mercoledì 17 settembre 2008

Giuseppe Di Stefano, chiamato affettuosamente "ZI' PEPPE"


di Luigi Morsello

Significa, per chi non conosce il dialetto “zio Giuseppe”. Fin qui nulla di strano, senonché i nipoti, che lo chiamano così, erano più anziani di età, circostanza questa non infrequente nei grovigli genealogici delle famiglie. Lo chiamavano così anche quando lo andavano a trovare sul campo di calcio, da ciò è derivato il nomignolo affettuoso “Zi’ Peppe” con il quale viene chiamato da tutti anche oggi.

La persona il cui ritratto intendo tracciare è nota in Eboli; anzi: è una gloria calcistica (e non solo) ebolitana.

Si chiama Giuseppe Di Stefano, classe 1929, non è parente del suo omonimo siciliano grande tenore “Pippo” Di Stefano, scomparso da poco, noto nel campo dei melomani anche per una relazione avuta con l’ultima Maria Callas, in procinto di perdere la voce, che non si era curata di proteggere, per poi affondare in una crisi esistenziale irreversibile che la condusse ad una morte misteriosa e prematura.

È stata una gloria calcistica locale, ma non è il parente italiano di Alfredo Di Stefano, argentino di origine italiane, classe 1926, vivente, giudicato e non a torto il più grande calciatore di tutti i tempi.

Oggi Zi’ Peppe è un tranquillo signore di 79 anni, che ha alle spalle una vita intensa e di fronte a sé (gode ottima salute) molti anni di vita.

È un mio amico, tanto per cominciare, uno dei miei pochi amici di tutti i tempi.

È una persona onesta, dotata di solidi principi morali, corretta nei rapporti interpersonali, è un pensionato come me (corrono fra di noi nove anni di differenza). Ha dei parametri di comportamento inossidabili: non deflette mai. Inoltre, veste sempre con eleganza.

Quasi tutte le sere, almeno d’estate (quando io soggiorno a Eboli dove sono residente, abitando altrove per la restante parte dell’anno) lo si incontra con un gruppo di amici della sua, nostra età, in piazza della Repubblica (ciò che ne resta dopo un dissennato intervento di rifacimento).

È anche la memoria storica di Eboli, dal suo punto di vista di appassionato del calcio e calciatore per alcuni anni, di lavoratore instancabile oggi in pensione, che è vissuto e vive a Eboli, che ha conosciuto tanti ebolitani, che ha visto la Eboli anteguerra, le distruzioni causate dalla guerra, la ricostruzione e poi, per ultimo, la dissoluzione del tessuto cittadino, iniziata dopo il terremoto disastroso del 1980, che toccò Eboli solo marginalmente, innescando una speculazione edilizia senza precedenti.

Nato il 9 maggio 1929 da una famiglia di agricoltori, modesti ed onesti, ha vissuto la prima infanzia all’interno del “centro storico” (lo chiamiamo così per convenzione, visto che oggi è del tutto scomparso, per effetto delle sua accennate speculazioni edilizie), in S. Nicola, per poi trasferirsi con la famiglia in via S. Berardino, ancor prima della seconda guerra mondiale.

All’epoca l’attuale via S. Berardino e zone limitrofe era tutta una serie di vigneti, la zona dove Eboli si sarebbe sviluppata, disordinatamente, nel dopoguerra.

Vicino la sua abitazione c’era un ampio campo sportivo, costruito dal regime fascista, utilizzato anche per le adunate del c.d. “sabato fascista”, onorato da una visita del Duce, che utilizzò e, forse, inaugurò lì il suo celebre grido di guerra “Me ne frego”, dopo le sanzioni inflitte all’Italia dalla Società delle Nazioni, antesignana dell’attuale O.N.U.; e infatti su un pilastro dell’ingresso del campo sportivo fu immediatamente incisa, a perenne gloria, la celebre frase: “Me ne frego”.

A causa del mio salto generazionale io non ricordo di averla letta, ma ho uno sfumato ricordo di questo campo sportivo mirabile, almeno agli occhi di una ragazzino classe 1938.

La vicinanza del campo sportivo esercitò un’attrattiva irresistibile sul giovane Di Stefano, che era tutti i giorni, o quasi, e per molte ore al giorno lì, assieme ad altri ragazzini, a “giocare al pallone”.

Si generava così una passione durata tutta la sua vita, tuttora vivida.


Terzo figlio di quattro, fra cui due sorelle, allo scoppio della II^ Guerra Mondiale aveva dieci anni, Benito Mussolini entrava in guerra il 10 giugno 1940 e questa sua decisione segnava il destino di milioni di italiani.

Il Nostro zi’ Peppe aveva compiuto gli undici anni, aveva frequentato le scuole elementari e si era fermato al secondo anno di scuola di avviamento professionale.

Come dargli torto. Basti ricordare che, appena tre anni dopo la dichiarazione italiana di guerra, l’8 settembre 1943 il Governo del gen. Pietro Badoglio, in carica dal 25 luglio 1943 al 17 aprile 1944, firmava l’armistizio con le forze militari alleate.

In Eboli vi fu il disastroso bombardamento aereo del 4 agosto 1943, mentre il 9 settembre 1943 (il giorno dopo l’armistizio) le forze militari alleate sbarcarono a Salerno (in realtà lo sbarco avvenne anche in località Campolongo, zona costiera del territorio del comune di Eboli), in una ampia fascia che andava da Maiori ad Agropoli.

Sbarcò la 5^ armata americana, alla guida del gen. Mark Clarck, che incontrò una forte resistenza tedesca.

Fu una delle tre grandi invasioni alleate in Italia, e fu chiamata: “Operazione Avalanche”.

In Eboli vi erano degli insediamenti militari che il giovane Di Stefano ricorda benissimo: una batteria di cannoni da campagna presso la collina S. Giovanni (così chiamata da una chiesa omonima, oggi scomparsa), mentre insediamenti italo-tedeschi insistevano in località Ceffato.

Addirittura una batteria antiaerea fu piazzata nel cortile del castello Colonna, ben mimetizzata, mentre la Casa Rieducazione Minorenni presso il castello era stata opportunamente sgomberata (il Castello Colonna di Eboli fu acquistato dallo Stato fascista nel 1935 e adibito a quello scopo), come mio padre, che vi lavorava come agente di custodia, mi ha ricordato più volte.

La seconda guerra mondiale sconvolse anche la vita di Eboli e dei suoi abitanti.

Durante l’occupazione alleata il giovane Di Stefano si industriò a lavorare, come tutti alla giornata, per le forze alleate insediatesi a Eboli; egli parla di 20.000 militari anglo-canadesi, che si servirono di mano d’opera locale (due-trecento persone) per realizzare le infrastrutture necessarie ai loro accampamenti, mentre si provvedeva a sgomberare le macerie dei numerosi edifici distrutti, riversandole nell’ormai defunto campo sportivo.

Chi scrive abitava nel palazzo Nigro, un palazzone chiamato “Sing Sing”, e ricorda l’impianto di trasporto su rotaie delle macerie, con carrelli da miniera che servivano a trasportare e riversare le macerie suddette in cumuli enormi nell’ex campo sportivo.

Gli operai a giornata, anche di mano d’opera qualificata, venivano compensati in AM-LIRE, cioè la carta moneta stampata dalle forze militari alleate durante l’occupazione, in sostituzione della moneta nazionale, la lira.

Furono stampate dopo lo sbarco in Sicilia del 1943. i tagli da 1, 2, 5, 10 lire avevano una forma quadrata, quelli da 50, 10, 500 e 1000 lire una forma rettangolare.

Il valore di cambio era di 1 dollaro = 100 am-lire.

Tutti i biglietti riportano sul retro, in inglese, le quattro libertà sancite nella Costituzione americana: freedom of speech (libertà di parola), freedom of religion (libertà di religione), freedom from want (libertà dal bisogno), freedom from fear (libertà dalla paura).

Nel 1946 cessarono di essere moneta dell’occupazione militare e si usarono assieme alle banconote normali fino al 3 giugno 1951.

Zi’ Peppe se le ricorda benissimo, anche chi scrive le ricorda, anche se meno bene.

Il lavoro sporadico con le forze alleate cessò quando furono sfollate nel territorio del comune forze militari iugoslave, transfughe del regime di Tito, assieme alle loro famiglie, circa 10.000 persone.

Allora il settore divenne “off limits” per gli ebolitani, quella gente zi’ Pepe la ricorda come troppo pericolosa.

Zi’ Peppe ricorda anche un conflitto a fuoco avvenuto fra alcuni di quegli slavi e i Regi Carabinieri nella centralissima piazza oggi piazza della Repubblica, allora Francesco Spirito.

Dopo la necessaria digressione storica, necessaria per raccontare i tempi ed il clima sociale di quei tempi, di guerra e di occupazione militare, torniamo a parlare del nostro amico.

Prima però desidero riferire un dettaglio che non conoscevo: le grandi sfere metalliche (chiamate ‘palle di cannone’) poste a capo dei pilastri d’ingresso del vecchio campo sportivo oggi si trovano sul sagrato della nuova chiesa di S. Bartolomeo, sul viale Amendola.

La chiave di svolta della vita di Di Stefano è l’anno 1948, l’anno in cui la sua pratica dello sport del calcio inizia a dare frutti.

Siamo già nel dopoguerra.

In località S. Giovanni era stato realizzato un nuovo campo sportivo, oggi abbandonato (ve n’è un terzo più moderno).

I neonati, sarebbe meglio dire i rinati, partiti politici decidono di organizzare ognuno una propria squadra di calcio.

Siamo a livello locale, insomma dilettantistico.

È chiara la valenza propagandistica dell’iniziativa e si decide di giocare un torneo di calcio fra squadre ebolitane, chiamato COPPA AGI. Non è noto il significato dell’acronimo.

Nell’immediato dopoguerra fiorirono due industrie manifatturiere, un pastificio ed un’industria di conserve alimentari in scatola.

Il pastificio era dovuto all’iniziativa imprenditoriale di Luigi Pezzullo, che riuscì in breve tempo e con una certa disinvoltura a far nascere uno stabilimento, oggi dismesso, alle porte di Eboli, lungo la S.S. 19, a ridosso della chiesa della Madonna delle Grazie.

Anche il pastificio Pezzullo volle partecipare al torneo ed organizzò una propria squadra di calcio, la S.A.M.P.E.(Società Anonima Molini Pastifici Ebolitani), una squadra aziendale, insomma.

Le squadre organizzate furono:
1) Monarchia (Partito Monarchico);
2) Libertas (Democrazia Cristiana);
3) Garibaldini (Partito Comunista Italiano);
4) Movimento Sociale Italiano;
5) S.A.P.M.E., già menzionata.

Di Stefano, che era stato già reclutato (a voce) dalla squadra del Partito Monarchico, senza tuttavia giocarvi una sola volta, venne chiamato a far parte della S.A.P.M.E. sopra citata, con la promessa, mantenuta, in caso di accettazione, di essere assunto a lavorare presso il pastificio.

La COPPA AGI fu vinta, naturalmente, dalla S.A.M.P.E.

Indovinate chi fu il capocannoniere ? Lui, naturalmente.


Iniziarono così un’attività sportiva ed una collaterale attività lavorativa.

Quest’ultima si concluse con il pensionamento da operaio specializzato.

L’attività sportiva, che darà a Di Stefano fama duratura, anche se locale, si concluderà nel campionato 1959/1960, in cui Zi’ Peppe appese le scarpette da giocatore al classico chiodo.

Era bravo, mi dicono, MOLTO BRAVO nei ruoli prima di ala sinistra e poi di mediano sinistro.

Eboli annovera fra le sue glorie sportive anche un signore che si chiama Ciro Ferrara, ex juventino, oggi dirigente della Juventus, nato a Napoli ma da genitori ebolitani.

Fosse nato qualche anno dopo zi’ Peppe avrebbe fatto una carriera altrettanto se non più sfolgorante: era velocissimo.

Ma è andata diversamente e l’interessato non nutre né scontento né invidia: è fatto così !

Come giocatore veniva compensato con premi partita ed una certa libertà di allenarsi, senza riduzioni di paga da operaio.

La sua “carriera” calcistica si svolse in questi anni e squadre:

1) anno 1952/53: la Pezzullo;
2) anni 1954-1957: l’Ebolitana;
3) anno 1958-1960: la Battipagliese
(squadra della oggi fiorentissima città di Battipaglia, distante 7 km. Da Eboli).

Poi smette di giocare.

Era ed è una roccia zi’ Peppe, alto 1,73 metri circa, ma solidissimo.

Ancora oggi che ha 79 anni, se passeggiando assieme a lui ci si vado a sbattere di fianco, sono io a rimbalzare (e peso 95 chili), non lui, che ne pesa meno di ottanta).

Fa il militare di leva, ferma 14 mesi, negli anni 1953-54 (dopo un rinvio di due anni in quanto calciatore, a 23 anni di età), viene assegnato al 14° Reggimento Artiglieria da campagna, ma preso servizio presso il reggimento in qualità di autista del colonnello comandante.

Non è difficile capire perché, chi lo conosce sa che ha una faccia pulita, lo specchio della persona perbene.

Il servizio militare lo presta a Foggia, naturalmente viene chiamato ad un torneo calcistico militare a Bari (figuriamoci se diceva di no !).

Il 24 aprile 1963 si sposa, ha due figli maschi e adesso dei nipoti.

Viene considerato ancora oggi, fra i giovani (grazie ai nipoti) e i meno giovani, una vecchia gloria calcistica.

Ma non finisce qui questa vicenda umana.

Avrete capito che il soggetto è a dir poco volitivo, uno che non si arrende mai, uno che è in grado di superare moltissimi ostacoli, perché è intelligente.

Intelligente ed onesto.

Bene, possiede, per eredità credo, un pezzo di terreno collinoso.

Vi si è applicato per sfruttarlo.

Vi ha costruito una villetta. Sì, vi ha costruito, non fatto costruire !

L’ha fatta con le sue mani, ricorrendo alle forniture indispensabili di natura specializzate, un solaio, il calcestruzzo, gli infissi. Tutto il resto lo ha fatto da sé, compresi impianto elettrico ed idro-sanitario.

Vi ha impiegato 20 anni a farla, mentre coltivava anche il terreno, roccioso, circostante, con alberi di ulivo secolari ed il resto piantato da lui.

Ci ha guadagnato qualche malanno fisco, del quale si è di recente liberato, adesso gode ottima salute.

Ogni mattina, da quando è in pensione, alle ore 6 circa si alza e va in macchina alla sua terra, vi resta fin verso le ore 12 circa.

Così tutti i santi giorni, eccetto le feste comandate, il cattivo tempo, le assenze per motivi familiari.

Non posso che augurargli di raggiungere il centenario.

Non credo sia superstizioso, ma se lo è allora ha diritto di toccarseli !


3 commenti:

Wil ha detto...

Complimenti per il ritratto, spero che Zi Peppe lo legga!

Wil

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Mi pare di tutta evidenza che l'interessato ha ricevuto da me una copia del mio articolo-ritratto.
Grazie per i complimenti.

Anonimo ha detto...


Bello!
Ho letto tutto con molto piacere.
Una bella fetta di storia
come sfondo al ritratto di un uomo perbene.
Complimenti a Zi' Peppe, per ciò che ha realizzato sin qui,
ed auguri tanti per l'avvenire!

Complimenti anche a te!

"Ad majora"!

Maddalena