sabato 30 agosto 2008

A caro prezzo



Alfredo Recanatesi
L'Unità
29 agosto 2008


Il decreto e il disegno di legge che il Consiglio dei ministri ha approvato ieri mattina costituiscono il compimento formale dell’operazione Alitalia: ossia dell’uso del potere esecutivo e legislativo in funzione di interessi particolari se non addirittura personali. Perché, non dimentichiamolo mai, tutta questa vicenda è nata dall’interesse personale di Berlusconi di far credere, per fini elettorali, che per la compagnia di bandiera fosse possibile una soluzione più conveniente di quella che il governo Prodi aveva imbastito con il gruppo Air France-Klm.


Se non ci fossero state di mezzo le elezioni, oggi Alitalia farebbe parte del più grande gruppo europeo di trasporto aereo; la gran parte del personale eccedente avrebbe trovato nuove collocazioni all’interno del gruppo ed un’altra parte sarebbe stata in attesa di rientrare; l’Italia avrebbe continuato ad avere una compagnia di bandiera, solida e con un rilevante potenziale di espansione, che avrebbe portato nel mondo i colori del nostro Paese; lo Stato avrebbe visto riconosciuto un valore netto della compagnia ceduta incassando soldi. Ma tutto questo avrebbe costituito - come ebbe a dire propagandisticamente - una “svendita”.


Bene. E ora la vendita qual è? La lista di quanto è stato venduto è corposa, ma è fatta di principi, di trasparenza, di legalità, di molte delle regole che in una democrazia compiuta dovrebbero guidare il comportamento e le determinazioni di ogni pubblico potere. Non si tratta solo degli oneri finanziari che finiranno per ricadere, direttamente o indirettamente, sulle finanze statali: saranno assai cospicui, ma c’è di peggio. C’è che la parte più consistente dell’operazione si perderà nei meandri obliqui di trattative private, di intese discrezionali, di regole ad hoc per comprare o compensare l’adesione al progetto di tutte le parti in causa. Non potremo avere mai un conto, sia pure approssimativo, di tutti i costi che ne deriveranno, ma saranno costi ingenti. Basti pensare quali potranno essere gli elementi dei calcoli di convenienza che possono aver indotto aziende di gestione di autostrade, imprese di assicurazione, aziende siderurgiche, armatori, a metter mano alla tasca per partecipare, in un settore di attività estraneo e distante quant’altri mai, ad una impresa che - ne parleremo dopo - è destinata a concludersi comunque con la fine dell'autonomia e della italianità di Alitalia. È forse un caso che quasi tutti i partecipanti alla cordata siano titolari di concessioni pubbliche o svolgano attività i cui ricavi dipendono da decisioni amministrative? È almeno lecito immaginare che nel rinnovo delle concessioni, o nella determinazione di tariffe, o nella concessione di licenze questi si attendano - come dire? - un occhio di riguardo?


Basti pensare a quale scompiglio potrà essere determinato dalla confluenza di migliaia di esuberi nell’azienda postale dopo che - sempre con una legge ad hoc giustificata dalla salvaguardia della efficienza e del conto economico - è stato bloccata l'assunzione di chi già vi ha lavorato con contratti a tempo determinato. Basti pensare all’indennizzo previsto - sarebbe davvero interessante sapere in base a quale principio lo Stato soccorre chi perde dall’investimento in attività finanziarie - a beneficio degli azionisti e degli obbligazionisti di Alitalia, una azienda di diritto privato, quotata in borsa come molte altre, le cui condizioni prefallimentari (a differenza del caso Parmalat tante volte evocato) erano da tempo ampiamente note. Basti pensare a quale futuro possano essere destinate le tariffe per i voli sulla tratta Roma - Milano, una tratta che già è stata dalle uova d’oro con quel po’ di concorrenza che Air One poteva fare ad Alitalia e sulla quale ora la nuova Alitalia potrà fare ancor più quel che gli parrà dal momento che Air One sarà stata incorporata e le norme antitrust tranquillamente scavalcate ope legis.


Basti pensare che la legge Marzano è stata modificata per consentire che una azienda in dissesto - nel caso Alitalia, ma d’ora in avanti potrà essere applicata ad altri casi - possa essere spaccata in due, con le cose buone da una parte e quelle in perdita da un’altra insieme ai debiti, in modo che con opportune ripartizioni sia possibile sottrarre dalle procedure fallimentari ciò che di buono può esserci, con buona pace dei creditori (una misura, questa, che può avere ripercussioni assai pesanti sull’intera economia andando nella direzione esattamente opposta a quella nella quale è da tempo avvertita la necessità di una riforma della legge fallimentare).


E qual è il risultato di una simile devastazione di principi, regole, doveri di trasparenza, criteri di sana amministrazione? Una Alitalia che, seppure ripulita da debiti ed inefficienze, e con un personale drasticamente ridotto e con stipendi “ricontrattati”, sarà assai più piccola, con una flotta quasi dimezzata ed una rete fortemente connotata dal corto e medio raggio. In tempi nei quali compagnie del calibro di Iberia e di British Airways si uniscono nella consapevolezza che da sole non ce la possono più fare, chiunque può capire quale sia il respiro, la prospettiva di questa operazione. La contropartita della devastazione di cui si è detto non può essere che quella di guadagnare un po’ di tempo prima che per Alitalia si compia il destino univocamente scritto da tempo: quello di confluire in un grande gruppo di trasporto aereo. Fino ad allora sarà italiana, certo, ma non per questo si potrà dire che ne sarà stata salvaguardata l’italianità. Una italianità così precaria, così costosa, ottenuta con tanto sacrificio di persone e di principi, vale ben poco, anzi è peggio di niente; comunque peggio di un accordo che fosse stato stipulato quando Alitalia un valore netto ancora lo aveva e con esso un minimo di forza contrattuale. Ma quella sarebbe stata una svendita. Noi, liberi da preconcetti, rimaniamo in attesa - poco fiduciosa, dobbiamo francamente dire - che qualcuno ci dimostri che questo, invece, è un affare.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Qualcuno deve ben stigmatizzare l'impudenza del premier, lo fa in modo mirabile Alfredo Recanatesi, che avremo di leggere ancora molte volte.