lunedì 29 novembre 2010

Fazio: "Italiani vogliono nuova tv, la Rai no" Oggi l'ultimo atto di "Vieni via con me"


L'ELENCO. Dieci milioni di spettatori, oltre il trenta per cento di share, cifre superiori al Grande Fratello per un programma fieramente antitelevisivo. I politici usati dalla tv e non viceversa. Un fronte di critiche trasversali, da Grillo a Libero, e un altrettanto trasversale successo di pubblico. La signora Welby che fa più ascolti del festival di Sanremo, gli sfollati dai campi rom più dell'Isola dei Famosi. Nel nome della più bella canzone di Paolo Conte si è compiuta una rivoluzione nel costume televisivo.

Fabio Fazio, allora un'altra tv è possibile e quindi un'altra Italia?
"Con la volontà rispondo sì, con la ragione no. Diciamo che un'altra tv è desiderata da milioni d'italiani. Ma la reazione dell'establishment politico-televisivo è stata tale da farmi pensare che sia troppo presto. La Rai non sopporta che la tv pubblica diventi strumento di un vero dibattito sociale, culturale. L'hanno permesso perché non se n'erano accorti, non se l'aspettavano. E nemmeno noi. Ma la prossima volta sarà impossibile".

Karl Kraus diceva: la satira che il potere riesce a capire, viene giustamente censurata. Vale anche per "Vieni via con me". Al principio erano soltanto preoccupati che parlaste di Berlusconi, e invece...
"Non l'abbiamo quasi mai nominato, tolta la prima puntata. Siamo il primo programma già nel dopo Berlusconi".

Nonostante questo, vi sono saltati addosso tutti. Perché?
"Abbiamo fatto una tv riformista e non c'è cosa che spaventi più del riformismo. La rissa a somma zero di altri talk show in fondo è del tutto innocua".

Era un programma non ideologico, Saviano e lei non lo siete, gli ospiti hanno raccontato storie. La signora Welby e il signor Englaro hanno raccontato tragedie di famiglia. Come si spiega che il cda Rai abbia chiesto di far replicare a un'esperienza di vita con un comizio ideologico di un movimento integralista cattolico?
"Accettare quella replica dei Pro Vita avrebbe significato ammettere che Mina Welby e Beppe Englaro avevano parlato in favore della morte. Non esiste direttiva Rai che possa impormi un'assurdità del genere".

Più che un programma, siete stati il fenomeno sociale di queste settimane, insieme alla lotta universitaria. Anche la vostra era una specie di "occupazione"?
"Il parallelo mi piace e mi è piaciuto che gli studenti abbiano adottato nelle lotte lo strumento dell'elenco. Sono segnali che sta accadendo qualcosa di profondo nella società italiana, che parte dai due luoghi principali di formazione dell'opinione pubblica, la scuola e la televisione. E riguarda i valori, l'identità".

Se dovesse citare due valori di questo cambiamento?
"Legalità e laicità. Sono le basi di partenza di ogni patto civile, i materiali con i quali si costruisce una comunità. In questi anni sono stati attaccati e derisi, hanno trasformato l'uno in giustizialismo e l'altro in laicismo. Eppure nell'opinione pubblica sono valori più importanti di quanto si pensi. Saviano è amato perché incarna il bisogno di legalità di un pezzo di Paese disgustato dalla corruzione, dal malaffare, dalla rassegnazione a convivere con le mafie".

Come si spiega che decine d'inchieste sulla 'ndrangheta al Nord non siano riuscite a smuovere un decimo di un racconto di Roberto Saviano?
"La narrazione è più libera dell'inchiesta. Roberto ha questo dono del divulgatore e poi è un trentenne, appartiene a un generazione non ideologica. Poi certo il programma ha avuto un effetto Sanremo. Dopo quegli ascolti, tutti dovevano intervenire. Ma se questo ha finalmente portato la discussione politica su temi concreti, come la 'ndrangheta in Lombardia, i diritti civili, l'integrazione degli immigrati, beh, vivaddio".

Avete intercettato il bisogno di una lingua diversa in tv. Niente talk show, niente conduttore domatore, tempi lenti, argomenti difficili. Chi si aspettava questo seguito?
"Siamo partiti per fare il 12 per cento. Il 15 sarebbe già stato un successo. È arrivato il 30. Perché non lo capisco neppure io. Dai dati ho capito soltanto che una grande fetta di pubblico è in realtà un non pubblico, gente che non accendeva mai il televisore. In termini politici abbiamo recuperato l'astensionismo di massa. Che evidentemente non era indifferenza, ma ribellione alla tv del pollaio, al finto dibattito dove uno dice una cosa, l'altro lo interrompe con il contrario e alla fine non s'è capito nulla, non è successo nulla. Con gli autori abbiamo pensato a una cerimonia. Una cosa certo poco televisiva, semmai teatrale. Fondata sul valore della parola nuda. Un format post o pre berlusconiano, và a sapere. L'unico precedente linguistico era Celentano, i suoi silenzi, la rottura del rito attraverso un altro rito".

Lei quando si è emozionato di più?
"Quando Gemmi Sufali ha letto le ragioni per cui le piace essere italiana. Era una delle bambine sbarcate a Bari dall'Albania con la nave Vlora nel '91. Vent'anni dopo quell'inferno c'è questa ragazza intelligente, carina, entusiasta di un Paese meraviglioso, il suo e nostro".

Elenco. Vuole ringraziare qualcuno?
"Roberto Saviano, gli autori, Benigni che ci ha permesso di rompere il ghiaccio alla grande. Il pubblico, naturalmente. Quelli che mi hanno insegnato il mestiere, da Guglielmi a Biagi a tanti altri".

Vuole ringraziare anche qualcuno che non dovrebbe?
"Ma certo. Il dottor Masi, che ha commentato: gli ascolti non sono tutto. L'editore che di sicuro da domani mi chiederà di mettere a frutto il successo per nuovi programmi. Buona, vero?".

Avete fatto saltare il banco, e ora? Che cosa farà dopo un'avventura come questa?
"
Una lunga vacanza. Un viaggio. No, un programma comico".

(29 novembre 2010)

Nessun commento: