
Brillava tutto, quel giorno, 18 aprile 2008. Il mare di Punta Lada, il sole sulla Costa Smeralda, gli auricolari delle scorte. Ronzavano elicotteri militari. Cento, tra giornalisti e cameramen, erano lì a chiedersi che cosa ci facesse lo zar Vladimir Putin, ai piedi della scala del suo Ilyushin presidenziale, aeroporto ventoso di Olbia, accolto con pacche, ilarità e abbracci dal suo amico Silvio Berlusconi.
Putin stava rientrando a Mosca, dopo un visita lampo a Gheddafi, in Libia. Berlusconi aveva incassato da quattro giorni la vittoria elettorale, non era ancora premier, ma era già abbondantemente «il presidente di tutti gli italiani».
La visita è informale, dice l’ufficio stampa del Cavaliere, un incontro tra vecchi amici, per una serata in villa e per uno scambio di idee.
Il «Financial Times», in un articolo di prima pagina, è molto meno vago. Scrive che i due uomini hanno parecchi affari in comune e altrettante affinità. Intanto condividono lo stile di vita, la vanità e la statura. Entrambi hanno un debole per il linguaggio crudo, le barzellette e le donne. È identico il carattere autoritario. Il culto del denaro. L’estro per gli affari. Tra i quali primeggia il metano, immensa ricchezza della madre Russia, che corre lungo le nervature d’acciaio del gigante Gazprom, per riscaldare l’Europa. Ci sono in ballo sontuosi contratti con Enel ed Eni. C’è da ricollocare l’altro gigante energetico, la Yukos petroli, da quando Putin si è liberato di Khodorkovsky, l’oligarca che voleva sfidarlo e che da cinque anni respira il gelo di un carcere siberiano.
I due si fanno fotografare abbracciati. Non rispondono alle domande. Minacciano, un po’ per scherzo un po’ no, una giornalista russa che si è permessa di fare una domanda privata a Putin, su una certa ginnasta Alina Kabaeva. Putin risponde con un’occhiata gelida. Berlusconi mimando il mitra. La giornalista si mette a piangere perché Putin le ha fatto paura. Dirà: «Ho visto come mi ha guardato».
Poi i due leader spariscono dentro il villone. Visita ai cactus, prima di cena. Arrivo del Bagaglino con le ballerine per la serata e di Apicella per la canzone napoletana. Indiscrezioni riferiscono di una festa molto allegra, fino a tardi.
Erano quelli suggeriti dal «Financial Times» i motivi della visita? Altre voci aggiungono che oltre al gas ci sarebbe di mezzo anche una villa da acquistare in Costa Smeralda. Il progetto di un viaggio di Stato. Il ripristino della linea telefonica privata, tra Palazzo Chigi e il Cremlino, che funzionò tra il 2001 e il 2006, e che Prodi aveva fatto tagliare il primo giorno del suo insediamento.
Tutto plausibile. A cominciare da quella continua ibridazione tra chiacchiere di Stato, affari, ballerine. Eppure manca ancora qualcosa a quelle 48 ore spese da Berlusconi con il suo amico Putin, l’uomo più potente dopo Bush, il solo del primo mondo che governa senza chiedere, piega le leggi, insabbia le inchieste. È insofferente all’informazione. Non ammette controlli. Cavalca il plebiscito popolare. E lo usa per disegnare una società autoritaria.
Ecco cosa sarebbe dovuto saltare agli occhi tra le ragioni di quell’incontro, oltre agli affari nascosti, oltre alla vanità esibita e al notevole dettaglio della notte col Bagaglino. Con quell’invito a Vladimir Putin, Silvio Berlusconi stava mostrando agli italiani il suo modello politico e il suo prossimo programma di governo. Era il suo manifesto. In questi giorni ce ne siamo accorti.

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