giovedì 31 luglio 2008

LETTERA APERTA AL DEPUTATO FURIO COLOMBO


Luigi Morsello

Gentile Furio Colombo,

ho letto su L’Unità di domenica 27 luglio il suo interessantissimo e chiarissimo editoriale, che titola “Non aprite quella porta”.

In questi giorni ho letto commenti altrettanto autorevoli di Eugenio Scalfari e Massimo Giannini su La Repubblica.

Essendo titolare di un blog, da poco, da maggio di quest’anno, mi sono avventurato su per una strada impervia, dicendo la mia su quanto sosteneva Eugenio Scalfari, in un suo editoriale, sempre del 27 luglio, su La Repubblica.

Anche lei nel suo editoriale sostiene le medesime argomentazioni, e cioè che non poteva il Capo dello Stato Giorgio Napolitano non firmare il famigerato “Lodo Alfano”, in ciò allineandosi entrambi con le posizioni del Capo dello Stato, e cioè che la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 31 gennaio 2004 non aveva censurato l’ancor più famigerato “Lodo Schifani” sotto il profilo della forma legislativa adottata, e cioè con legge ordinaria anziché costituzionale.

In verità, il conto non mi tornava, mi pareva, e non solo a me, che una legge così importante, che concedeva e concede l’immunità totale non solo ai tre supremi organi costituzionali di garanzia (Capo dello Stato, Preidenti di Senato e Camera dei deputati) ma anche ad organo costituzionale che non è di garanzia (Presidente del Consiglio dei Ministri), fosse approvata con legge ordinaria e a maggioranza assoluta.
L’argomentazione a difesa, che poggia sulla sentenza n. 24/2004 della Corte costituzionale, adottata dalla Presidenza della Repubblica, non mi convinceva.

Allora ho cercato quella sentenza, la n. 24 cit. e l’ho letta.

Ne ho tratto le seguenti conclusioni, iniziando dagli artt. 3 e 138 Cost.

1) art. 3:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
;

2) art. 138:
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”.


La Corte Cost. è stata attivata da una ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano del 30 giugno 2003, richiamata in premessa, laddove si legge: “Nel corso di un processo penale in cui è imputato l'on. Silvio Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei ministri, il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 101, 112, 68, 90, 96, 24, 111 e 117 della Costituzione, dell'art. 1, comma 2, in relazione al comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).”.

È agevole osservare che l’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale non cita in premessa fra le norme violate l’art. 138 suindicato. Tuttavia, va osservato che nelle premesse la Corte Cost. osserva: “Né va omesso di considerare che il principio di eguaglianza rientra tra i principi fondanti della Carta costituzionale, derogabile solo dalla stessa Costituzione o con modifiche costituzionali adottate ai sensi dell'art. 138 Cost., come risulta confermato dal fatto che tutte le prerogative riguardanti cariche o funzioni costituzionali sono regolate da fonti di tale rango …”.

Nelle considerazioni in diritto la Corte Cost. afferma: “Secondo il giudice remittente la norma censurata, nello stabilire per i processi suindicati la sospensione automatica, generalizzata e senza prefissione di un termine finale, viola l'art. 3 Cost., anzitutto con riguardo all'art. 112 Cost., che sancisce il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale; in secondo luogo con riferimento agli artt. 68, 90 e 96 Cost., in quanto attribuisce alle persone che ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato una prerogativa non prevista dalle citate disposizioni della Costituzione, che verrebbero quindi ad essere illegittimamente modificate con legge ordinaria, in violazione anche dell'art. 138 Cost., disposizione questa che il remittente non indica nel dispositivo dell'ordinanza, ma cita in motivazione ed alla quale fa implicito ma chiaro riferimento in tutto l'iter argomentativo del provvedimento; infine viola gli artt. 24, 111 e 117 Cost., perché non consente l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato e delle parti civili, in contrasto anche con la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.”.

Dunque, il richiamo della violazione dell’art. 138 Cost. c’è nelle motivazioni del remittente, cioè del Tribunale di Milano.

Però, la Corte non lo prende in esame, tanto da non citare tale violazione del dispositivo, che recita: “
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata decisione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 110, quinto comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), sollevata dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato);

dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 3, della predetta legge n. 140 del 2003.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2004.”.

Quali sono le norme che la Corte considera violate ?

Occorre ricorrere nuovamente alla motivazioni in diritto, secondo le quali: “
8. La Corte ritiene che anche sotto altro profilo l'art. 3 Cost. sia violato dalla norma censurata.

Questa, infatti, accomuna in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti. Né vale invocare, come precedente e termine di comparazione, l'art. 205 cod. proc. pen. il quale disciplina un aspetto secondario dell'esercizio della giurisdizione, ossia i luoghi in cui i titolari delle cinque più alte cariche dello Stato possono essere ascoltati come testimoni.”.

La Corte conclude: “La questione è pertanto fondata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale.”.

Ai fini delle presenti riflessioni non occorre esaminare in dettaglio l’intera sentenza, compito che considero arduo e comunque non necessario.

Ciò che preme osservare è la circostanza che la violazione dell’art. 138 cit. era stata ipotizzata dal Tribunale dei Milano, tuttavia la Corte Cost. non lo ha esaminato, ritenendo tale profilo assorbito dall’accertamento delle questioni di merito, e cioè la violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

Per completezza vale leggere cosa recita l’art. 24 Cost. Cit.:

“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.”.

La Corte Cost., stabilita la violazione di due norme di merito (art. 3 e 24), non ha ritenuto di procedere oltre nell’esame dei gravami di illegittimità costituzionale adombrati dal Tribunale di Milano, riservandosi solo l’esame di un profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 110, quinto comma, del regio decreto 30.1.1941, contenente l’Ordinamento giudiziario.

La Corte afferma: “Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale.”.

Insomma, la Corte Cost. non ha statuito al riguardo perchè ritenuto non necessario.

Ciò significa che la Corte non ha né accolto né respinto l’eccezione di incostituzionalità della forma (legge ordinaria, anziché costituzionale) scelta prima per il ‘lodo Schifani’ e oggi per il ‘lodo Alfano’.

Fra i poteri del Presidente della Repubblica c’è quello previsto dall’art. 74 Cost., che recita:
“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.

Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.”
.

Giorgio Napolitano questo avrebbe dovuto fare, rinviare alla Camera il ‘lodo Alfano’ con messaggio motivato e non l’ha fatto, come non l’aveva fatto prima di lui Carlo Azeglio Ciampi.

Non l’ha fatto per un motivo semplicissimo.

Il comma 4 dell’art. 87 Cost. recita: “Autorizza (il Presidente della Repubblica, n.d.r.) la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa governativa”.

Il “lodo Alfano" era un disegno di legge di iniziativa del Governo, quindi abbisognava per la presentazione alle Camere dell’AUTORIZZAZIONE del Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

È quello il momento topico, in cui il Capo dello Stato, autorizzando la presentazione del disegno di legge, noto come “lodo Alfano”, si è legato le mani.

Il ‘lodo Alfano’ è stato approvato a tamburo battente, in 25 giorni, dalle Camere, così come presentato nel suo testo, che non ha subito nessuna modifica.

Come poteva il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rifiutare la firma di promulgazione della legge, nota come ‘lodo Alfano’, la cui presentazione egli stesso aveva autorizzato e che era stata approvata nel testo da lui autorizzato ?

No, non poteva, non più !

Io non sono un costituzionalista, sono un pensionato che ha svolto un lavoro oscuro e mal ricompensato e che ha sempre tentato di ragionare con la propria e non l’altrui testa.

Ricorrendo spesso al semplice buon senso.

In questo caso non sembra temerario affermare che il Capo dello Stato avrebbe, teoricamente, potuto rifiutare la firma, ma ne sarebbe venuto fuori un canaio inaccettabile.

È di tutta evidenza che ho utilizzato argomentazioni tratte dal mio blog.

Me ne scuso, ma a me sembra che è stata offerta, anche da lei, una copertura al Capo dello Stato, nell’intento di rafforzarne la traballante credibilità.

Ma quanto potrà durare ?

A settembre incombono scadenze terribili, fra i quali la riforma del CSM e dell’ordinamento giudiziario, nell’intento, ormai non più nascondibile, di asservire l’ufficio del P.M. all’autorità politica e di sterilizzare ogni indagine sugli uomini politici che fanno parte del Governo Berlusconi.

Quanto e come saprà il Presidente Napolitano tutelare e garantire la Costituzione e impedirne lo stravolgimento di fatto e, forse, anche di diritto ?

Sono d’accordo con l’on.le Antonio Di Pietro (intervista su La Repubblica) quando sostiene che il dialogo è possibile quando vi sono due soggetti dialoganti e il centro-destra (rectius, Silvio Berlusconi) non è affatto disponibile a dialogare, il suo lider vuole solo comandare a bacchetta, tant’è vero che si è confezionato un Governo ‘ad hoc’, nulla importando che la maggior parte dei ministri sono dei dilettanti, bisognevoli della balia.

Grato si avrà letto tutto e se vorrà dirmi la sua opinione.

COMMENTO

Ad oggi nessun commento mi è pervenuto dal deputato Furio Colombo.

Aggiungo che al riguardo non ho utilizzato ii contenuto del volume “BAVAGLIO”, di Peter Gomez, Marco Licco e Marco Travaglio, introduzione di Pino Corrias (editore Chiare Lettere, Giugno 2008) in edicola solo da qualche giorno, almeno qui a Eboli, che ho acquistato e sto leggendo con grande interesse e tanta, ma proprio tanta amarezza.

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