Piero Ignazi
L'Espresso
1 agosto 2008
Ai democratici serve una leadership forte per risolvere i dilemmi e trovare un'identità
Il Partito democratico ha di fronte a sé tre dilemmi da sciogliere: il primo sul giudizio in merito al risultato delle elezioni (sconfitta o tenuta), il secondo sulla natura del partito (socialdemocratico, o democratico), il terzo sulla strategia da perseguire (vocazione maggioritaria o politica delle alleanze).
I dilemmi non sono isolabili e separabili, bensì intrecciati, quasi aggrovigliati l'uno all'altro: tuttavia è utile tenerli distinti per cercare di dipanare la matassa del Pd.
Il primo dilemma, pur essendo il più contingente, contiene in sé i codici dello sviluppo degli altri due. In termini banalmente numerici - ma si sa che nel paese dell''inferma scienza' i numeri, più che contarli, si pesano - il Pd è avanzato in valori assoluti e in percentuale rispetto a qualsiasi conformazione precedente dell'Ulivo. Il partito guidato da Walter Veltroni ha guadagnato consensi, non ne ha persi rispetto alle formazioni da cui origina, prese singolarmente o collettivamente sotto l'egida dell'Ulivo.
Da un punto di vista 'oggettivo', di semplice statistica elettorale, il Pd è riuscito non solo a mantenere il pre-esistente serbatoio elettorale ma a rabboccarlo un po'. E, date le condizioni di partenza (si riguardino i dati sulla popolarità del governo Prodi all'inizio della campagna elettorale), il risultato può essere considerato un 'successo'. Poi c'era chi, a cominciare dallo stesso Veltroni, vaticinava addirittura il sorpasso sul Pdl, e con una contagiosa forza di convinzione (tanto da smuovere anche uno scettico come il sottoscritto).
Lo scarto tra Pd e Pdl , oltre alla vittoria schiacciante del centro-destra nel suo insieme, ha fatto passare in secondo piano il risultato in sé del Pd. Walter Veltroni ha tentato nei primi giorni di qualificare in senso positivo il responso delle urne, ma i suoi avversari interni, e ovviamente quelli esterni, si sono buttati a capofitto nello stigmatizzare il risultato come una rotta. Quando invece il dato del 37,5 per cento è perfettamente in linea con le percentuali di tutti i partiti socialisti europei, dal Labour inglese al Ps francese, dalla Spd tedesca ai socialdemocratici scandinavi, con la sola eccezione del Psoe spagnolo.
Lo scarto tra Pd e Pdl , oltre alla vittoria schiacciante del centro-destra nel suo insieme, ha fatto passare in secondo piano il risultato in sé del Pd. Walter Veltroni ha tentato nei primi giorni di qualificare in senso positivo il responso delle urne, ma i suoi avversari interni, e ovviamente quelli esterni, si sono buttati a capofitto nello stigmatizzare il risultato come una rotta. Quando invece il dato del 37,5 per cento è perfettamente in linea con le percentuali di tutti i partiti socialisti europei, dal Labour inglese al Ps francese, dalla Spd tedesca ai socialdemocratici scandinavi, con la sola eccezione del Psoe spagnolo.
E qui viene il secondo dilemma. Socialdemocratico o democratico? Cosa siano oggi i socialdemocratici, con una certa fatica, riusciamo a rintracciarlo; cosa siano i democratici, cari ai 'novatori' del Pd, francamente no. Niente di male. Basta coinvolgere le migliori intelligenze del centro-sinistra e sfornare contributi a getto continuo per una riflessione collettiva sul senso da dare a questa parola nella politica italiana ed europea, vista l'assenza di modelli.
'Vaste programme', avrebbe ironizzato il generale De Gaulle, ma anche avventura intellettuale e politica affascinante. Finora però, a parte casi isolati e rimasti fuori dal dibattito interno ed esterno al partito, non c'è praticamente nulla. Quindi, delle due l'una: o accetta di entrare, pur con alcune peculiarità, nella famiglia socialista, o si fa portabandiera di una nuova famiglia politica in Europa. In assenza di passi in avanti significativi su questo secondo obiettivo, non rimane che confluire nell'alveo socialista, con buona pace dei residui, pochi, cattolici rimasti nel Pd. I quali dovrebbero comunque ricordare che il Labour è il partito dei cattolici inglesi e che la Spd accoglie la maggior parte dei fedeli di confessione protestante. E, più in generale, che in 12 paesi europei il 45 per cento di coloro che dichiarano di appartenere ad una religione vota per partiti socialisti.
Infine, vocazione maggioritaria o strategia delle alleanze. La risposta sembra ovvia, visti i risultati elettorali. Eppure, se si ragiona non sul breve periodo - le elezioni europee - ma sul medio periodo - le prossime politiche - l'alternativa mantiene tutto il suo senso.O il Pd assume il ruolo di partito cardine del centro-sinistra che decide, a seconda delle sue convenienze, se allearsi con altre formazioni, che accettino però tranquillamente un ruolo di junior partner , oppure ritorna al carosello delle coalizioni (instabili) con partiti a cui viene garantita 'pari dignita''. In quest'ultimo caso il Pd prosegue con il piccolo cabotaggio, mentre nel primo deve attraversare una marcia del deserto. E per questo necessita di una leadership autorevole e condivisa, che trascini il partito verso la (una) sua nuova identità - socialdemocratica o democratica che sia - convinta che un terzo dei consensi costituisca una ottima base di partenza.
3 commenti:
Temo, spero che il PD non diventerà mai grande.
Si sente la mancanza di Romano Prodi, com'era prevedibile.
è nato malato, e lo stanno ammazzando i suoi stessi genitori(eutanasia o ignoranza criminale?)
rossana
La seconda,. Rossana !
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