PALERMO –
Soddisfatta, sorpresa o irritata dal richiamo di Berlusconi alle «idee» di suo fratello sulla riforma della giustizia, professoressa Maria Falcone?«Mi fa piacere che si pensi a Giovanni anche come studioso attento e sensibile ai problemi giuridici e giudiziari di questo nostro Paese. Purché non gli si facciano dire cose mai dette».
Il Cavaliere avrebbe mal interpretato quelle idee?
«Beh, certo Giovanni non ha mai chiamato i magistrati avvocati dell'accusa. E poi occorre delicatezza quando si richiamano le idee di chi non c'è più e non può controbattere. Ma per questo il Cavaliere ha uno strumento che gli consentirà di evitare equivoci, la raccolta degli scritti di Giovanni pubblicata dalla nostra Fondazione. Gliela regalai io qualche anno fa».
Magari dirà che l'ha letta. A cominciare dal tema della «separazione delle carriere».
«Ma lui parla di separazione dell'ordine degli avvocati dell'accusa dall'ordine dei magistrati. Un termine nuovo. Meglio rileggere quei testi ».
Fatto sta che suo fratello invocava la «separazione».
«Non vorrei però che qualcuno pensasse di separare le carriere anche per annullare la separazione dei Poteri. È la distinzione fra potere legislativo, amministrativo e giurisdizionale a garantire la democrazia. Viceversa c'è il rischio di ritrovarci con uno Stato autoritario».
Condivide l'allarme di Giuseppe Cascini, il segretario dell'Anm sul «rischio fascismo»?
«Non c'è bisogno che lo condivida. Basta che dica le cose a modo mio, con parole mie».
Vede la democrazia a rischio?
«Il rischio si manifesta se manca l'equilibrio e se c'è una ingerenza della politica nella magistratura. Così come l'eccessiva politicizzazione della magistratura crea un rischio contrario. Oddio, un rischio minore, ma ugualmente grave».
Suo fratello considerava una ipocrisia l'obbligatorietà dell'azione penale?
«Di obbligatorio c'è sempre stato molto poco. È evidente che una certa discrezionalità la magistratura l'ha sempre avuta».
Berlusconi suggerisce anche di introdurre «criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati».
«Sono d'accordo, ma chi valuta e controlla il merito? Il Csm. È quindi importante che l'organo di autogoverno non sia politicizzato».
Lo teme pure Cascini. Ma oggi il Csm appare immune?
«Oggi è politicizzato. Cascini suggerisce di non fare entrare la politica, ma siamo sicuri che non ce ne sia già troppa nel Csm?».
E la «terzietà» del giudice?
«Non c'è dubbio che per Giovanni nel processo accusatorio il pm dovesse essere considerato parte».
Come l'avvocato dell'altra parte, direbbe Berlusconi.
«E su questo ha ragione. Ma la figura del pm va modificata senza ledere il principio dell'indipendenza della magistratura. Qualsiasi riforma si possa fare, soprattutto se si vuole fare riferimento a Falcone, bisogna avere un grande rispetto per la democrazia, per la Carta costituzionale e soprattutto per la divisione dei Poteri».
Il Cavaliere ha detto che stavolta riformerà la giustizia, anche da solo. Ma Veltroni ha replicato che si deve fare solo con il placet dei magistrati...
«E io sono d'accordo con Veltroni, in questo caso. Toccando un tema tanto delicato, non può esserci nessun uomo politico di destra o sinistra che dica "la riforma la faccio io". Il pluralismo è il fondamento della democrazia. Occorre misura. Come misura era Giovanni».
Lo dice perché vede poca «misura» in Berlusconi?
«Guardi che anch'io cerco di essere moderata perché con gli eccessivi personalismi si finisce per nuocere alla causa della giustizia».
2 commenti:
Il mio personalissimo punto di vista:
1) si chiama P.M. (Pubblico Ministero)perchè nel processo rappresenta la comunità lesa dalla violazione del precetto penale, e cioè lo Stato; non bisogna mai dimenticarlo, pur condividendo che, come già oggi, debba essere posto sullo stesso piano del difensore dell'imputato; semmai, oggi il codice di procedura penale contiene troppe trappole, introdotte ad arte dal legislatore, per diminuire le capacità offensive del P.M., il che si traduce per me in un 'vulnus' per la democrazia; imputati ricchi si possono permettere avvocati preparatissimi e pervenire, come minimo, alla prescrizione del reato, cui l'imputato eccellente non ha mai rinunciato (è rinunciabile);
2) il piano di parità si realizza mediante la separazione delle carriere; parlare di due CSM (uno per i P.M. e l'altro per il giudicante), come ha fatto il deputato Ghedini, è solo apparentemente una sciocchezza; in realtà è un grimaldello per ottenere la modificazione della composizione attuale del CSM, oggi composto per due terzi da componenti togati, domani solo da un terzo); quindi, il CSM non si tocca;
3) il nodo, se si vuole veramente scioglierlo (ne dubito), sta nella obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, prevista dalla Costituzione repubblicana; una modifica non può essere fatta con legge ordinaria, per cui c'è bisogno del consenso dell'opposizione; un temperamento a tale rigore (é vero, solo apparente) potrebbe essere individuato nella determinazione della pena edittale (cioè quella prevista dal codice penale per ogni singolo reato); nel senso che l'obbligatorietà scatta quando si supera un tetto minimo di pena, al di sopra del quale è obbligatorio procedere, al di sotto del quale è solo facoltativo;
4) Tutto ciò passa, però, attraverso la riforma sia del codice penale (è ancora il codice Rocco del 1931) sia del codice di procedura penale del 1988, fatto a pezzi da interventi della Corte Costituzionale ed interventi del legislatore, che ha squilibrato il processo penale a favore dell'imputato e a danno della collettività, cioè del P.M.
Riporto di nuovo il punto di vista di Giuseppe Ayala, già P.M. del pool antimafia guidato per ultimo da Giovanni Falcone:"
Sulle idee di Falcone, è intervenuto Giuseppe Ayala, ex magistrato del pool antimafia di Palermo durante gli anni ’80 e amico del giudice assassinato nel 1992. Ayala ha ricordato al Corriere della Sera i tre capisaldi sui quali Falcone aveva espresso chiaramente le sue idee anche pubblicamente: “La separazione delle carriere tra pm e giudici, il degrado clientelare dell’Anm e di conseguenza del Csm e la necessità di superare il feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale, lasciata di fatto alla discrezionalità dei capi degli uffici o peggio dei singoli magistrati, in assenza di un responsabile della politica criminale. Niente linee guida, niente priorità, niente responsabilità”. “Ero e sono d’accordo – ha aggiunto - con Falcone: in particolare l’attuale assetto dell’Anm e di conseguenza del Csm sono indifendibili”. Nello specifico, ha ricordato Ayala, “Falcone bollò come ‘antistorico’ il ‘tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente’, disconoscendo ‘la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti’”. Quanto all’Anm la definì, ha sottolineato, “‘un organismo sempre più diretto alla tutela di interessi corporativi e sempre meno il luogo di difesa e di affermazione dei valori della giurisdizione’, con le correnti dell’Anm ‘trasformate in macchine elettorali per il Csm’”. Parole pronunciate, ha specificato, “a Milano il 5 novembre del 1988”. Ad ogni modo, Ayala ha precisato che Falcone “individuò dei problemi ma non indicò delle linee di soluzione. Sulle risposte da dare – ha concluso - il Parlamento è sovrano, dovrà scegliere il legislatore, l’importante che si intervenga con misura ed equilibrio”.
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