giovedì 31 marzo 2011

STO GUARENDO!

Lampedusa e la sovranità del panico


di BARBARA SPINELLI

SONO settimane che in Italia si guarda a quel che accade in Libia e alla guerra che stiamo conducendo attraverso un'unica lente: nient'altro è per noi visibile se non quello che potremmo patire noi, se i fuggitivi arabi e africani continueranno a imbarcarsi verso le nostre coste. Non si discute che di Lampedusa assediata, di città italiane più o meno restie all'accoglienza. Per la verità non si parla di rifugiati ma di invasori, come se la vera guerra fosse contro di noi.

Il trauma è nostro monopolio, il mondo è un altrove che impaura e minaccia: da un momento all'altro, il favore di cui gode l'operazione in Libia potrebbe precipitare. Sembriamo molto lucidi e pratici, ma questo restringersi della visuale ci rende completamente ciechi: l'altrove mediterraneo resta altrove, solo la nostra quiete di nazione arroccata e aggredita ci interessa. Già alcuni parlano di tsunami, ed ecco paesi e persone degradati ad acqua che irrompe.

Non ci interessa quel che fa Gheddafi (vagamente parliamo di massacri, in parte avvenuti in parte potenziali). Non ci interessano neanche gli insorti, le loro intenzioni. Il mondo è in mutazione ma noi siamo lì, chiusi in un recinto fatto di ignoranza volontaria: come se esistesse, oltre alla guerra preventiva, un non-voler sapere preventivo. Credevamo di aver spostato le nostre frontiere più in là, lungo le coste libiche, ben felici che a gestire l'immigrazione fosse il colonnello coi suoi Lager, invece nulla da fare. Il muro libico crolla e i detriti son tutti a Lampedusa e la maggioranza stessa degenera in detrito: con Bossi che offre come soluzione lo slogan "föra di ball", con il Consiglio dei ministri che salta, con Berlusconi che di persona andrà nell'isola campeggiando - ancora una volta - come re taumaturgo.

Lampedusa è divenuta l'emblema della nostra condizione di vittime, il grido che lanciamo all'universo. Dice il governo che oggi arriveranno 4 navi per 10.000 posti, ma per tanti giorni non abbiamo visto che l'isolotto sommerso da grumi informi a malapena identificati con persone. Il fermo immagine sull'isola - il fotogramma che sospende il tempo creando stasi, ristagno - è l'arma di un governo che scientemente arresta la pellicola su questo dramma abbacinante. Lampedusa è agnello sacrificale, ha scritto su Repubblica Eugenio Scalfari. Tutte le colpe s'addensano nell'icona espiatoria, e non stupisce il vocabolario sacrificale che l'accompagna: esodo biblico, inferno, apocalisse. Sguainare la parola apocalisse è profittevole al capo politico, che pare più forte. Diventa il kathekon del mondo: trattiene i poveri mortali dal disastro. Così Lampedusa si tramuta in podio politico: Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, già ci è andata, il 14 marzo, ben cosciente che l'Italia è oggi laboratorio delle destre estreme.

Giustamente il cardinale Martini mette in guardia contro l'uso dello spauracchio apocalittico: non ha detto, Gesù, che "fatti terrificanti" verranno ma "nemmeno un capello del vostro capo perirà"? La paura è comprensibile ma va affrontata, secondo Martini, con quattro virtù: resistenza, calma, serietà, dignità. È proprio quello che manca in Italia. Che manca, nonostante l'attività della Caritas, anche alla Chiesa: con gli innumerevoli alloggi che possiede, non pare sia decisa a offrirli per i fuggiaschi, stipati in condizioni non vivibili, privati ora anche di cibo. Chiara Saraceno ha spiegato bene il paradosso, domenica su Repubblica: questi alloggi, trasformati in alberghi, godono di sconti fiscali perché destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali". Perché non sono messi subito a disposizione?

Quando non c'è serietà le bugie dilagano, le immagini s'adeguano. Si adeguano nel caso della guerra libica, che non essendo chiamata guerra non può nemmeno esser pensata a fondo, con conoscenza di causa. Si adeguano nel descrivere l'Unione europea, su cui piovono accuse talvolta giuste ma nella sostanza menzognere, da parte di governanti che di tutto son capaci tranne di pedagogia delle crisi. Se non c'è una politica europea sull'emigrazione, è perché gli Stati vogliono mantenere per sé competenze che non sanno esercitare. È contro il proprio panico sovrano che dovrebbero inveire, non contro Bruxelles: contro l'ideologia del fare da sé, del "ghe pensi mi", che angustia l'Italia da quasi cent'anni. In teoria dovrebbe valere il principio di sussidiarietà (l'Unione decide sulle questioni di sua competenza che gli Stati non sanno risolvere), ma si esita ad applicarlo. Quanto all'immigrazione, il trattato di Lisbona prevede che l'Unione decida all'unanimità tra governi, senza la codecisione del Parlamento europeo, con l'eccezione di alcune materie in cui il trattato stesso prevede la procedura legislativa ordinaria: solo in queste materie (non sono le più importanti) si decide a maggioranza qualificata e dunque si agisce.

Ma la menzogna decisiva riguarda quel che l'Italia pensa di sé. Alla radice della cecità, c'è l'illusione di essere una nazione che ancora può scegliere tra essere multietnica o no. Che non deve nemmeno chiedersi se stia divenendo xenofoba. In realtà sono 30 anni che siamo un paese d'immigrazione, con punte massime negli ultimi dieci, e quando Berlusconi nel 2009 disse che "non saremo un paese multietnico", mentiva per evitare il ruolo di pedagogo delle crisi. Per negare che la convivenza col diverso si apprende faticosamente ma la si deve apprendere: attraverso una cultura della legalità, dello Stato, del rispetto. Il politico-pedagogo non finge patrie omogenee che rimpatriano alla svelta bestiame umano, ma governa una civiltà multietnica che da tempo non è più un'opzione ma un fatto.

Per capire il nostro vero stato di salute conviene leggere il rapporto, assai allarmato, che Human Rights Watch ha pubblicato il 21 marzo sull'espandersi del razzismo in Italia. Condotta fra il dicembre 2009 e il dicembre 2010, l'inchiesta raccoglie una mole di testimonianze e mette in luce cose che sappiamo, ma dimentichiamo. Raramente il crimine razzista è denunciato come tale, nonostante la legge Mancino del '93 (articolo 3) lo consideri un'aggravante nei reati: la disposizione non è però inserita nel Codice penale. Raramente sono applicate leggi europee e internazionali per noi vincolanti. Infine, né polizia né magistratura sono formate per affrontare reati simili, e numerosissimi casi vengono archiviati, specie quando le violenze sono commesse da forze dell'ordine.

È la retorica che vince sui fatti, scrive ancora il rapporto, e la colpa è dei politici come dei media. Dei politici, che per primi "stigmatizzano le persone con stereotipi". Dei media, "a causa della monopolizzazione dell'editoria radio-televisiva esercitata da Berlusconi". Il rapporto non risparmia la sinistra, spesso tentata di equiparare immigrati e criminali.
Continuamente i politici chiedono che immigrati o fuggitivi si integrino nella nostra cultura, ma è ipocrisia. Primo perché ai fuggiaschi non vengono dati gli strumenti per interiorizzare la nostra civiltà, i suoi diritti e doveri. Secondo perché gli italiani stessi - mal informati, mal governati - ignorano la civiltà sbandierata. Basti un esempio. Il migrante privo di documento che è vittima di un reato può richiedere il rilascio di un permesso temporaneo, e rimanere nel paese per la durata del processo. L'autorizzazione è concessa per periodi rinnovabili di tre mesi, e revocata a processo finito se il caso è archiviato. Ma la regola di solito è ignorata, con effetti gravi: il reato non è denunciato per paura, la fiducia del migrante nello Stato frana, le mafie diventano rifugi.

Se questa è la cultura politica imperante non sorprende che la nostra politica estera sia così debole, anche in Libia. Non dimentichiamo che gli aiuti pubblici allo sviluppo, in Italia, sono crollati. Ristabiliti dal governo Prodi, da due anni scendono sempre più. In uno studio per l'Istituto affari internazionali, Iacopo Viciani fornisce dati probanti: nel bilancio di previsione per il 2011, la cooperazione allo sviluppo è tra le spese più decurtate, riducendo al minimo il peso italiano nel mondo. Gli stanziamenti per la cooperazione raggiungeranno nel 2011 il livello più basso, con una riduzione del 61% rispetto al minimo del '97. Si dirà che ciascuno taglia, in Europa. È falso: Londra, Stoccolma e Parigi aumentano gli aiuti malgrado la crisi.

Inutile andare a una guerra quando si conta così poco nella scelta delle sue già confuse finalità. I governi italiani non sono gli unici ad aver negoziato con Gheddafi, ma il patto stretto da Berlusconi ha qualcosa di scellerato. È grazie a esso che dal 2009 sono stati rimpatriati centinaia di africani giunti in Libia per arrivare in Europa. Senza distinguere tra profughi e migranti, i fuggitivi sono stati respinti in Libia ben sapendo cosa li aspettava: autentici campi di concentramento, dove regnavano tortura, stupri, fame.

Forse è il motivo per cui fatichiamo, non solo in Italia, ad analizzare questa guerra libica così opaca. A vedere le insidie di un movimento di insorti che non ha esitato, pare, a uccidere prigionieri africani sospettati di lavorare per Gheddafi. Molti libici fuggiranno anche dai successori del colonnello: dai ribelli che stiamo aiutando perché abbattano il Rais. Forse siamo semplicemente alla ricerca di nuovi carcerieri per gli immigrati che respingeremo.

(30 marzo 2011)

Inammissibili gli emendamenti sui talk Masi indica Petruni alla direzione del Tg2


Stop agli emendamenti di Pdl e Lega che avrebbero equiparato le trasmissioni di approfondimento Rai alle tribune politiche, bloccando di fatto i talk-show Rai durante la campagna elettorale per le prossime amministrative. Il presidente della Commissione di vigilanza, Sergio Zavoli, ha dichiarato "inammissibili" le modifiche in tal senso proposte dai rappresentanti della maggioranza. Si tratta di tre emendamenti e due commi di altri due che prevedono di inserire spazi di comunicazione politica nei programmi di approfondimento.

Zavoli ha sottolineato che una equiparazione tra le regole della comunicazione politica e quelle dei programmi di informazione avrebbe "effetti impropri con una pesante incidenza sull'autonomia editoriale, gestionale e operativa dell'azienda". Il presidente cita la legge 28 del 2000 sulla par condicio e anche la sentenza della Corte Costituzionale del 2002, entrambe sulla separazione tra comunicazione politica e informazione.

Dopo la pronuncia di Zavoli, la seduta è stata sospesa su richiesta del Pdl. "La dichiarazione di inammissibilità ci coglie di sorpresa. Non abbiamo intenzione di fare ostruzionismo, ma l'inammissibilità è riecheggiata già due volte negli ultimi tempi, per il regolamento e per l'atto di indirizzo, e non vorremmo che divenisse uno strumento abusato e che tutto ciò che fa la maggioranza non va mai bene", ha detto il capogruppo del Pdl in commissione di vigilanza Rai, Alessio Butti, chiedendo di interrompere la seduta per riunire la maggioranza.

A mobilitarsi contro l'eventuale stop ai talk show si è detta oggi anche la Cgil. "Se le norme non saranno ritirate o dichiarate inammissibili è giusto fin d'ora programmare, come organizzò la Fnsi la volta precedente, una grande manifestazione di fronte a via Teulada", afferma in una nota il segretario confederale
Fulvio Fammoni, il quale ricordando le rilevazioni per febbraio dell'Agcom relative ai tempo di antenna dei soggetti politici istituzionali nei Tg Rai di tutte le edizioni, rimarca come "l'insistenza per imporre emendamenti palesemente illegittimi per bloccare i talk show ha un motivo evidente: il ruolo preponderante del governo nei Tg".

E sulla vicenda degli equilibri è intervenuta l'Agcom: Un vero e proprio "ordine a Tg1, Tg4 e a Studio
Aperto di riequilibrio immediato tra tempo dedicato alla maggioranza e all'opposizione, evitando altresì la sproporzione della presenza del Governo, specie in relazione alla campagna elettorale d'imminente inizio": lo ha deciso oggi a maggioranza il Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, presieduto da Corrado Calabrò, che ha affrontato alcune questioni in materia di pluralismo televisivo. Tra queste anche l'intimazione a Report di assicurare il diritto di replica al ministro dell'Economia
Giulio Tremonti, a conclusione dell'istruttoria avviata nei confronti della trasmissione del programma di Milena Gabanelli del 24 ottobre 2010 in base a un esposto dello stesso ministro. Il Consiglio dell'Agcom "ha ribadito che deve essere assicurato il diritto di replica, già sollecitato in relazione a una precedente puntata per la quale era stato assunto dalla Rai un impegno che non è stato soddisfatto".

Intanto domani il consiglio di amministrazione di Viale Mazzini dovrà affrontare un'importante tornata di nomine, tra le quali spicca in particolare la successione di Mario Orfeo alla direzione del Tg2. La scelta cadrà molto probabilmente su
Susanna Petruni. La nomina della giornalista del Tg1 è stata proposta infatti dal direttore generale Mauro Masi al cda. Masi avrebbe anche indicato Gennaro Sangiuliano vicario al Tg1 con una serie di vicedirettori: Fabio Massimo Rocchi, Filippo Gaudenzi, Fabrizio Ferragni, Claudio Fico. Come vicedirettore della testata diretta da Augusto Minzolini arriverebbe da Sky anche Franco Ferraro. Orfeo ha lasciato la direzione del Tg2 la settimana scorsa in seguito alla nomina a direttore del quotidiano romano Il Messaggero.

Anche il presidente della Rai, Paolo Garimberti, avrebbe espresso le sue perplessità sulla vicenda: "Per la successione alla direzione del Tg2 ho auspicato una soluzione ampiamente condivisa come quella che aveva portato alla scelta di Mario Orfeo. Un metodo che ha dato i suoi frutti e che dovrebbe sempre caratterizzare le decisioni del Servizio Pubblico. Non mi pare che la soluzione individuata vada in questa direzione e anzi mi sembra che anche le altre proposte siano destinate a spaccare il Consiglio. Proprio per evitare questo, mi auguro che possa esserci una ulteriore, necessaria riflessione". "Ricordo anche che - l'ho già detto a inizio mandato - sono contrario in linea di principio e non certo per questioni personali ad assunzioni di vicedirettori dall'esterno. Sono convinto che in Rai vi siano molte professionalità in grado di ricoprire, nello specifico, il ruolo di vicedirettore del Tg1", avrebbe concluso il presidente parlando ai suoi collaboratori.

Le indiscrezioni sulle scelte del direttore generale sono state accolte con una dura presa di posizione dall'Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai. "Con proposta del direttore generale Masi - denuncia in una nota il segretario Carlo Verna - sarebbe pronto un vergognoso blitz spartitorio in Rai in maniera tale che tutti coloro che fanno parte della maggioranza consigliare escano vincitori". "Tra le proposte che riguarderebbero pure la direzione del Tg2 - prosegue Verna - c'è anche la più volte tentata e contestata assunzione dall'esterno. In questo caso l'ex candidato alla direzione di Rainews, diventerebbe uno dei vice di Minzolini con chiamata diretta. E' l'ora di dire basta" e "lo faremo anche manifestando pubblicamente".

Davanti all'eventualità di un'ascesa della berlusconiana Petruni alla direzione del Tg2 protesta anche il Pd. "Qualora le indiscrezioni fossero confermate, saremmo di fronte a un fatto gravissimo. La nomina di Orfeo fu condivisa da tutti e ha garantito equilibrio alla testata, cosa che purtroppo non si può dire del Tg1", lamenta
Matteo Orfini, della segreteria Pd, responsabile Cultura e informazione.

E sulla vicenda è intervenuta anche l'assemblea dei giornalisti del Tg2 : La redazione chiede "la nomina di un direttore di alto profilo e ne auspica con forza la scelta unanime all'interno del Cda, offrendo in questo modo garanzia di pluralismo. La redazione chiede una direzione che conservi e consolidi la credibilità della testata, continuando ad offrire un'informazione libera, completa e pluralista al servizio dei telespettatori".

(30 marzo 2011)

Tg3: "Per indagine 2.165.254 euro" Berlusconi aveva detto 20 milioni


È costata 2.165.254 euro l'indagine sui presunti fondi neri relativi ai diritti di Mediaset nel troncone denominato Mediatrade che vede imputato Silvio Berlusconi. Non sono state utilizzate intercettazioni né ci sono spese a riguardo. È quanto afferma un servizio del Tg3 che ha diffuso alcuni dati relativi alle spese legate al processo. Una cifra molto inferiore a quella dichiarata dal premier, che ieri aveva parlato di 20 milioni di euro come costi delle inchieste a suo carico.

I costi al dettaglio. 2 milioni e 100 mila euro sono stati spesi per la consulenza della società di revisione Kpmg, somma contestata come eccessiva da un imputato, ma ritenuta congrua dal tribunale. 34 mila euro sono stati spesi per le rogatorie con viaggi a Lugano, Budapest, Los Angeles e Dublino dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Con altre spese varie si arriva a circa 2 milioni 165 mila euro.

Il processo riprende il 4 aprile
. Mediatrade attualmente è in udienza preliminare. Si riprenderà lunedì 4 aprile con il pm che illustrerà la richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi e altri 11 imputai tra cui il figlio Piersilvio, Fedele Confalonieri, e Frank Agrama l'uomo d'affari di cui il premier sarebbe stato socio occulto secondo i pm. Il risultato più significativo dell'inchiesta finora sono i 100 milioni di dollari sequestrati ad Agrama in Svizzera.

(30 marzo 2011)

mercoledì 30 marzo 2011

Le promesse di Berlusconi a Lampedusa "Immigrati via in 60 ore e Nobel per la pace"


È arrivato all'aeroporto dell'isola poco dopo le 13:20. Abbigliamento quasi informale (giacca su camicia blu, ma niente cravatta) e una valigia carica di promesse per gli abitanti di Lampedusa, la cui pazienza è messa a dura prova dall'emergenza immigrazione. Davanti al municipio prima, di fronte a una folla attenta e preoccupata, e di fronte alla stampa poi, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha garantito che l''invasione' dei migranti del Nord-Africa sarà risolta in 48, al massimo in 60 ore: "In 48-60 ore - è stato il primo e più politico annuncio del premier- Lampedusa sarà abitata solo dai lampedusani", ha detto tenendo saldamente il microfono in mano e alzando il più possibile la voce. E per farlo ci saranno sei navi - forse sette - che provvederanno allo sfollamento di massa dei migranti, trasferendone 1.400 per volta a Taranto.

Le promesse. Ma quella di liberare l'isola al più presto è solo una delle garanzie di Berlusconi. Subito dopo arriva un altro annuncio: "Chiederemo per l'isola il Nobel per la pace", ha detto il premier che non si è fermato qui. Reduce dal vertice notturno con il ministro Tremonti, il presidente del Consiglio ha comunicato la volontà del governo di concedere a Lampedusa "una 'moratoria fiscale, previdenziale e bancaria' almeno per un anno finalizzata a trasformarla in "zona franca". Perché sul rilancio del turismo che Berlusconi ha sottolineato l'isola dover puntare. Attraverso "servizi in tv pro isola di cui abbiamo incaricato Rai e Mediaset". E ancora: "Lampedusa sarà sede di un casinò", ha detto il premier, che ha anche aggiunto che sarà realizzato un campo da golf, una scuola e infrastrutture sanitarie. E poi l'ultima novità. "Io stesso - ha annunciato - mi ci sono comprato una villa". Ed è proprio così: la notte scorsa, per una cifra "inferiore ai due milioni di euro", il premier ha comperato su internet una villa a Cala Francese. "Ma che emozione sapere di avere come nuovo vicino di casa niente di meno che il presidente del Consiglio Berlusconi. Non ce lo aspettavamo", dicono i proprietari di una villetta a pochi metri da quella acquistata da Berlusconi.

Stop a partenze da Tunisia. "La Tunisia ha confermato che non partiranno più persone", ha assicurato Berlusconi durante la conferenza stampa nel corso della quale ha specificato che ''tra i migranti
tunisini arrivati a Lampedusa ci sono alcuni dei 13.600 evasi dalle carceri''. Ma subito ha chiarito: ''Abbiamo fatto in modo che queste persone non si immettessero nel tessuto sociale, mantenendo presidi che hanno evitato che ciò accadesse''

"Migranti da banchine direttamente a navi". "I migranti che arriveranno sulle banchine del porto di Lampedusa saranno subito imbarcati sulle navi con destinazione Tunisia o altri centri", ha detto il premier, specificando che gli immigrati andranno da Lampedusa in tutta Italia.

Il controllo delle coste. Quanto al controllo delle coste, "abbiamo ottenuto di far controllare i porti e le coste per non consentire nuovi sbarchi e abbiamo attuato anche misure imprenditoriali. Ve ne dico una variopinta: abbiamo comprato pescherecci affinché non possano essere utilizzati per le traversate. Così quando sarò fuori dalla politica li userò io" per mettere in piedi un'attività "per il pesce fresco", ha raccontato.

Il premier e il vezzo di risolvere i problemi. Da oggi tutto cambia per i lampedusani, grazie al fatto che a gestire l'emergenza è il premier in persona. Così Berlusconi ha illustrato i suoi piani alla popolazione: "Il vostro premier - ha detto nel discorso a braccio appena sbarcato sull'isola- ha il vezzo e l'abitudine di risolvere i problemi. Fino a ieri non avevo la soluzione al problema chiara e quindi non mi avevate ancora visto. Poi ho messo a punto un piano, già scattato dalla mezzanotte di ieri. Con Tremonti abbiamo trovato i mezzi per la soluzione del problema. Ed oggi eccomi qui raccontarvelo".

L'operazione 'Lampedusa pulita'.
Berlusconi ha assicurato anche l'avvio dell'operazione 'Lampedusa pulita', affidata al genio civile. "Stiamo ripulendo la collina della vergogna. Ci sono già 140 uomini del genio civile e se ne aggiungeranno altri", ha annunciato. "Suggerisco al sindaco di dotare l'isola di un po' più di colore e di verde", ricordando di aver fatto una cosa simile "in un paese della Lombardia", dove fra poco sara inaugurata l'Università della libertà. "In alcune case - ha detto- mancava l'intonaco o i muri erano scrostati e io ho realizzato una situazione di colori che ricorda Portofino. Mi piacerebbe attuare questo piano colore anche nella vostra isola. Ho notato anche un degrado del verde, mi impegno per un piano del verde e di rimboschimento della vostra isola". Più tardi, in conferenza stampa, il premier ha detto di pensare al porto dell'isola come alla ''perla Lampedusa'' in stile Portofino in modo che non si presenti più ''nel disordine e incuria attuali''.

La barzelletta alle mamme dell'isola. Berlusconi ha incontrato all'interno della base dell'aeronautica dove si è recato in visita, le mamme che in questi giorni hanno protestato animatamente affinché fosse risolta l'emergenza immigrati. Durante l'incontro il premier ha raccontato alle signore una barzelletta: "Durante un'indagine si chiede ad un campione di donne se vogliano fare l'amore con Berlusconi. Il 30% risponde 'Magari...', l'altro 70%, 'Di nuovo?". Poi, ad un'altra signora, il Cavaliere ha recitato una poesia, dedicandola ai suoi occhi.

Bersani: "Il miracolo continua". Idv: "Ancora fantapolitica". Non nasconde l'ironia Pierluigi Bersani, commentando le parole del presidente del Consiglio: "Il miracolo continua...", ha detto il segretario del Pd, che ha aggiunto: "Mi sono stufato di questi show...". "Annuncia di aver comprato casa a Lampedusa, di voler chiedere il conferimento del premio Nobel per la Pace all'isola, di avere un piano pronto per liberare il territorio dai migranti in 48-60 ore. Annunci, i soliti, spettacolari, ridicoli annunci, che, per quel poco di serio che contengono, andranno a finire come quelli fatti per il terremoto dell'Aquila o per i rifiuti di Napoli", ha dichiarato in una nota Antonio Borghesi, vicecapogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera, che definisce il discorso di Berlusconi un ulteriore esempio di fantapolitica.

(30 marzo 2011)

Folla blocca Montecitorio: "Vergogna" lancio di monetine verso La Russa


Dura contestazione in piazza Montecitorio, a pochi metri dall'ingresso della Camera, da parte del Popolo Viola e di simpatizzanti del Pd e dell'Idv, in occasione di un presidio organizzato dal Partito Democratico contro il ddl sul processo breve al grido di "Vergogna, vergogna", "Ladri, ladri", "Mafiosi, mafiosi". I manifestanti sono riusciti anche a superare il transennamento che abitualmente tiene a distanza i manifestanti dall'ingresso del Parlamento.

LE IMMAGINI DELLA PROTESTA 1

Il ministro della Difesa, La Russa, è stato accolto con fischi e insulti ed è stato anche oggetto di un lancio di monetine. La Russa è stato costretto a rientrare nel palazzo e lasciarlo da un'altra uscita. I dimostranti hanno poi duramente contestato anche
Daniela Santanchè. La Russa ha commentato le proteste fuori da Montecitorio: "Sono dei violenti, come è violenta l'opposizione".

Bersani è intervenuto in piazza Montecitorio, parlando da una scaletta messa a disposizione dagli organizzatori della protesta, chiedendo la mobilitazione di tutti "contro il colpo di mano sul processo breve che porterà - ha detto - in libertà i truffatori e i criminali". Il leader del Pd ha stigmatizzato il fatto che "di fronte alla crisi internazionale - politica, economica e militare - l'intero governo era presente stamattina in aula con il solo scopo di far passare la modifica dell'ordine del giorno per avere subito una votazione sul processo breve". Bersani ha attaccato duramente la Lega: "Predicano la moralità e fanno il gioco di Berlusconi e dell'immoralità generalizzata". Il segretario del Pd ha chiesto una mobilitazione continua in difesa della Costituzione. "Dobbiamo diffondere fiducia e speranza che non passeranno questi provvedimenti, compreso quello che blinda le televisioni alla vigilia della campagna elettorale" ha concluso.

Alcuni deputati leghisti tra i quali
Gianluca Buonanno, davanti a Montecitorio, sono diventati il catalizzatore della protesta che del migliaio di persone che assediano il Parlamento. Il deputato Buonanno si è staccato dal gruppetto e nonostante gli insulti si è avvicinato minacciosamente ai manifestanti. Dalla gente è partita una raffica di monetine, qualcuno si è staccato dal gruppo e solo l'intervento delle forze dell'ordine ha evitato la rissa, mentre il resto della folla cantava "Bella ciao".

Intanto, in piazza è cresciuta la presenza dei manifestanti, mentre il cordone di polizia ha liberato l'emiciclo davanti a Montecitorio. Sono oltre 1000 le persone che, al grido di "via i mafiosi dallo Stato" e "l'Italia è nostra e non di Cosa nostra" hanno partecipato alla protesta davanti alla Camera. Molte bandiere dell'Idv, ma anche quelle del Pd. In piazza oltre a
Leoluca Orlando, c'erano anche altri esponenti dell'Idv e del Partito democratico, così come esponenti delle opposizioni extraparlamentari.
Proprio Leoluca Orlando, portavoce dell'Idv, ha chiesto al leader del Pd
Pier Luigi Bersani "un incontro di tutte le opposizioni per valutare l'ipotesi di andare a colloquio dal presidente Napolitano perchè esiste un rischio reale per la democrazia, per via delle leggi sulla giustizia presentate dalla maggioranza".

Dal canto loro, i rappresentanti del "Popolo Viola" hanno proposto l'istituzione di un "camper della legalità" permanente in piazza Montecitorio.

(30 marzo 2011)

Siria, Assad parla al Paese: “Chi vuole la guerra, l’avrà”. La rabbia dei cittadini


Il presidente siriano parla in diretta tv: "Stiamo affrontando dei complotti contro il nostro paese". Nessun cenno al gesto più atteso: la revoca di quella legge d'emergenza che dal '63 tiene il paese sotto il tallone di ferro del controllo militare. Su Facebook e Twitter grande delusione: "E' l'ennesimo discorso di un dittatore"

“Non accettiamo interferenze estere sulle nostre terre. Chi vuole la guerra dalla Siria, l’avrà”. Il presidente siriano, Bashar al-Assad finalmente pronuncia il tanto atteso discorso alla nazione nel corso di una riunione del parlamento di Damasco e trasmesso in diretta tv. “Stiamo affrontando dei complotti contro il nostro paese ma li supereremo, un grande complotto non solo esterno ma anche interno. Ma non tutti coloro che sono scesi nelle strade ne sono parte”, attacca. Il presidente declina ogni responsabilità per le violente repressioni delle manifestazioni di protesta a Daraa, che avrebbero fatto almeno 150 morti secondo l’opposizione. Dà la colpa ai media panarabi, senza citare Al Jazeera, e minaccia chi ventila improbabili interventi in stile libico: “Chi vuole la guerra, l’avrà”. La “carota” delle riforme viene offerta a metà, nessun cenno al gesto più atteso la revoca di quella legge d’emergenza che dal ’63 tiene il paese sotto il tallone di ferro del controllo militare.

“Speriamo che i fatti recenti accaduti nei paesi arabi possano dare maggiore sostegno alla causa palestinese. Sul fronte interno la struttura del paese sta crescendo. Dobbiamo ritornare a lavorare in modo strutturato per dare maggiore stabilità alla Siria. Abbiamo assistito a quanto accade nel mondo arabo – afferma Assad – noi non siamo isolati dal mondo arabo ma siamo diversi da altri paesi. “.

Per placare le proteste, Assad tenta la carta della riforma o almeno delle promesse. “Ha ragione chi pretende il cambiamento subito, noi siamo in ritardo ma cominceremo da oggi. E’ dovere dei governi ascoltare le rivendicazioni del proprio popolo”. Le riforme, promette il presidente, “cominceranno da oggi” anche se “abbiamo lavorato seguendo alcune priorità, la legge sui partiti e quella sullo stato d’emergenza erano già allo studio del parlamento”. “Stavamo già lavorando alle riforme – aggiunge – ma seguendo un metodo, perché le riforme non sono una campagna stagionale”. Assad ribadisce che lo Stato “non può sostenere il caos dei giorni scorsi” e che la situazione nel paese “è tornata alla normalità”.

“La regione di Daraa è nel cuore di tutti i siriani, la gente non ha alcune responsabilità per quello che è successo. Ho dato chiare disposizioni per non ferire alcun cittadino. Mi dispiace per le vittime, e mi
sento triste per loro, indagheremo sugli eventi che hanno provocato la morte dei nostri concittadini. Chi ha sbagliato pagherà”, sottolinea Assad dicendo che i video amatoriali degli scontri “sono tutti falsi”. “Le Tv panarabe, messaggi via sms, da settimane fomentano la sedizione”, aggiunge. Durissimo l’attacco, anche se non esplicito, ad Al Jazeera: “Parte della colpa è di chi su Internet e in tv ha falsificato le notizie. Le divisioni sono iniziate settimane fa attraverso i canali satellitari”.

“Neanche una scusa per la strage di Daraa, neanche una promessa concreta di riforme”. In un caffè di Damasco, un giovane siriano che ha appena ascoltato in tv il discorso pronunciato dal presidente Bashar al-Assad, il primo dall’esplodere delle proteste nel paese, racconta così il suo stato d’animo al corrispondente del Guardian. La delusione è palpabile dalla capitale fino a Daraa, e il ritorno dei manifestanti in piazza si fa un’ipotesi sempre più concreta. “Questa è la fine della Siria – continua il giovane – Questo atteggiamento riesce solo a irritarci di più, avrebbe almeno dovuto scusarsi per tutti quei morti”. E’ a Daraa, nel sud, che le manifestazioni per la democrazia hanno raggiunto un picco di violenza, in seguito alla dura repressione delle forze di sicurezza. “Il discorso è stato privo di senso e ha solo dato alle forze di sicurezza il via libera per continuare la loro oppressione del popolo”, commenta un abitante di Daraa alla testata britannica.

Assad ha promesso l’avvio di un processo di riforma e un aumento degli stipendi, ma non c’è stato il tanto atteso annuncio sull’abrogazione immediata delle leggi sullo stato d’emergenza, in vigore nel paese dal 1963. “Assad sa solo usare lo spauracchio del settarismo per incitare i siriani a odiarsi a vicenda”, aggiunge l’abitante di Daraa. Tra gli stessi iscritti al partito Baath del presidente, serpeggia la delusione. “Tanti baathisti questa mattina si felicitavano per l’imminente rimozione dello stato d’emergenza – racconta un imprenditore cristiano – Ma ora si presentano al popolo a mani vuote”.

Secondo un analista locale, a spingere Assad a concedere così poco al suo popolo – che pure nutriva grandi aspettative sul discorso di oggi, dopo che ieri il governo ha dato le dimissioni – sono state le dichiarazioni di sostegno arrivate da tanti paesi vicini. “Questo gli ha permesso di fare pochissime concessioni – ha detto l’analista a condizione di anonimato – Le riforme sono state citate nel quadro di un piano che è già in corso d’opera. In questo modo Assad ha affermato che non sta reagendo al malcontento del popolo, sottintendendo che questo malcontento non c’è”. Per gli attivisti, le scarse promesse di Assad non fanno altro che alimentare il fuoco delle proteste, che potrebbero riesplodere presto. “Assad deve andarsene, non c’è altra soluzione”, scrive uno degli iscritti alla pagina Facebook ‘Syrian Uprising 2011′. E su Twitter rimbalza il messaggio: “Assad non ha detto nulla, assolutamente nulla. Questo è solo l’ennesimo discorso di un dittatore arabo”.

LA NOTTE DELLA VIGILANZA


Le ore più difficili per Sergio Zavoli: “Non ho voce, ora non posso esprimermi”

di Luca Telese

Curiosamente è una “notte” anche questa. Non quella della Repubblica, che Sergio Zavoli raccontò splendidamente da giornalista del servizio pubblico, dipanando il filo della memoria degli anni di piombo. Ma “la notte della commissione di Vigilanza”, di cui Sergio Zavoli si trova a celebrare il rito, tutto compreso (e forse persino prigioniero) nel suo ruolo di presidente e garante. Un presidente che ci tiene ad apparire super partes, ma che finisce per ritrovarsi costretto dalla maggioranza a vagliare, una dopo l’altra, proposte sempre più liberticide.

Non esordì splendidamente a dire il vero. Appena insediato, nel 2009, spese le prime parole contro Michele Santoro: “Deve dar voce - disse - a istanze diverse. So che lui al dibattito vero e proprio, con la sua preminente ritualità preferisce l'inchiesta costruita sui servizi degli inviati e le testimonianze raccolte sui set qua e là allestiti” (su Vespa non disse nulla).

All’inizio di marzo, poi, il centro-destra ha fatto un primo test censorio, con la meravigliosa proposta formulata del capogruppo del Pdl Alessio Butti: quella di impedire con una direttiva di trattare lo stesso argomento in due talk-show diversi nella stessa settimana. E, contemporaneamente, con la formidabile trovata delle “targhe alterne”. Quella secondo cui i conduttori avrebbero dovuto sospendere il loro programma una settimana sì e l’altra no, per consentire l’alternanza di un giornalista di segno contrario (in pratica si toglie una puntata su due a Ballarò, ad Annozero, a Presa diretta, In mezz’ora e a Report). In quelle ore Butti celebrava l’imparzialità dell’ex presidente della Rai cercando di trascinarlo (senza ricevere smentite) a favore delle sue tesi: “C’è una personalità del calibro di Zavoli, che mi dà atto di aver fatto di tutto per venire incontro alle opposizioni”.

Questo tentativo è stato solo congelato, e pesa tuttora come una spada di Damocle: dovrà essere discusso dopo la par condicio. E non si è ancora capito perché il presidente di Vigilanza abbia sentito il bisogno di mettere all’ordine del giorno un atto di indirizzo che manca dal 2003, e di cui - in queste condizioni - non si sente un impellente bisogno. La vicenda della par condicio è davvero incredibile. È stato lo stesso presidente della Vigilanza, infatti, a preannunciare il nuovo emendamento della maggioranza quando ancora non era stato presentato, due giorni fa, all’uscita dalla direzione del Pd: “È possibile - disse lasciando di sasso i giornalisti - che anche quest’anno i talk-show vengano oscurati. Vediamo cosa farà la maggioranza”.

SE VOLEVA essere un severo monito, non si è capito. Infatti poche ore dopo la maggioranza ha pensato bene di stendere l’emendamento in questione. Così Butti e la Lega ci riprovano, predisponendo un bavaglio che è l’esatta copia di quello che fu sperimentato un anno fa, applicato per ben quattro settimane, e poi disinnescato solo da una provvidenziale sentenza del Tar. Questa volta la discussione in Vigilanza è stata divisa in due interventi, come una partita di calcio. Il secondo tempo comincia alle nove e mezza di sera, una raffica di interventi e il proposito risoluto del dipietrista Pancho Pardi: “Se cercano di farci votare faremo le barricate, faremo ostruzionismo”. È quasi un piccolo dramma quello che si è celebrato nelle belle stanze di San Macuto, fra le mura che custodiscono la biblioteca della Camera e le sedute della Commissione che dovrebbe garantire la libertà di informazione nella Rai, e che invece è diventato il campo di battaglia degli azzeccagarbugli berlusconiani.

Per capire cosa farà, cerco Zavoli in tarda serata al Senato. Il vecchio leone si trincera dietro un muro di silenzio. L’inconfondibile timbro roco e cantilenante, che gli italiani hanno imparato a conoscere in una vita di televisione è molto più flebile e farinosa del solito: “Non ho voce. Non riesco a parlare, e se anche mi riuscisse bene, non lo farei. Non posso esprimermi”. Non è un caso. In queste ore, Zavoli si sente incatenato al suo ruolo di cerimoniere delle regole, così prigioniero della sua funzione da non poter nemmeno anticipare se l’emendamento ammazza talk-show gli piaccia o meno: “Sarebbe assurdo se mi pronunciassi ora: sia cortese, cerchi di capirlo”.

ED È SICURAMENTE una prudenza dettata dal desiderio di imparzialità, la sua, che però - in ore come queste - assume un sapore quasi ottocentesco. Come se Zavoli pensasse di trovarsi alla Cameradeilord,adiscettaredicavilli regolamentari, e non come il garante della libertà dentro la Rai, nel momento in cui - per la seconda volta - gli uomini del centrodestra chiedono di mettere la sordina ai programmi di informazione usando la par condicio come un grimaldello. “Domani parlerò”, dice. E domani è oggi. Speriamo che nella sua nuova notte, Zavoli accolga la richiesta di inammissibiltà dell’emendamento, visto che il Tar lo ha già bocciato una volta. Dovrebbero essere, anche queste, regole da garantire.

LA MAFIA LO CONOSCE BENE


Di Randazzo, braccio destro del ministro Romano, parla il pentito Campanella: aiutava l’uomo di Provenzano

di Marco Lillo

Il braccio destro del ministro dell'agricoltura Francesco Saverio Romano e il braccio destro del numero uno della mafia Bernardo Provenzano si conoscono bene. Si sarebbero incontrati più volte a Roma e addirittura il primo avrebbe dato una mano al secondo nei suoi affari. Lo racconta il pentito Francesco Campanella in tre verbali (2005-2006) alle Procure di Palermo, Roma e Catanzaro.

Il braccio destro del boss si chiama Nicola Mandalà. E' stato arrestato nel gennaio 2005 perché era l'uomo più fidato di Bernardo Provenzano, quello che ha accompagnato il capo corleonese a operarsi a Marsiglia nell'estate 2003. A fornire la carta di identità falsa con il nome del boss per il viaggio era stato il suo amico Campanella, già presidente dei giovani del partito di Clemente Mastella nonché presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udc, nonché gestore degli affari nel bingo e nelle scommesse del boss. Quando Mandalà finisce in prigione, Campanella si pente e racconta tutto quel che sa su mafia e politica. Anche su Giovanni Randazzo, da pochi giorni nominato capo della segreteria tecnica del ministro Saverio Romano.

Proprio a seguito dei verbali di Campanella, Randazzo è stato indagato a lungo per corruzione e altri reati a Roma. Campanella aveva raccontato che Randazzo aveva messo in piedi un sistema per frodare fondi alla UE e all'Onu e che in quell'affare aveva coinvolto lo stesso Campanella. Ancora oggi l'Olaf, l'Antifrode europea sta indagando su quella vicenda di presunti sperperi, ma sotto il profilo penale in Italia le dichiarazioni dell'ex amico di Randazzo non hanno trovato sufficienti riscontri. Così il pm Angelantonio Racanelli ha chiesto e ottenuto la sua archiviazione. Randazzo è un incensurato quindi, ma i verbali di Campanella meritano comunque una rilettura dopo la nomina. Ecco quel che Campanella ha detto ai pm di Palermo il 15 dicembre 2005:

Io Giovanni Randazzo lo conosco da tempo è un ragazzo con il quale militavamo insieme nel movimento giovanile della DC .... fino a quando non scopro un giorno per coincidenza che tutti e due siamo massoni, è capitato, e quindi ci riconosciamo anche in questo ulteriore elemento comune. In quegli anni Randazzo non se la passava bene: mi ricordo che Giovanni cresceva però stentava un po' e si vedeva che non è che aveva un tenore di vita elevato. Continuava a vivere dalla nonna. Insomma, ogni tanto capitava anche di andare a cena in qualche ristorante di quelli particolarmente esosi e a me capitava di pagare il conto perché capivo che non ce la faceva. Poi me lo ritrovo invece con ufficio e casa con palazzo a Largo Chigi, macchina, telefonini, vestiti. Doveva essere se non sbaglio il 2001. Randazzo spiega l'improvvisa fortuna con le sue entrature politiche nell'Udc e in particolare con Lorenzo Cesa, per il quale curerà poi la campagna elettorale europea del 2004. Il vecchio amico sfigato cerca di ricambiare i vecchi pranzi dei tempi difficili: Giovanni mi dice: sono a cavallo adesso. Ho una serie di commesse ti farò vedere .... lui mi disse che in Sicilia io adesso diventavo il suo punto di riferimento, c'era lavoro per tutti, dobbiamo fare un sacco di affari". Giovanni mi dice: vi riconosco massoni, vi riconosco fratelli, però io il rapporto ce l'ho con te. Io voglio aiutare te, poi tu vedi un attimo come regolarti con gli altri. Così noi facciamo un accordo tra le due società: la Sinergia (Campanella Ndr) e la G&B Srl (Randazzo Ndr) che era quello il legame operativo addirittura interscambiandoci il know-how, le sedi operative. Noi avevamo un ufficio a Palermo e loro a Roma. Ci scambiamo anche nelle carte intestate, nelle targhe.

Il rapporto non viene incrinato nemmeno quando Campanella è indagato per i rapporti coi boss. Il 25 gennaio del 2005, continua il suo racconto Francesco Campanella, ci fu la perquisizione nei miei confronti (nell'ambito dell'indagine su Nicola Mandalà e gli altri fiancheggiatori di Bernardo Provenzano Ndr) e io mi pongo il problema di andare a Roma a incontrare Giovanni e spiegargli quello che avviene anche perché per telefono non era il meccanismo migliore. Andai a Roma si mattina presto a casa di Randazzo a Largo Chigi e raccontai a Giovanni della perquisizione, dell'avviso di garanzia e di tutta la vicenda. Giovanni conosceva la mia frequentazione con Nicola Mandalà che più volte ebbi modo di presentargli a Roma perché capitava che in questi miei viaggi a Roma io venivo con Mandalà perché ci occupavamo nel frattempo delle vicende del Bingo. Mi ricordo che l'ultima volta che siamo venuti era perché ci avevano revocato la concessione ippica e quindi venivamo a capire cosa c'era da fare dal punto di vista amministrativo e mi ricordo che con Nicola andai subito in questo ufficio di Largo Chigi che io utilizzavo come mia sede e c'era Giovanni Randazzo che già conosceva Mandalà da un paio di anni, sapeva chi era Mandalà anche come spessore criminale mafioso, perché nell'ultimo anno abbiamo avuto modo di parlarne. Tant'è vero che lui mi diceva: 'Nicola come è messo? Come vanno le cose? Si informava di questi fatti perché conosceva bene Mandalà e l'abbiamo visto 2,3,4 volte quando ci siamo trovati a venire a Roma. Mi ricordo che in questo ultimo incontro Giovanni si interessò per questo mio problema che avevo con il punto Snai ippica e mi mandò, sempre per il suo canale Udc politico, da un alto funzionario dell'Unire. Telefonicamente mi fissò questo appuntamento dove io mi recai col Mandalà per andare a capire se c'era la possibilità di salvare questa concessione che ci veniva revocata per un problema amministrativo di ritardato pagamento... Feci una giornata molto frenetica col Mandalà. Andammo da Randazzo; Randazzo chiamò questo dell'Unire che ci fissò il pomeriggio stesso l'appuntamento e poi mi recai col Mandalà all'Unire”.

Pm: “E la reazione di Randazzo (dopo la perquisizione Ndr)?”. Campanella: “Randazzo conosceva tutta la vicenda. Quindi anche i miei rapporti con Mandalà. Prende atto di questa situazione e rimane molto dispiaciuto. Al che io gli faccio 'forse sarebbe il caso che noi evitas simo di vederci. Cioè io lo metto co sciente di questa vicenda perché lui Mandalà lo conosceva, l'aveva ricevuto e sapeva anche del suo spessore criminale e mi ricordo che abbiamo avuto anche modo di chiacchierare dell'omicidio Geraci (il costruttore ucciso da Nicola Mandalà nell'ottobre del 2004 Ndr) che era di Altavilla Milicia e Randazzo lo conosceva perchè di Altavilla Milicia . In quel contesto Randazzo mi dimostrò molta solidarietà. Mi disse: mi puoi chiamare quando vuoi, se hai bisogno di soldi, qualsiasi cosa, sono a disposizione”.

Vada lui fuori dalle balle


di Antonio Padellaro

Spesso si dimentica che Umberto Bossi è un ministro della Repubblica italiana. Un ministro delle Riforme che, di fronte all’inferno dei profughi ammassati a Lampedusa, dice “fuori dalle balle” che razza di ministro è?

E che razza di uomo è uno che pronuncia quelle parole su persone “costrette a dormire vicino alle loro feci, avvolte in coperte bagnate e teli di plastica” e a “bambini ospitati dietro il filo spinato” (Enrico Fierro sul Fatto di domenica)?

Hai attraversato il mare sopra un barcone sfondato? Fuori dalle balle.

Il bambino che stavi per partorire muore? Fuori dalle balle.

Non c’è abbastanza da mangiare per tutti? Fuori dalle balle.

C’è il rischio di malattie? Fuori dalle balle.

Quali colpe storiche sta scontando il nostro Paese per dover subire l’onta di un ministro del genere? Qualcuno dice che non è giusto prendersela con un uomo che ha subìto un ictus, che forse non ci sta del tutto con la testa. Non è così. Bossi è un furbacchione che è riuscito a trasformare i suoni gutturali delle osterie lombarde in un’ideologia politica. L’ideologia del “fuori dalle balle”.

Soltanto l’infinito cinismo di Berlusconi poteva portare al governo gente simile.

Soltanto l’infinita viltà può suggerire a qualcuno dell’opposizione (vedi Pd) di avviare, ancora in questi giorni, un “dialogo” con simili figuri.

E soltanto l’infinita fiducia che abbiamo nelle istituzioni ci fa sognare il presidente Napolitano che dice a Bossi: fuori dalle balle.

FUORI DALLE PALLE!

24+6=25


di Marco Travaglio

Immaginiamo che accadrebbe se uno dei profughi che sbarcano a Lampedusa, appena toccato il suolo italiano, andasse incontro alle telecamere e dichiarasse: “Sono l’uomo più imputato della storia dell’universo, ho avuto 2.565 udienze in tribunale e più di mille magistrati si sono già occupati di me”. Verrebbe respinto all’istante in mare come delinquente incallito, o circondato e preso in consegna dalle forze dell’ordine, condotto in cella di isolamento di un carcere di massima sicurezza, guardato a vista giorno e notte da corpi speciali, teste di cuoio e lagunari paracadutati sul posto per l’occasione.

Ma si dà il caso che quella frase sia stata pronunciata a Canale 5, in collegamento telefonico con Belpietro, dal presidente del Consiglio, che da anni sbandiera ai quattro venti i suoi processi con lo stesso orgoglio con cui rivendica i trofei del Milan. Tanto, controllando militarmente l’informazione, sa che quel palmarès da far impallidire Al Capone verrà letto come una prova non della sua predisposizione a delinquere, ma della persecuzione giudiziaria ai suoi danni.

Anzi per dimostrare di essere tanto perseguitato, vanta tanti processi, molti più di quelli reali. Il guaio è che, complice l’arteriosclerosi, non ricorda mai quanti ne ha inventati la volta precedente. E non riesce più a coordinare le balle che racconta.

Per anni ha sostenuto di aver subìto “oltre 100 processi”: l’altroieri – bontà sua – è sceso a “25, di cui 24 conclusi con la mia assoluzione o archiviazione: me ne restano 6”. Ora, se gliene restano 6 e 24 si sono chiusi, il totale è 30, non 25. Ma Belpietro non ha mosso obiezioni. In ogni caso il totale vero è 21. Che, negli ambienti criminali che contano, è un bel numero. Ma ben lontano dal Guinness dell’“uomo più imputato della storia dell’universo”.

Di Pietro, Davigo e Borrelli, quand’erano pm a Milano, subirono a Brescia rispettivamente 54, 36 e 317 procedimenti penali: tutti finiti, quelli sì, in archiviazione o in proscioglimento. Per il semplice motivo che i tre erano innocenti.

Diverso il caso di B., che ha un rapporto problematico con l’aritmetica (improbabile che “più di mille magistrati” si siano occupati di lui, visto che quelli penali sono meno di 6 mila sparsi in tutta Italia, mentre lui è stato indagato solo a Milano, Roma, Napoli e Palermo). E pure col diritto, visto che pur essendo laureato in Legge confonde assoluzioni e archiviazioni con amnistie e prescrizioni.

Dei 21 procedimenti avviati contro di lui, senza contare inchiestine minori nate da denunce sparse, 5 sono in corso (processi Mediatrade, Mediaset, Mills, Ruby, più l’inchiesta a Firenze sulle stragi del '93) e gli altri 16 si sono chiusi: 4 con l’archiviazione a Roma (caso Saccà, compravendita dei senatori, caso Sanjust, abuso di voli di Stato); 3 con l’assoluzione (per insufficienza di prove sulle tangenti alla Guardia di Finanza e per i fondi neri di Medusa; con formula ampia per l’affare Sme); le altre 9 volte si è accertato che era colpevole, ma l’ha fatta franca. In 2 casi per l’amnistia del 1990 (falsa testimonianza sulla P2 e un falso in bilancio sui terreni di Macherio). In altri 2 per la prescrizione abbreviata dalle attenuanti generiche, notoriamente riservate ai colpevoli (corruzione del giudice del caso Mondadori e fondi neri per 23 miliardi di lire a Craxi). In altri 2 perché lui stesso ha depenalizzato il suo reato (falso in bilancio, processi All Iberian e Sme-Ariosto). In altri 3 perché, con la stessa controriforma del falso in bilancio, ha ridotto le pene e dimezzato i termini di prescrizione (caso Lentini-Milan; falsi contabili Fininvest per gli esercizi 1988-'92; fondi neri Fininvest per 1.500 miliardi di lire su 64 società offshore).

Cioè: senza la legge sul falso in bilancio e la ex Cirielli che hanno abolito o prescritto i suoi reati, e senza il lodo Alfano, il lodo Schifani e il legittimo impedimento che hanno sospeso gli altri per anni, oggi B. sarebbe in galera. E potrebbe finalmente coronare il suo sogno: il record mondiale del premier più condannato della storia dell’universo. Sono soddisfazioni.

Clandestini globali


GIANFRANCO PELLIZZETTI

La parola “clandestino” rimbalza freneticamente nel dibattito pubblico italiano, in bilico tra l’aspirazione di cancellarne la presenza in quanto non-persona e l’oscuro senso di minaccia incombente di un altro-da-sé ignoto; automaticamente collegato all’illegalità, alla criminalità. Il clandestino – in senso stretto “chi viaggia senza documenti” – è il tormentone della nostra società sempre più accartocciata su se stessa e anche il segno della sua cattiva coscienza. Quella cattiva coscienza per cui l’unico problema è quello di respingere l’arrivo del migrante, con le buone o le cattive: con la carota di una mancia alla disperazione (2 mila euro) o il bastone dell’uso della forza. In un mondo che si vuole globale, dove le merci e i capitali circolano senza frontiere, si intensificano controlli alla frontiera per immigrati e rifugiati.

Non è sempre stato così. Agli albori dell’età moderna avveniva esattamente l’opposto: era l’espatrio a essere considerato reato e in Francia Colbert lo puniva con la pena di morte, mentre l’Inghilterra ne regolamentava i flussi in chiave restrittiva. Viceversa, almeno a partire dalla fine delle guerre di religione, i governi si ingegnavano per attirare gli arrivi dall’esterno di donne e uomini in fuga dalla madre patria. Nel 1685 Federico Guglielmo favorisce l’insediamento in Prussia degli ugonotti cacciati dalla Francia, dopo la revoca dell’Editto di Nantes. Nello stesso tempo Ginevra incentiva l’arrivo di orologiai francesi, all’origine di una specializzazione di territorio che si è conservata fino ai nostri giorni (nel 1515, quando si guastò l’orologio della chiesa di Saint Pierre, nella città lemana non c’era un solo artigiano capace di ripararlo; verso il 1600 funzionavano già trenta botteghe di orologeria). Persino la Russia di Pietro e Caterina incentivava l’insediamento di migranti con agevolazioni per l’acquisto di terre. Insomma, l’immigrazione era considerata un vantaggio, una formidabile risorsa per lo sviluppo.

Oggi si pensa il contrario. Al di là delle pur prevalenti considerazioni d’ordine umanitario, la tesi che qui si vuole sostenere è la mutata percezione del valore rappresentato dall’immigrazione; ciò che apporta e quanto – invece – sottrae. Appunto, il valore economico. Forse la spiegazione ce la fornisce una battuta di Hans Magnus Enzensberger: “Dove il conto in banca è a posto, l’odio per gli stranieri svanisce come per miracolo”.

Eppure – parlando di casa nostra – senza gli immigrati (sovente “clandestini”) in Italia si fermerebbero interi settori produttivi. Per citarne i meno noti, come la vetroresina, in cui la prevalente manovalanza specializzata è senegalese, o il restauro urbano, le cui antiche tradizioni locali sono ormai praticate esclusivamente da maestri artigiani maghrebini. L’assistenza agli anziani viene assicurata da badanti spesso provenienti dall’Ecuador, in una sorta di surrogazione del welfare pubblico con il fai-da-te casereccio. Tutto questo non ha valore? Dipende dai criteri adottati. Se il problema è la creazione di nuova ricchezza, il fattore umano diventa prezioso e determinante. Ma se prevale la difesa della rendita, allora l’irruzione di flussi umani esterni si trasforma in una pericolosa turbativa.

In effetti le nostre società sono diventate sempre più vecchie e impaurite, egoiste e statiche. Per questo hanno successo politiche basate sulla diffusione del panico, affiancate alla generica promessa di soluzioni che blindino l’esistente. Una immunizzazione psichica che aggrava il problema. Ma il problema è insito nella psicologia collettiva sclerotizzata della società. Cui farebbe bene importare forze giovani, magari i ragazzi e le ragazze internet-alfabetizzati dell’altra sponda del Mediterraneo. Quei giovani egiziani e tunisini che hanno osato ribellarsi contro l’oscurantismo e l’oppressione di regimi decrepiti. Il migliore antidoto contro il fondamentalismo, compreso quello delle comunità chiuse a difesa del proprio precario benessere.

Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2011

MATTEO HA LA BUA

Caso Ruby, Fini: “L’Aula deve pronunciarsi su conflitto attribuzione”


Sarà l’assemblea della Camera dei deputati a deliberare direttamente sulla richiesta, avanzata dai capigruppo della maggioranza di elevare conflitto di attribuzione sul caso Ruby. Il voto in aula è stato fissato per il prossimo cinque aprile alle 15 e 30.

Si è concluso infatti con un voto di parità l’ufficio di presidenza convocato da Gianfranco Fini. Il presidente della Camera ha deciso di non partecipare alla votazione ed i numeri dei componenti di maggioranza e di opposizione sono diventati 9 a 9 per l’assenza di Angelo Lombardo dell’Mpa, che avrebbe portato a 10 gli esponenti dell’opposizione. Se ci fosse stata l’approvazione a maggioranza dell’ufficio di presidenza, su questa si sarebbe dovuta in ogni caso pronunciare l’aula.

Se invece fosse prevalso nello stesso organismo un orientamento contrario e fosse passata la decisione di non sollevare il conflitto in questione, il quesito che sarebbe stato posto ai deputati sarebbe stato rovesciato: “Volete non elevare conflitto di attribuzione?”.

Al di là della procedura, in ogni caso il presidente della Camera aveva già espresso il suo parere: ”Quali che siano le conclusioni cui perverrà l’Ufficio di Presidenza, l’Assemblea deve essere comunque chiamata a pronunciarsi sulla questione secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo”.

Quale che sia il risultato in aula – e appare scontato il sì alla sollevazione del conflitto di attribuzione – il processo a carico del premier Silvio Berlusconi non si fermerà. Qualora, infatti, la Camera ritenesse di sollevare il conflitto di fronte alla Consulta, ritenendo il reato di concussione contestato al premier (che è accusato anche di prostituzione minorile) di competenza ministeriale, la Corte dovrebbe prima esprimersi sull’ammissibilità del conflitto. E solo qualora il quesito fosse ammesso la Corte entrerebbe nel merito della decisione.

Lampedusa, le promesse di B. Dal piano colore al Premio Nobel


Il premier sull'isola: "Via gli immigrati entro 48-60 ore, chiuderemo il centro di accoglienza". Arrivate le prime due navi. Nelle ultime 24 ore non si sono registrati sbarchi per il cattivo tempo. Iniziate le trattative con la Tunisia per rimpatriare almeno mille persone

“In 48-60 ore Lampedusa sarà abitata solo dai lampedusani”. Così il premier Silvio Berlusconi esordisce parlando ai cittadini riuniti davanti al municipio dell’isola. “Chiuderemo anche il centro di accoglienza”, promette. Insomma, Berlusconi sfodera il suo miglior sorriso per vendere i soliti sogni agli elettori: via tutti gli immigrati (stessa promessa fatta ai napoletani con la spazzatura), zone libere dalla burocrazia, moratoria finanziaria, fino alla candidatura dell’Isola a “premio Nobel per la Pace”.




In dieci minuti Berlusconi incanta la folla che lo incita: ‘Silvio, Silvio’”. “Ho il vezzo e l’abitudine di risolvere i problemi – aggiunge Berlusconi – e fino a ieri sera non avevo una soluzione chiara. Ora dopo consultazioni con diversi ministri e con le autorità delle Tunisia abbiamo un piano che vengo a raccontarvi e che è scattato ieri a mezzanotte. Non solo, perché Berlusconi annuncia di aver acquistato casa a Lampedusa nella notte “via internet” e prospetta un “piano colore da attivare anche a Lampedusa”. Insomma, per intenderci “vorrei che l’isola avesse i colori di Portofino“. “Venendo qui – aggiunge – ho visto un degrado significativo muri scrostati e niente verde, al contrario nella verdissima isola qui accanto, Linosa”. “Un piano colore – continua Berlusconi – l’ho già realizzato in un paese della Lombardia e per Lampedusa propongo lo stesso modello, arredando le strade con adeguata illuminazione e con ciottolo. E’ necessario anche un piano di rimboschimento”. E ancora sugli immigrati: “E’ un piano di liberazione dell’isola dai migranti. Ci sono 6 navi, e si tratta per una settima, con una capienza di 10 mila passeggeri”.

Nessuna spiegazione su dove andranno le due navi, arrivate questa mattina per caricare gli immigrati: “Lei sa giocare a scopa?”, chiede Berlusconi a un cittadino che vuole capire la destinazione delle navi: “Quando saprà giocare a scopa,le spiegherò delle navi”. Una frase incomprensibile che spiega una cosa: nemmeno il premier sa esattamente dove saranno portati i migliaia di migranti arrivati in questi giorni a Lampedusa. L’unico cartello fuori dal coro – “Berlusconi fora dai ball” – viene fatto togliere prima che il presidente del consiglio arrivi in municipio.

Intanto l’Europa risponde alle accuse di Roberto Maroni che ieri aveva dichiarato al Tg5: “L’Europa ci aiuta zero virgola zero, là pensano ‘E’ un problema vostro, arrangiatevi”. Questa la reazione dell’Unione europea: ”Sono stati messi adisposizione dell’Italia circa 18 milioni di euronel 2010-2011 per i rimpatri degli immigrati, oltre ai 25 milioni di euro stanziati per tutti gli Stati membri per misure di emergenza.

Annunciate nei giorni scorsi, le prime due navi (in totale il piano ne prevede sei) sono effettivamente arrivate a Lampedusa. Obiettivo dichiarato: prelevare i profughi e portarli nelle strutture allestite in queste giorni dall’Unità di crisi del Viminale. La nave San Marco della Marina militare è giunta in rada intorno alle 6, mentre per agevolare l’avvicinamento della “Catania” della Grimaldi sono in azione le motovedette della guardia costiera; la nave passeggeri ormeggerà aCala Pisana. Secondo quanto si apprende da fonti ufficiali, altre tre navi passeggeri dovrebbero arrivare a Lampedusa entro il primo pomeriggio. Entro stasera è previsto l’arrivo della quinta nave.

Rimpatri verso la Tunisia
Quella
di oggi è una giornata decisiva. Da un lato con l’arrivo delle navi. Dall’altro con la partita si gioca a Roma con la convocazione di un Consiglio dei ministri straordinario e la conferenza tra Stato e regioni. Il tutto serve per mettere a punto la strategia dell’emergenza. La tensione però resta alta. Sfumata, al momento, l’ipotesi, ventilata da Maroni, di rimpatri forzosi, resta in piedi il progetto di inviare, almeno una nave, verso Tunisi con a bordo mille persone. Un numero che non sarebbe contemplato dal trattato tra Italia e Tunisia. Il protocollo, infatti, prevede rimpatri giornalieri di non più di quattro persone. Il Viminale, però, ha fatto sapere che la situazione attuale non rientra nella normalità.

La politica della dispersione
Sul fronte diplomatico, Silvio Berlusconi ha dato incarico all’imprenditore tunisino Tarak ben Ammar di intavolare trattative con il governo tunisino. Nel frattempo, il ruolino della crisi prevede di trasferire quante più persone possibili nelle tendopoli allestite in queste ore e che a breve dovranno diventare 13. Ed è questo uno dei temi più caldi. L’indicazione che arriva dal Viminale è quello che queste struttura abbiano la caratteristiche della “precarietà”. Un modo per rassicurare le comunità locali che le tendopoli non si trasformeranno in prigioni o campi stanziali. Non a caso, l’unità di crisi ancora deve decidere in che modo definire queste strutture: Cie (centri di identificazione ed espulsione), Cpa (Centri di prima accoglienza), o Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo). Questa la politica del ministero dell’Interno che adotta anche il metodo della dispersione. In sostanza, si tengono le maglie larghe. Degli oltre 3mila profughi sbarcati negli ultimi 40 giorni, moltissimi hanno già preso la strada verso Francia e Germania. In questo senso, la chiave di lettura è duplice: da un lato una situazione del genere consiglia ad avere manica larga sui flusso, dall’altro però il progetto è politico. La fuoriuscita di immigrati dai campi, infatti, ingrossa le frontiera di Francia e Germania. E questo suona come un segnale che l’Italia invia all’Europa affinché l’Unione adotti procedure a livello internazionale.

Niente sbarchi
Momenti di tensione questa mattina per un allarme, rivelatosi poi infondato, sulla presenza di esplosivo su un barcone di immigrati. L’imbarcazione è stata immediatamente controllata dagli artificieri, che hanno escluso qualsiasi presenza di esplosivo: per precauzione erano state fatte allontanare le persone presenti in porto e le motovedette che avevano scortato il barcone. Intanto, le ultime 24 ore non hanno registrati sbarchi. Il dato, però, appare falsato dalle proibitive condizioni meteo. Maestrale e mare mosso, infatti, rendono impossibile salpare dalle coste africane. I carabinieri hanno, però, bloccato 31 tunisini sulla terraferma, a Linosa. I migranti sono sbarcati sull’isola sfuggendo ai controlli sul Canale di Sicilia. Intorno alle due di questa notte il Pattugliatore della Marina Militare Comandante Borsini, impegnato nella normale attività di vigilanza della pesca e controllo dei flussi migratori, su segnalazione della Guardia Costiera, nelle acque internazionali del Canale di Sicilia, ha preso a bordo e verificato le condizioni sanitarie di sei immigrati già tratti in salvo dal loro barcone, che stava naufragando, da un peschereccio egiziano. I sei extracomunitari, le cui condizioni mediche sono buone, sono stati successivamente trasbordati su una motovedetta della Guardia Costiera che li sta portando a Lampedusa.