tempo nata in un borgo marinaro senza confini. Viste dal traghetto quel grappolo di casette imbiancate dal sole sembrano calamitate miracolosamente, come per una forza misteriosa, sulle pendici del monte a picco sul mare. Casette senza tetti sovrastate da piccoli terrazzi su cui pare poggino le fondamenta di altre casette e così man mano fin sù, dalla spiaggia alla parte più alta del borgo ove campeggia la vecchia torre municipale con l’orologio fermo da tempo immemorabile.

Un borgo come tanti che al tramonto si specchia in un mare dorato, addormentatosi sotto il sole come l’orologio della torre, fermo alle due di pomeriggio di un lontano giorno di un vecchio anno che nessuno ricorda.

La civiltà del benessere ha solo sfiorato quelle case. Le stradine strette e tortuose accarezzano i muri colorati con i loro scalini di pietra smussata,ultimo baluardo alle auto dei turisti.

Nel borgo trionfa il silenzio e spesso durante il giorno, quando i pochi bambini sono a scuola e l’aria non risuona delle loro grida festose, è possibile ascoltare il dolce sciabordio delle onde sulla sabbia dorata, laggiù in fondo, ai piedi di quelle case dai mille colori.

Fino a giugno il borgo è animato dalle famiglie di un centinaio di pescatori bruciati dal sole, ore e ore in mare o sulla spiaggia a rammagliare reti, carenare barche o aggiustar lampare.

Una vita semplice, con quel mare che è parte di se stessi e che a volte trasforma la sua amicizia nella più brutale inimicizia. Ed è allora che in qualche casa il dolore spegne il sorriso trasformando per un po’ ogni cosa nel tetro colore della notte.

Quel giorno di primavera uno sciame di turisti invade il borgo fin dal mattino. Le due botteghe di alimentari e di souvenir festeggiano sorpresi l’anticipato evento. A ora di pranzo l’unica piccola osteria - dieci tavoli tutti uguali, in listelli di legno unti e consunti dal tempo - è piena di gente, seduta o in piedi in attesa del proprio turno.

Entra un ragazzo col suo zaino, attende, ordina, poi prende il suo piatto fumante di minestra col farro, trova un posto vuoto, si siede e appende a un chiodo sotto il tavolo il suo zainetto. Solo allora si accorge di aver dimenticato il cucchiaio. Lascia la minestra e va a prendere il cucchiaio.

Al ritorno trova un vecchio pescatore di colore, capelli bianchi arruffati sulle orecchie, la pelle rugosa arsa dalla salsedine. E’ seduto al tavolo e sta mangiando la minestra. Il ragazzo resta di stucco, guarda l’uomo che ricambia lo sguardo con aria tranquilla continuando a mangiare.

Il ragazzo decide si accettare la sfida. Si siede, cucchiaio in pugno di fronte al vecchio pescatore e prende una cucchiaiata di minestra. L’uomo non dice niente, lo guarda un attimo e poi sposta il piatto al centro del tavolo, con gesto di invito e condivisione. Il duello continua. Una cucchiaiata il giovane, nervosissimo, una cucchiaiata l’altro, tranquillissimo. In silenzio, fino a quando nel piatto non resta più nulla.

Solo allora il vecchio negro si alza e se ne va, senza parlare. Il nostro giovane scuote la testa, si alza pure lui per andar via, cerca sotto il tavolo il suo zainetto ma non lo trova.

“E’ troppo – pensa - non solo mi ha preso la minestra, ma anche lo zaino..”

Si fa largo fra i tavolini schivando quelli che in piedi ancora attendono di pranzare, va verso l’uscita per bloccare il vecchio pescatore.

Solo a quel punto, prima di uscire, vede pendere da sotto un tavolo il suo zainetto. E, sopra al tavolo, il suo piatto ormai freddo di minestra col farro.

Processo ai magistrati

L'ESPRESSO
di Gianluca Di Feo

Scarsa produttività. Merito non premiato. Così nei tribunali si sono accumulate 9 milioni di cause non smaltite. Mentre il governo lavora a imbrigliare i giudici



Fannulloni? Pochi. Improduttivi? La stragrande maggioranza. Eppure i magistrati potrebbero da soli dare un duro colpo alla crisi della giustizia. Trasformare l'autogoverno, spesso usato come scudo a difesa della corporazione, in leva per riscattare la credibilità dello Stato. Ci vuole poco: basta che lavorino tutti di più e si organizzino meglio. Questo non farebbe uscire la dea bendata dal baratro in cui l'hanno sepolta nove milioni di cause non smaltite e una valanga di leggi create apposta dai governi per insabbiare i processi. Ma di sicuro con un'autoriforma della magistratura si potrebbe cominciare a far arrivare aria nuova nei tribunali italiani. E privare il premier di uno degli argomenti chiave sfruttati per azzerare l'indipendenza delle toghe.

I modelli virtuosi
Una rivoluzione è possibile. Anche senza nuovi soldi. I primi studi statistici sulla produttività dei giudici mostrano che ci sono ampi margini per cambiare rotta e aumentare la quantità di fascicoli smaltiti. Un ricerca di prossima pubblicazione guidata da Andrea Ichino, Decio Coviello e Nicola Persico indica la possibilità di far decollare la produttività anche del 40 per cento. Dati teorici, certo. Che però trovano conferma in alcuni esempi molto concreti. Persino la Cassazione, un tempo simbolo di magistratura polverosa e arcaica, sta diventando un modello di rivincita. La Suprema Corte si è data una scossa, ridefinendo le procedure, inserendo più informatica, organizzando meglio i ranghi. Tanto è bastato a creare uno scatto: nel civile il bilancio è andato in attivo, sbrogliando molti più processi di quanti ne arrivino. Lo scorso anno ne sono stati licenziati 33 mila mentre le nuove pratiche sono state 30 mila. E tutto senza compromettere il garantismo.

Un miracolo proprio nel palazzaccio di marmo, un edificio troppo pesante che per un secolo ha continuato letteralmente a sprofondare nelle rive paludose del Tevere, incarnando la disfatta della giustizia italiana. Nel suo ufficio all'ultimo piano, affacciato su Castel Sant'Angelo, Giovanni Salvi, storico pm romano e in passato tra i leader del sindacato togato Anm, ha poche carte, uno scanner e lo schermo di un pc. È lui a presentare i dati di questa riscossa, facendo scorrere tra le dita come fosse un rosario la chiavetta Usb che può sostituire migliaia di pagine: "Prendiamo le tabelle del civile. Nel 1950 ogni magistrato chiudeva 62 procedimenti; nel 1998 erano 87. Poi con il nuovo millennio abbiamo cambiato passo. Nel 2006 sono stati 192, lo scorso anno 292". Una progressione impressionante. Che non rappresenta un'eccezione.

A Torino, il Tribunale civile ha stravolto la consuetudine del lavorare con lentezza. Il segreto? Un decalogo con 20 regole semplici, concordate con gli avvocati. Dal 2001 la montagna di arretrati è stata amputata di un terzo: dagli archivi hanno dissepolto liti per eredità vecchie di due generazioni e controversie commerciali per prodotti diventati nel frattempo antiquariato. Adesso in quelle aule si riesce a vedere l'Europa: il 93 per cento delle cause si chiude entro tre anni, il 66 in un anno. Ma anche nel tribunale penale di Roma c'è stata una razionalizzazione.

"È un altro esempio di riforma dal basso", spiega Salvi: "Abbiamo individuato l'imbuto nel calendario delle udienze: ogni giudice deve concentrare 20-30 processi in un giorno, con testimoni ed avvocati. Poi d'intesa con i penalisti abbiamo creato norme per evitare i disagi e rispettare gli orari. I risultati si sono visti subito"

Profondo nero
E allora, perché la situazione nazionale continua a peggiorare? Certo, c'è un quantità mostruosa di cause che si riversano nei tribunali, anche per colpa di governi che rendono tutto reato, persino la contrattazione con le prostitute. E c'è un proliferare di ricorsi che non ha pari nel mondo, fatti apposta per alimentare una schiera di avvocati altrettanto vasta. Ma a dispetto di questa tempesta di nuova cause e a dispetto dei primati delle corti modello, la produttività pro capite dei magistrati italiani continua a precipitare. I giudici dei tribunali sono passati da 654 fascicoli chiusi ogni anno del 2001 a soli 533 del 2006. È come se un delitto su cinque venisse dimenticato. Ma se si cerca di dare un peso alla statistica, allora diventa ancora più grave la frenata delle corti d'appello: i 177 casi annuali si sono ridotti a 145. E ogni ritardo in questa fase apre le porte alla prescrizione che cancella i reati e si trasforma nella negazione di ogni giustizia. La radiografia della catastrofe è stata presentata pochi giorni fa dal ministro Angelo Alfano, che però si è poi premurato di firmare un pacchetto di misure destinato a renderla ancora più drammatica. L'arretrato civile è di 5.425.000 fascicoli, quello penale di 3.262.000. Un processo civile dura in media 960 giorni per il primo grado, 50 mesi l'appello. Quasi sette anni prima di arrivare alla Cassazione: un tempo umiliante che distrugge la vita delle aziende e dei cittadini. Nel penale ci vogliono 426 giorni per la prima sentenza e due anni per l'appello: il che significa l'impunità assicurata per un'infinità di crimini. Un altro studio disegna la Caporetto della giustizia. È un lavoro condotto da Riccardo Marselli e Marco Vannini, professori che si dedicano da anni ad applicare valutazioni oggettive nel mondo confuso dei tribunali: ben 17 distretti giudiziari su 29 risultano 'tecnicamente inefficienti'. I due docenti giungono a una conclusione pessimistica: la quantità dei fascicoli che si accumula è tale da annichilire ogni speranza. Senza demolire questa zavorra non si può rendere efficace il sistema. Allo stesso tempo però la ricerca statistica sottolinea come si possa fare di più: se tutti i magistrati si portassero sul livello dei più sgobboni, un decimo dell'arretrato nel civile e il 14 per cento di quello penale potrebbe venire cancellato. Una stima che aumenta nei tribunali meridionali, meno dinamici: un quinto dei fascicoli accatastati nel civile e quasi un quarto di quelli penali scomparirebbero. Utopia?

Senza qualità
Tutti sostengono che i fannulloni sono pochi. Ma dietro i giudici da prima pagina, dietro i pool che sgobbano in silenzio, dietro i pm antimafia che rischiano la vita c'è una massa di magistrati 'senza
qualità'. Hanno fatto del quieto vivere una regola aurea: evitano errori e grane, detestano stakanovismi e protagonismi, diffidano dell'informatica e dei modelli aziendali. Più sciatti che lavativi, talvolta arroganti con i colleghi e maleducati con gli utenti, ma soprattutto poco produttivi. Era rivolto a loro il discorso choc pronunciato due anni fa dal segretario di Md, la corrente 'rossa' delle toghe ma anche quella storicamente più più impegnata sul fronte dell'efficienza: "Nessuno dovrà sentirsi indifferente alla esigenza di un progetto organizzativo minimo per ogni ufficio. Dovremo osare di più, perché nessuno potrà rifugiarsi nella rivendicazione di un ruolo indipendente. Che, se non produce risultati, non serve a nessuno ed è destinato inevitabilmente a declinare", disse l'allora segretario Juan Ignazio Patrone. E ancora: "Il quieto vivere della corporazione non è più compatibile con il dovere di offrire risposte adeguate e qualitativamente decenti alla domanda sociale di giustizia". Belle parole. Ma chi controlla se le toghe lavorano?

Carriera garantita
Finora venivano promossi per anzianità, anche se si rimaneva a compiere le stesse mansioni: oggi quasi sette magistrati su dieci ricevono uno stipendio superiore all'incarico che svolgono. Lo ha analizzato Daniela Marchesi, uno dei responsabili dell'Isae, a 41 anni è considerata la pioniera della materia. Laurea in legge, dottorato in economia, specializzata negli Usa, ha lavorato con Flick alla Giustizia nel 1996 e poi al Tesoro con Padoa-Schioppa. Il suo obiettivo è stabilire quali misure possano incentivare comportamenti virtuosi: cita i testi di Carr Sunstein, il professore chiamato da Obama a guidare il dipartimento per le regole. "La giustizia italiana sarebbe un esempio da manuale: ci sono risorse umane ed economiche in linea con altri paesi, ma otteniamo un risultato generale molto scadente. Analizzando il sistema si vede l'origine del gap: la congerie di norme è fatta in modo tale che incentivi di comportamento vanno tutti in modo sbagliato". Più garanzie, sintetizza, richiedono più tempo. Ed è per questo che tra i soggetti del processo, più che ai magistrati tocca agli avvocati cambiare: "Il magistrato non può velocizzare la sua attività senza rischiare di compromettere le garanzie". Insomma, la professoressa Marchesi non crede in una riforma unilaterale. Pensa che però si possa fare di più per migliorare la selezione e i controlli, soprattutto eliminando le promozioni indiscriminate.

Ma se il lavoro non cambia, allora in cosa consiste la promozione? Nello stipendio, anzitutto. Dal 2003 al 2006 il numero di magistrati ordinari è leggermente diminuito, ma la spesa per le loro paghe è lievitata: oltre il 16 per cento in più. Nel 2003 per 9.043 tra giudici e pm lo Stato spendeva 842 milioni; un triennio dopo l'organico era sceso a 9.019, ma il costo era arrivato a 978 milioni: 136 in più, un incentivo niente male. E i dati mostrano che le retribuzioni medie delle nostre toghe (vedi tabella a pag. 58) sono tra le più alte d'Europa. Il premio c'è, senza legami con la quantità o la qualità. Ma la punizione? Poche le sanzioni del Consiglio superiore. E ancora di meno quelle proposte dagli ispettori ministeriali: anche nel 2008 si sono contate sulle dita di una mano. Il bilancio del Csm, organo di autogoverno della magistratura, può essere letto in chiaro scuro. In un decennio ha giudicato 1.282 toghe. Ne ha condannate 290, spesso con sanzioni simboliche che pesano però sulle nomine chiave; altre 156 si sono dimesse prima del verdetto: in tutto, fa circa 45 'puniti' l'anno sui 9 mila magistrati italiani, lo 0,5 per cento. Pochi. Ma molto più di quello che fanno le altri amministrazioni statali. "Le verifiche statistiche sul lavoro dei magistrati sono insensate. Le gare di nuoto si possono fare in una piscina, non in mezzo a uno tsunami. È la quantità di denunce e ricorsi ha trasformato la giustizia italiana in un continuo tsunami", taglia corto Piercamillo Davigo, protagonista di Mani pulite oggi giudice di Cassazione: "Non voglio fare il corporativo. Ma anche nei militari esistono valutazione periodiche: nel loro sistema l'indipendenza non è un valore, anzi. Eppure le loro valutazioni si concludono sempre con giudizi eccellenti. Perché nessuno se ne preoccupa? Anche loro finiscono con il diventare tutti generali. Se si discute solo della nostra produttività, temo che le finalità siano diverse".

Davigo cita un episodio: il record di produttività di un procuratore aggiunto lombardo. "Era un cialtrone, ma si vantava di avere smaltito 330 mila procedimenti in un anno. Come faceva? Aveva una squadra di carabinieri, armati con un timbro di gomma che riproduceva la sua firma, che su tutti i fascicoli stampavano 'Non doversi procedere perché rimasti ignoti gli autori del reato'".

Il nuovo sistema di valutazioni quadriennali appena introdotto dovrebbe smascherare furbetti del genere. Il meccanismo prevede controlli su quantità e qualità dell'attività di tutti, anche attraverso fascicoli pescati a campione tra quelli smaltiti. "Oggi ci sono nuovi meccanismi di valutazione molto efficaci e concreti. Diamo al sistema il tempo di cambiare", spiega Salvi: "Adesso il magistrato ha forte stimolo ad avere buoni pareri per poi ottenere un incarico direttivo o aspirare a posti specializzati".

C'è un solo limite: l'esame è affidato al consiglio giudiziario, un piccolo parlamento eletto dai magistrati a livello locale su modello del grande Csm nazionale. "In pratica gli eletti devono valutare i loro elettori. È come se in un'azienda le promozioni fossero illimitate e decise dai rappresentanti dei dipendenti. Ve lo immaginate?", spara a zero Carlo Guarnieri, docente a Bologna e tra i più attenti critici 'laici': "Ci vorrebbero commissioni esterne, nominate dal Csm. Così questi meccanismi sono inutili, anche perché non ci sono incentivi: chi non ha voglia di lavorare sa di rischiare poco". Mentre per essere puniti bisogna farla veramente grossa. Ennio Fortuna, procuratore generale di Venezia, ha scritto sulla rivista dell'Associazione magistrati: "Nel nostro ambiente i pochi che ci marciano sono ben noti a tutti". E perché non vengono denunciati? Perché è necessario che gli otto anni di ritardo nello scrivere le motivazioni di una sentenza, con conseguente scarcerazione dei condannati, diventino un caso solo dopo la denuncia di 'Repubblica'? La vicenda di Edi Pinatto, giudice ragazzino passato da Gela a Milano lasciando l'arretrato in sospeso è diventata esemplare. Salvi la paragona alle sabbie mobili: "I ritardi nel completare le sentenze molte volte erano commessi da quelli che tentavano di più di smaltire il lavoro, venendo sommersi per inesperienza". Perché non vengono segnalati? "Pinatto era già stato sanzionato una prima volta. Ma poi è mancata la segnalazione dei responsabili del suo ufficio".

Nei palazzi di giustizia si sente spesso una lamentela, comune tra pm e avvocati. I capi non denunciano i fannulloni. I capi non organizzano il lavoro. I capi non aggrediscono l'arretrato. Quella dei dirigenti è l'altra grande questione, fondamentale per risollevare la produttività. Finora la managerialità non pesava nella designazione: si diventava procuratori e presidenti per anzianità e accordi tra le correnti sindacali. Oggi in teoria dovrebbe essere determinante l'avere dimostrato capacità manageriali. Ma non ci si improvvisa capitani d'azienda: coordinare apparati complessi e ingolfati come i tribunali è una sfida che farebbe paura a qualunque amministratore. Guarnieri propone una soluzione radicale: dividere l'organizzazione del lavoro dai processi, affidando la gestione della prima a un vero manager. In pratica, il metodo delle Asl. "Paragoni non sostenibili. Nascerebbero tante unità giudiziarie locali in Italia: non è che Asl funzionino così bene...", ironizza Salvi.

Il peso dell'arretrato È chiaro, da soli i magistrati non potranno mai risolvere tutto l'handicap. Una ricerca del ministero indica l'impresa come impossibile. Per rianimare le Corti d'appello ci vorrebbero 134 nuovi giudici, tutti Stakanov, tutti preparatissimi e capaci di dare subito il massimo. Senza nuove regole organizzative, però, ogni rinforzo sarebbe inutile. Nella Corte d'appello penale, l'anticamera della prescrizione e quindi la discarica dei processi, servirebbero 32 mesi di lavoro solo per smaltire l'arretrato. Ma con poche regole di buon senso si potrebbe invertire la rotta. Ad esempio la standardizzazione dei fascicoli. Avete mai messo le mani nei faldoni di un processo? Spesso somigliano alle valige di fine vacanza: sciogliendo i lacci esplodono, rivelando una confusione profonda. Quando l'incartamento passa da un pm al suo sostituto, ci vogliono ore solo per trovare il bandolo della matassa. Invece, basterebbero pochi schemi condivisi per non sprecare tempo. Ma la rivoluzione può arrivare anche da un uso integrato dell'informatica: creare procedure a misura di rete. A Milano fino a dieci anni fa nelle udienze civili a turno uno degli avvocati scriveva a mano il verbale. Oggi nella stessa città usando il Web per uno solo dei passaggi del processo civile si sono guadagnati 60 giorni: il decreto ingiuntivo telematico ha fatto risparmiare due mesi di meno ad avvocati, cittadini e tribunale. Cosa ci vuole ad estenderlo a tutta Italia?

Autonomia e corporativismo Alla politica l'efficienza non interessa. E c'è la resistenza 'culturale' di una parte consistente dei magistrati. Bruno Tinti, ex procuratore aggiunto di Torino, ha dedicato un intero capitolo del suo ultimo libro 'La questione immorale' alle "colpe dei magistrati". Racconta tra l'altro del programma informatico che aveva creato per coordinare le agende dei protagonisti del processo ed evitare quei rinvii che sfiancano la giustizia. Un'iniziativa che invece di procurargli una medaglia venne accolta con disprezzo dal Csm. "Quel programma è ancora lì ma nessuno lo usa. E ho capito che il processo penale è quello che è per via delle leggi stupide, delle leggi ad personam, della carenza di uomini e mezzi, ma anche, e in chissà quale percentuale, per via dell'incapacità organizzativa dei magistrati e dei dirigenti degli uffici". Ricorda Giovanni Salvi: "Nel 1998 facemmo un congresso dell'Anm per sensibilizzare sull'efficienza ma andò male. Noi delle correnti progressiste e la dirigenza dell'Anm premevamo perché si facesse un salto in quella direzione, ci fu una resistenza della base. Fu un errore: è stato uno sbaglio cavalcare l'autonomia come corporativismo. A difesa si può dire che quando hai un clima politico intorno di aggressione, questo determina una chiusura in difesa".

E ai governi i giudici fannulloni sono sempre piaciuti: "La politica offre uno scambio ai meno produttivi: io non minaccio i tuoi privilegi, tu non minacciare me", sintetizza il professor Guarnieri. Perché un modello di efficacia la magistratura italiana lo ha creato e imposto nel mondo. Una squadra che lavorava sette giorni su sette, con processi avviati in fretta e una percentuale di condanne irripetibile, un elevato livello di informatizzazione e una produttività mai eguagliata. Si chiamava pool Mani pulite. Lo detestavano politici, imprenditori e grand commis. Lo detestava una fetta consistente degli stessi giudici. Ed è proprio per evitare che quel modello venisse riprodotto ancora oggi si varano riforme su riforme, destinate a distruggere ogni speranza di giustizia.
(26 febbraio 2009)

Englaro indagato: "Me l'aspettavo"


"Doveva arrivare prima o poi, lo sapevo che doveva arrivare". Non è sorpreso Beppino Englaro per la denuncia del comitato Verità e Vita che ha portato la procura di Udine ad aprire un'inchiesta in cui lui e altre 13 persone sono state iscritte nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio per la morte di Eluana, avvenuta lo scorso 9 febbraio. "Me l'aspettavo" ha detto Englaro, ricordando che in passato da più parti erano state annunciate denunce. Intanto non si placa la polemica sulla vicenda. Per il cardinale Javier Lozano Barragan "se Beppino Englaro ha ammazzato la figlia allora è un omicida". "Gli uomini di chiesa moderino il linguaggio", replica a distanza don Tarcisio Puntel, parroco di Paluzza che ha celebrato i funerali di Eluana.

Beppino: "Sono tranquillo". "Mi sono mosso sempre nella legalità e perciò sono tranquillo" ha detto Beppino a proposito dell'apertura dell'indagine per omicidio in cui è indagato insieme all'équipe dei medici che ha sospeso la nutrizione artificiale a Eluana, tra cui l'anestesista Amato De Monte. Englaro, che prevede di essere convocato dalla magistratura dopo il deposito degli esiti definitivi degli esami autoptici effettuati sulla figlia, ripete di sentirsi "tranquillo, a posto, perché fin dal primo minuto mi sono mosso nella legalità".

Sacconi, dimensione penale è molto discutibile. "Credo che la dimensione penale, in generale, sia molto discutibile in questi casi" ha detto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che intanto ha ammesso di aver ricevuto il secondo avviso di garanzia, dopo quello di Roma, questa volta "da Trieste per violenza privata in relazione all'atto di indirizzo emanato per la vicenda di Eluana Englaro". "Credo - ha sottolineato Sacconi - che i profili in questa vicenda siano ben altri". Ad ogni modo, ha concluso Sacconi, "a mio avviso ci sono state delle situazioni, e non mi riferisco a Beppino Englaro, di irregolarità che avevano evidenziato i carabinieri dei Nas".

L'avvocato della famiglia Englaro. L'iscrizione nel registro degli indagati di 14 persone, compreso papà Englaro, secondo l'avvocato di famiglia "era un atto atteso solo che, forse, doveva giungere il giorno stesso della morte della donna. Per noi non cambia nulla ora avremo modo di chiarire tutto in contraddittorio". Per l'avvocato, tuttavia, la procura di Udine non ha ancora risolto il dubbio "se quanto avvenuto alla Quiete sia stato legittimo oppure no. Per questo che i magistrati stanno lavorando su due fronti".

La procura. "L'iscrizione sul registro degli indagati di 14 persone sul caso Eluana Englaro costituisce un atto dovuto", spiega in una nota il procuratore della Repubblica di Udine Antonio Biancardi. Biancardi precisa che "l'iscrizione è avvenuta dopo le tante, specifiche, anche nominativamente, denunce inviate o presentate a questo ufficio da parte di cittadini, tutti identificati e identificabili. L'iscrizione è avvenuta solo in questi ultimi giorni - aggiunge - per la necessità di separare le specifiche denunce verso le persone poi iscritte dai, pure numerosissimi, esposti a volte deliranti, privi tuttavia di rilevanza penale o di precise accuse".

Cinquanta esposti. Sul tavolo del magistrato sono giunti oltre cinquanta esposti, sia da associazioni locali sia nazionali, sulla vicenda Eluana, esposti che il procuratore ha sempre detto di voler seguire di persona. Tra questi quello del 'Comitato Verità e Vita'. "Si tratta di una vera e propria relazione dettagliata - ha detto Mario Palmaro, presidente del Comitato - nella quale chiamiamo in causa Beppino Englaro, il personale medico e infermieristico, nonché i dirigenti responsabili della casa di riposo". Chi invece si chiama fuori è l'associazione Scienza è Vita che precisa di "non aver mai presentato alla Procura di Udine alcuna denuncia verso chicchessia per omicidio volontario".

L'attacco di Barragan. Dunque non accenna a calare il silenzio sulla vicenda di Eluana, così come non accennano a abbassarsi i toni della Chiesa che anche oggi, per bocca del cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari per la Pastorale della salute, torna ad attaccare Beppino Englaro: "Abbiamo un comandamento, il quinto, che dice di non uccidere. Chi uccide un innocente commette un omicidio e questo è chiaro. Se Beppino Englaro ha ammazzato la figlia Eluana allora è un omicida".

Il parroco. "Gli uomini di Chiesa moderino il linguaggio, non si può usare un linguaggio come quello del cardinale Barragan", dichiara invece don Tarcisio Puntel, parroco di Paluzza, il paese d'origine della famiglia Englaro, uno dei pochi sacerdoti che ha ancora un contatto con papà Englaro. "Beppino - aggiunge don Puntel - ha sbagliato, gliel'ho sempre detto, lui sa che ho una visione opposta alla sua, ma tra noi c'è rispetto - afferma il parroco - ed è per questo che continua il dialogo. Usare parole come 'assassino' o 'omicida' e apostrofare una persona in questo modo non è da cristiani. La verità va detta fino in fondo, senza mezzi termini, ma in un rapporto dialogico".

(27 febbraio 2009)

"Berlusconi offende le donne. lo denunciamo alla Corte europea"


di GIOVANNI GAGLIARDI


"Moi je t'ai donné la tua donna". Un misto di francese e italiano per una battuta, l'ennesima, del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Stavolta, al capo dello Stato francese, Nicolas Sarkozy. Il riferimento, è chiaro, è a Carla Bruni. La boutade, però, non è andata giù ad Anna Paola Concia, deputata del Pd, e Donata Gottardi, parlamentare europea del Pd-Pse. Che hanno deciso di sporgere denuncia contro il premier proprio per i suoi ripetuti riferimenti allusivi "di disprezzo" nei confronti delle donne.

"Denunciamo Silvio Berlusconi, in qualità di presidente del Consiglio dei ministri italiano, alla Corte europea di Strasburgo per violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, a causa delle continue e ripetute dichiarazioni di disprezzo sulla vita e la dignità delle donne", annunciano le due onorevoli, dopo quell'"Io ti ho dato la tua donna", che il Cavaliere ha rifilato a Sarkozy.

Una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Concia e Gottardi, sottolineando che "in Italia, a causa del Lodo Alfano, non è possibile denunciare il presidente del Consiglio alla magistratura", ricordano alcune delle dichiarazioni del premier che sono alla base della loro decisione: "Il 14 marzo 2008 in campagna elettorale: Berlusconi consiglia a una giovane precaria di sposare un miliardario per risolvere i suoi problemi economici. Il 25 gennaio 2009, durante un comizio elettorale a Sassari, teorizza che 'per evitare gli stupri servirebbe un militare per ogni bella donna'".

E ancora, il 6 febbraio 2009, "l'inquietante dichiarazione su Eluana Englaro". Infine, "il 26 febbraio 2009, incontro internazionale con Sarkozy: Berlusconi, rivolgendosi al Presidente francese, lo avverte: 'Io ti ho dato la tua donna'".

Quella che i francesi definiscono come "humour déplacé", ovvero l'ironia fuori luogo del premier, sembra destinata ad arricchire la galleria delle gaffe che lo rendono famoso anche oltreconfine. La battuta sull'"abbronzatura" di Obama ha fatto il giro del mondo, mentre quella sui desaparecidos argentini, una decina di giorni fa, ha suscitato la reazione risentita di Buenos Aires. A Strasburgo in molti ancora ricordano quando, all'Europarlamento, presentando in aula le linee programmatiche del semestre italiano di presidenza Ue, Berlusconi diede del kapò nazista al deputato socialdemocratico tedesco, Martin Schulz.

Lunga la lista delle categorie e delle persone bersagliate da Berlusconi con la sua passione per la battuta: i malati di Aids, i giudici, ("mentalmente disturbati"), i cinesi (che avrebbero "bollito i bambini ai tempi di Mao") fino alla stessa moglie, oggetto di allusioni a proposito delle voci di una liason con Massimo Cacciari: in quell'occasione, il premier coinvolse l'omologo danese, e allora presidente di turno della Ue, Andres Fogh Rasmussen: "E' il primo ministro più bello d'Europa - disse - penso di presentarlo a mia moglie perché è anche più bello di Cacciari".

Veronica Lario qualche anno dopo si tolse il sassolino dalla scarpa, con una lettera a Repubblica. L'occasione arrivò dopo la cena dei Telegatti, nel gennaio del 2007: in quell'occasione Berlusconi pronunciò un paio di complimenti di troppo: "Io con te andrei ovunque", disse alla showgirl Aida Yespica. Poi, in un crescendo, una battuta a Mara Carfagna: "Se non fossi già sposato me la sposerei". Ma quella volta fu costretto a chiedere scusa.

(27 febbraio 2009)

Gioacchino Genchi accusa

27 Febbraio 2009

Intervista a Gioacchino Genchi:
"Io svolgo l'attività di consulente tecnico per conto dell'autorità giudiziaria da oltre vent'anni, lavoro nato quasi per caso quando con l'avvento del nuovo codice di procedura penale è stata inserita questa figura, come da articoli 359 e 360 che danno al Pubblico Ministero la possibilità di avvalersi di tecnici con qualunque professionalità allorquando devono compiere delle attività importanti. Mi spiace che Martelli se lo sia dimenticato, Cossiga me lo abbia ricordato, proprio il nuovo codice di procedura penale che ha promulgato il presidente Cossiga inserisce questa figura che è una figura moderna. Che è nelle giurisdizioni più civili ed avanzate, mentre prima il Pubblico Ministero era limitato, e doveva per accertamenti particolari avvalersi solo della Polizia giudiziaria, il nuovo codice ha previsto queste figure.
Per cui per l'accertamento della verità, nel processo penale, accertamento della verità significa anche a favore dell'indagato o dell'imputato, il Pubblico Ministero non ha limiti nella scelta delle professionalità di cui si deve avvalere. Io ho fatto questa attività all'interno del Dipartimento della Pubblica sicurezza.

Abbiamo svolto importanti attività con Arnaldo La Barbera, con Giovanni Falcone poi sulle stragi. Quando si è reso necessario realizzare un contributo esterno per il Pubblico Ministero, contenuto forse scevro da influenze del potere esecutivo, mi riferisco a indagini su colletti bianchi, magistrati, su eccellenti personalità della politica, il Pubblico Ministero ha preferito evitare che organi della politica e del potere esecutivo potessero incidere in quelle che erano le scelte della pubblica amministrazione presso la quale i vari soggetti operavano.
Nel fare questo ho fatto una scelta deontologica, cioè di rinunciare alla carriera, allo stipendio, per dedicare tutto il mio lavoro al servizio della magistratura. Questa scelta, anziché essere apprezzata è stata utilizzata dai miei detrattori che fino a ieri mi hanno attaccato in parlamento, al contrario.

Il ministro Brunetta non poteva non riferire che la concessione dell'aspettativa non retribuita che io avevo chiesto era perfettamente regolare, è stata vagliati da vari organi dello Stato, dal Ministero dell'Interno, dal Ministero della Funzione pubblica e dalla presidenza del Consiglio dei Ministri di Berlusconi, la stessa che mi ha attaccato in maniera così violenta e così assurda dicendo le fandonie che hanno fatto ridere gli italiani perché tutto questo can can che si muove nei miei confronti, questo pericolo nazionale, cioè una persona che da vent'anni lavora con i giudici e i Pubblici Ministeri nei processi di mafia, di stragi, di omicidi, di mafia e politica più importanti che si sono celebrati in Italia, rappresenta un pericolo.

Forse per loro! Per tutti quelli che mi hanno attaccato perché poi la cosa simpatica (è chiaro che ora sto zitto, non posso parlare sono legato al segreto) ma mi scompiscio dalle risate perché tutti i signori giornalisti che mi hanno attaccato, da Farina a Luca Fazzo a Lionello Mancini del Sole 24 ore, al giornalista della Stampa Ruotolo, sono i soggetti protagonisti delle vicende di cui mi stavo occupando. Questo è l'assurdo!

Gli stessi politici che mi stanno attaccando, sono gli stessi protagonisti di cui mi stavo occupando. Da Rutelli a Martelli, Martelli conosciuto ai tempi di Falcone. Parliamo di persone che comunque sono entrate nell'ottica della mia attività. Martelli nei computer di Falcone quando furono manomessi, Rutelli perché è amico di Saladino usciva dalle intercettazioni di Saladino, Mastella per le evidenze che tutti sappiamo e così via, poi dirò quelli che hanno parlato alla Camera al question time, quel giornalista che gli ha fatto il comunicato, cose da ridere! Tra l'altro questi non hanno nemmeno la decenza di far apparire un'altra persona.

No, compaiono loro in prima persona! Sapendo che loro entravano a pieno titolo nell'indagine. Questo è assurdo. Io continuo a ridere perché il popolo italiano che vede questo grande intercettatore, che avrebbe intercettato tutti gli italiani, ma che cosa andavo ad intercettare agli italiani? Per farmi sentire dire che non riescono ad arrivare alla fine del mese? Per sentir dire che i figli hanno perso il posto di lavoro o che sono disoccupati? Che c'è una crisi economica? Ma perché mai dovrei andare ad intercettare gli italiani? Ma quali sono questi italiani che hanno paura di Gioacchino Genchi?

Quelli che hanno paura di Gioacchino Genchi sono quelli che hanno la coscienza sporca, e quelli che hanno la coscienza sporca sono quelli che mi hanno attaccato. E con questo attacco hanno dimostrato di valere i sospetti che io avevo su di loro. Anzi, più di quelli di cui io stesso mi ero accorto, perché devo essere sincero, probabilmente io avevo sottovalutato il ruolo di Rutelli nell'inchiesta Why not.

Rutelli ha dimostrato probabilmente di avere il carbone bagnato e per questo si è comportato come si è comportato. Quando ci sarà la resa della verità chiariremo quali erano i rapporti di Rutelli con Saladino, quali erano i rapporti del senatore Mastella, il ruolo di suo figlio, chi utilizzava i telefoni della Camera dei Deputati... chiariremo tutto! Dalla prima all'ultima cosa. Questa è un'ulteriore scusa perché loro dovevano abolire le intercettazioni, dovevano togliere ai magistrati la possibilità di svolgere delle intercettazioni considerati i risultati che c'erano stati, Vallettopoli, Saccà, la Rai eccetera, la procura di Roma immediatamente senza problemi però apre il procedimento nei confronti del dottor Genchi su cui non ha nessuna competenza a indagare, perché la procura di Roma c'entra come i cavoli a merenda. C'entra perché l'ex procuratore generale di Catanzaro ormai fortunatamente ex, ha utilizzato questi tabulati come la foglia di fico per coprire tutte le sue malefatte e poi le ha utilizzate come paracadute per non utilizzarle a Catanzaro, dove probabilmente il nuovo procuratore generale avrebbe immediatamente mandato a Salerno.
Perché in quei tabulati c'è la prova della loro responsabilità penale. Non della mia. Quindi, non li manda a Salerno che era competente, non li manda al procuratore della Repubblica di Catanzaro che avrebbe potuto conoscere quei tabulati e quello che c'era, non li manda al procuratore della Repubblica di Palermo dove io ho svolto tutta la mia attività ma li manda a Roma che non c'entra niente.

Quindi si va a paracadutare questi tabulati sbagliando l'atterraggio perché in una procura che non ci azzecca nulla. Perché tra l'altro in quei tabulati c'erano delle inquisizioni che riguardavano magistrati della procura della Repubblica di Roma! Su cui stavamo indagando. Ora la procura di Roma indaga su di me e sui magistrati della procura della Repubblica di Roma. Si è ripetuto lo scenario che accadde tra Salerno e Catanzaro e si è ripetuto lo scenario che era già accaduto tra Milano e Brescia all'epoca delle indagini su Di Pietro. Con la sola differenza che all'epoca si chiamava Gico l'organo che fece quelle attività, adesso si chiamano Ros, ma sostanzialmente non è cambiato nulla.

In ultima analisi dico che io sono comunque fiducioso nella giustizia. Hanno cercato di mettermi tutti contro, hanno cercato di dire ad esempio, nel momento in cui c'era un rapporto di collaborazione con la procura di Milano anche fra De Magistris e la procura di Milano, un'amicizia personale fra De Magistris e Spataro, che siano stati acquisiti i tabulati di Spataro. Assurdo! Non è mai esistita un'ipotesi del genere. Nemmeno per idea! Come si fa a togliere a De Magistris l'appoggio della magistratura associata? Diciamo che ha preso i tabulati di Spataro. Come si fa a mettere il Csm contro De Magistris? Diciamo che ha preso i tabulati di Mancino.

Adesso i Ros dicono che nei tabulati che io ho preso ci sono, non so quante utenze del Consiglio superiore della magistratura. Non abbiamo acquisito tabulati del Csm, sono i signori magistrati di cui abbiamo acquisito alcuni tabulati, quelli sì, tra cui alcuni della procura nazionale antimafia ben precisi, due, solo due, che hanno contatti col Csm.

Ha inquisito il Quirinale! Ma quando mai? Se però qualcuno del Quirinale ha chiamato o è stato chiamato dai soggetti di cui ci siamo occupati validamente, bisogna vedere chi dal Quirinale chi ha avuto contatti con queste persone, ma io non ho acquisito i tabulati del Quirinale. A parte che se fosse stato fatto sarebbe stata attività assolutamente legittima perché, sia chiaro, le indagini in Italia non si possono fare soltanto nei confronti dei tossici e magari che siano pure extracomunitari, oppure quelli che sbarcano a Lampedusa nei confronti dei quali è possibile fare di tutto, compresa la creazione dei lager.

La legge è uguale per tutti. Tutti siamo sottoposti alla legge! Perché sia chiaro. Questo lo devono capire. Nel momento in cui a questi signori li si osa sfiorare solo da lontano, con la punta di una piuma, questi signori si ribellano e distruggono le persone che hanno solo il coraggio di fare il proprio lavoro.
Gli italiani questo l'hanno capito. E hanno capito che questo dottor Genchi di cui hanno detto tutte le cose peggiori di questo mondo... e io adesso pubblicherò tutti i miei lavori, dal primo sino all'ultimo pubblicherò tutte le sentenze della Corte di Cassazione, delle Corti d'Appello, delle Corti di Assise, dei tribunali che hanno inflitto centinaia e centinaia di anni di carcere col mio lavoro.
Ma le sentenze di cui io sono più orgoglioso non sono le sentenze di condanna, ma sono le sentenze di assoluzione! Sono quelle persone ingiustamente accusate anche per lavori fatti dal Ros che sono state assolte grazie al mio lavoro e che rischiavano l'ergastolo! E che erano in carcere. Persone che erano in carcere perché avevano pure sbagliato l'intestatario di una scheda telefonica. E adesso questi signori vengono ad accusare me di avere fatto lo stesso lavoro che loro... ma non esiste completamente!
Tutte queste fandonie e la serie di stupidaggini che sono state perpetrate addirittura in un organismo che è il Copasir! Che si deve occupare dei servizi di vigilanza sulla sicurezza, non sui consulenti e sui magistrati che svolgono la loro attività sui servizi di sicurezza! Noi abbiamo trovato delle collusioni di appartenenti ai servizi di sicurezza, con delle imprese che lavorano per i servizi di sicurezza, che lavorano nel campo delle intercettazioni, che costruiscono caserme con appalti dati a trattativa privata per milioni di euro, noi stavamo lavorando su quello! Stavamo lavorando su quello e ci hanno bloccato perché avevano le mani in pasta tutti loro! Questa è la verità.

Questa è la verità e adesso mi hanno pure dato l'opportunità di dirla perché essendo indagato io non sono più legato al segreto perché mi devo difendere! Mi devo difendere con una procura che non ci azzecca nulla con la competenza, la procura di Roma, mi difenderò alla procura di Roma.

Però sicuramente la verità verrà a galla! E non ci vogliono né archivi né dati perché sono tre o quattro cose molto semplici. Le intercettazioni di Saladino utili saranno una decina, quando fu intercettato prima che De Magistris iniziasse le indagini, ma sono chiarissime! E l'attacco che viene fatto nei miei confronti parte esattamente dagli stessi soggetti che io avevo identificato la sera del diciannove luglio del 1992 dopo la strage di via D'Amelio, mentre vedevo ancora il cadavere di Paolo Borsellino che bruciava e la povera Emanuela Loi che cadeva a pezzi dalle mura di via D'Amelio numero diciannove dov'è scoppiata la bomba, le stesse persone, gli stessi soggetti, la stessa vicenda che io trovai allora la trovo adesso!
Ancora nessuno ha detto che io sono folle. Anzi, sarò pericoloso, terribile ma che sono folle non l'ha detto nessuno. Bene allora quello che io dico non è la parola di un folle perché io dimostrerò tutte queste cose. E questa è l'occasione perché ci sia una resa dei conti in Italia. A cominciare dalle stragi di via D'Amelio alla strage di Capaci. Perché queste collusioni fra apparati dello Stato servizi segreti, gente del malaffare e gente della politica, è bene che gli italiani comincino a sapere cosa è stata."

giovedì 26 febbraio 2009

Forza censura


L'ESPRESSO
di Peter Gomez

La legge che limita le intercettazioni. Il bavaglio alla stampa. Nel nostro Paese è in atto un disegno autoritario. Parla lo scrittore ed ex magistrato. Colloquio con Gianrico Carofiglio Parla di "parlamentari o in malafede o incompetenti". Ricorda "i mattoncini" che vengono ormai quotidianamente impilati per completare "un disegno gravemente neo-autoritario" di cui la legge sulle intercettazioni è uno degli elementi portanti. Dice che buona parte delle nuove leggi su giustizia e bavaglio alla stampa sono incostituzionali. Ma non è ottimista. Perché un uomo come lui, un uomo come Gianrico Carofiglio per anni pubblico ministero in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata e poi scrittore e senatore del Pd, sa che in "un sistema sano la Corte interviene sui singoli aspetti di norme che hanno comunque una loro coerenza, mentre in questo impianto l'unica coerenza leggibile è la volontà di ridurre i controlli di legalità e la capacità investigativa della polizia".

La maggioranza licenzia in commissione una legge punitiva per magistrati e giornalisti. Anche 'Il Sole 24 Ore', il quotidiano della Confindustria, parla di "censura all'informazione"...
"In Italia è in atto un disegno autoritario. In questo disegno si iscrive, da una parte il dibattito sul testamento biologico e l'impossessamento del corpo del cittadino da parte dell'autorità dello Stato. Dall'altra entrano queste norme. Si vuole ridurre la giustizia a una fucina segreta in cui non si deve ficcare il naso e di cui la gente non deve sapere nulla. E questo glielo dice uno che quando era pm non era popolare tra i giornalisti...".

In ogni caso, però, il nostro codice prevede il deposito progressivo degli atti. Via via che un'inchiesta procede, molti documenti vanno agli avvocati. Il segreto insomma cade e la legge fino a ieri diceva che il contenuto poteva essere riassunto dai cronisti. Da domani si pagheranno multe salatissime e a volte si andrà in galera.
"Siamo all'antitesi di un sistema democratico in cui i controlli sono strutturali, a cominciare da quello esercitato dall'informazione. Ovviamente non bisogna consentire un accesso indiscriminato agli atti d'indagine o alla loro pubblicazione. Ma il controllo dell'opinione pubblica va esercitato. E non solo sulle classi dirigenti, ma anche sull'operato dei magistrati che possono essere collusi o incapaci".

Invece i nomi dei magistrati e le loro foto non potranno nemmeno essere pubblicati. Questa di fatto è censura e quindi materia da Consulta...
"Io credo che su molti punti di questa nuova disciplina possa intervenire la Corte. Ci sono una serie di aspetti critici dal punto di vista costituzionale che si coniugano con una stesura grossolana dei testi. La violazione dell'articolo 21 della Carta in materia di libertà d'informazione e di altre norme deriva sia da un contrasto diretto di alcune parti della nuova disciplina con la Costituzione, sia da un contrasto con il principio di ragionevolezza".

Che cos'è?
"Semplificando il concetto potremmo definirlo la coerenza della disposizione normativa con la nozione tendenzialmente universale di buon senso. La legge deve tutelare gli interessi generali".

Quindi occorre sperare nella Corte...
"Quello che dispiace è che per far emergere il difetto di costituzionalità di queste norme ci vorrà qualcuno che deliberatamente le violi. Un giornalista dovrà esporsi al processo in modo che possa essere sollevata la questione di legittimità. Non è una bella democrazia quella in cui si devono fare gesti del genere per evidenziare gli strappi al tessuto democratico".

Se le indagini durano sei mesi, che senso ha dire che si può intercettare solo per due? È come vietare alla polizia di pedinare qualcuno per tutta la durata dell'inchiesta...
"Prima di risponderle devo fare una premessa: quando ero pm ho potuto in non pochi casi verificare un uso disinvolto delle intercettazioni. Se non abbiamo il coraggio di dirlo chiaramente, poi non siamo adeguatamente qualificati per criticare. Il problema esiste e ha molte cause. Ma la tecnica adottata per risolverlo è gravemente grossolana".

Insomma, come dice il proverbio, si butta via il bambino con l'acqua sporca...
"Più o meno. Perché se io voglio contrastare la leggerezza nell'uso delle intercettazioni, e per far questo impedisco l'attività d'indagine, non rendo un buon servizio e dimostro di non sapere fare il mio lavoro di legislatore. A meno che il mio lavoro di legislatore, come è lecito sospettare, non sia altro che l'emanazione di un potere sovrano che a suo capriccio decide quello che gli piace e quello che non gli piace. In questo caso se i magistrati o i controlli di legalità gli sono simpatici o antipatici".

È anche lecito pensare che qui sia pure in gioco il conflitto d'interessi di un centinaio di onorevoli già condannati o sotto inchiesta.
"Non mi pare che ci siano dubbi in proposito. La questione è semplice: esiste un numero cospicuo di parlamentari che, per caso personale, ce l'hanno con i magistrati e con i controlli di legalità. E ci sono anche molti parlamentari che, pur non avendo questi problemi, per un malinteso senso di separazione tra gli ambiti della politica e della giustizia, o per l'affermazione del primato della politica, si accodano".

Non per niente uno degli emendamenti più duri contro la stampa è stato introdotto da Deborah Bergamini, il cui nome era comparso in alcuni brogliacci pubblicati dai giornali in merito alla gestione della Rai. Ma lo stesso discorso riguarda parte del centrosinistra.
"Purtroppo non è una novità. Non ci scordiamo che molti provvedimenti discutibili sono stati adottati negli anni in cui il centrosinistra era al governo. Però devo dire che in questo caso ci troviamo di fronte a un intervento di una rozzezza che non ha precedenti. Ci sono cose surreali".

La più fantascientifica?
"Molte. Per esempio, sono richiesti i gravi indizi di colpevolezza per disporre un'intercettazione in luogo dei gravi indizi di reato. Spieghiamo la differenza: se ho un cadavere con un colpo di pistola in testa, questo è un gravissimo indizio di reato di omicidio. Ma se non ho elementi a carico di soggetti identificati, non ho gravi indizi di colpevolezza. E quindi non posso fare intercettazioni. Pensiamo al caso dello stupro di Guidonia. Senza girarci intorno, con questa nuova normativa le intercettazioni non sarebbero state possibili. Di fatto quelle contro ignoti sono state cancellate. E non basta. Ad autorizzare gli ascolti sarà un collegio di tre giudici".

E dov'è il problema?
"Il problema è che tutti parlano di tempi celeri della giustizia. Per questo la tendenza è stata fin qui quella di affidare molti compiti al giudice monocratico che oggi, quando fa il gup, può anche condannare all'ergastolo o in tribunale fino a 20 anni per la droga".

E domani potrà condannare ma non autorizzare le intercettazioni.
"Assurdo. Anche perché il collegio in molti casi non sarà nel tribunale dove si svolge l'indagine. Sarà in una città diversa dove bisognerà far arrivare gli atti dell'inchiesta. Tempi più lunghi e dispendio di risorse. Non dimentichiamo che già oggi gli uffici non hanno i soldi per le fotocopie. Per questo dico che chi ha scritto queste norme o è in totale malafede o non ha la minima idea di che cosa sia un processo penale. Per questo mi stupisco che le associazioni sindacali delle forze di polizia non abbiano fatto sentire la loro voce. Sono gli investigatori che vedranno mutilata in maniera totale la loro capacità d'intervento su questioni di eccezionale gravità".

Per esempio?
"L'omicidio. Dopo due mesi bisognerà staccare le intercettazioni. E lo stesso vale per la pedofilia, per la violenza sessuale continuata, le sette sataniche. Lasciamo perdere la corruzione, magari la gente si è scocciata di sentirne parlare, e pensiamo ai casi dei quali si preoccupa strumentalmente chi fa parte della maggioranza".

A proposito di sicurezza. Anche per le telecamere che riprendono i luoghi pubblici sarà necessaria l'autorizzazione.
"Bisogna capire che fine faranno. Certo potrebbe succedere che la telecamera di un comune riprenda uno stupro ma che quella registrazione venga dichiarata inutilizzabile al processo perché non era stata autorizzata con l'agile procedura che abbiamo descritto...".
(19 febbraio 2009)