
Fabio Poletti
La Stampa
13 settembre 2008
Poi Umberto Bossi solleva l’ampolla e distilla la metafora: «Qualche anno fa eravamo in pochi. Eravamo un rigagnolo come questo torrente di montagna che poi diventerà il grande fiume Po. Il fiume della libertà». Sorrisi. Entusiasmo. Su un masso lontano dal palco, solo il figlio Renzo di vent’anni ha la faccia un po’ così. Dicevano che era il delfino di suo padre, che Umberto Bossi se lo portava pure da Silvio Berlusconi a farsi le ossa. Troppe foto, troppi articoli di giornale, qualche mugugno della mamma preoccupata, più di un mugugno nella Lega dove gli equilibri sono delicati e il leader del Carroccio fa marcia indietro e retrocede il figlio anche in campo ittico.
«Delfino, delfino... Per ora è una trota. E’ un ragazzo curioso. Come tutti quelli della sua età, si interessa alle cose più importanti. Preferirei che continuasse a studiare, che facesse Economia e commercio, che diventasse commercialista che è più sicuro...». Renzo Bossi incassa e non replica. Sulla maglietta verde ha disegnato un pugno con un insolente dito medio alzato e la scritta «Schiavi di Roma mai». Anche suo padre agita il pugno, ma si capisce che è tutta un’altra storia: «Siamo uniti come un pugno, un pugno buono dal cuore grande, per questo abbiamo fatto il miracolo...». Il miracolo è racchiuso in queste quattro pagine della Padania con il testo passato in Consiglio dei ministri, in fretta e furia pochi giorni prima del ritorno della Lega sul Po.
Roberto Calderoli detta i tempi e spiega che c’è pure la sostanza: «Ci sono state solo limature estetiche, in 24 mesi il federalismo fiscale sarà operativo, il primo decreto attuativo entro un anno». Roberto Cota, capogruppo alla Camera, giura che questa riforma è la meglio che c’è: «Con il federalismo fiscale, il Nord non andrà più a Roma con il cappello in mano». Mario Borghezio, deputato europeo, dice che questa è la dimostrazione che vince solo chi non molla: «E noi piemontesi non molliamo mai...». Le distinzioni sulle attribuzioni e sulle competenze, il regime di perequazione per le Regioni del Sud, i conti da far tornare una volta per tutte, le polemiche sulle tasse e sulle spese, le critiche da sinistra e pure da destra, svaniscono al sole del Monviso. Roberto Calderoli taglia corto: «Se il federalismo non piace al governatore veneto Giancarlo Galan e all’ex ministro del Sud Clemente Mastella, vuol dire che è un testo equilibrato...».
Umberto Bossi è ancora più esplicito: «I compromessi in politica si devono fare, sempre si può ottenere qualcosa di più, ma era importante partire da qualche parte... Io mi fido di Silvio Berlusconi e di Giulio Tremonti, ma mi fido soprattutto di me stesso. Se non si faceva adesso, non si faceva più». Il cammino è iniziato. La strada è ancora lunga. Il leader della Lega fa il soddisfatto ma non abbassa la guardia: «Il federalismo deve passare in Parlamento, dobbiamo andare a Roma a far sentire la nostra voce. Siamo noi che facciamo vincere o perdere le elezioni...». Il messaggio agli alleati di governo è chiaro. Fatto il federalismo, bisogna fare i federalisti. Con questa propaganda che è come benzina nei motori della Lega, si può arrivare al massimo fino a Venezia, quando l’acqua del Po raccolta nell’ampolla verrà versata domani in Laguna. Quello che succederà dopo, discussione in Parlamento, decreti attuativi, sarà tutto da vedere. Anche se Roberto Cota, guarda molto più avanti e sogna già un’altra battaglia: «Sullo sfondo c’è il federalismo istituzionale, portare alle Regioni alcune competenze dello Stato».

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