domenica 28 settembre 2008

I limiti ai poteri dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici


Roberto Ormanni
Direttore de
IL PARLAMENTARE

Il diritto di difesa deve essere garantito anche nei procedimenti dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici e se gli atti utilizzati per le valutazioni provengono da indagini penali e sono segreti il procedimento deve essere sospeso. Questi i due punti cardine della decisione 4363/2008 della sesta sezione del Consiglio di Stato, depositata il 16 settembre scorso.
La pronuncia (presidente Giuseppe Barbagallo, relatore Paolo Buonvino) ha accolto il ricorso della società SOA Nazionale Costruttori Organismo di Attestazione Spa, annullando il provvedimento che l’Autorità per la Vigilanza aveva notificato alla società nel dicembre del 2005 comunicando “l’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione ai sensi dell’articolo 10 comma 5 e seguenti, del Dpr 34/2000”.
Una decisione che ha capovolto la precedente sentenza del Tar Lazio (sezione terza, n. 1374 del 15 febbraio 2007), che pure aveva ampiamente motivato le proprie conclusioni favorevoli all’authority di controllo, ha condannato alle spese l’Autorità di Vigilanza e non ha risparmiato dure critiche sia all’operato dello stesso organismo di controllo, sia al percorso argomentativo dei primi giudici.
In sintesi, il Consiglio di Stato ritiene scorretto quel procedimento di revoca che si basi esclusivamente sui risultati di indagini della magistratura ordinaria - e in paticolare delle direzioni distrettuali antimafia - da un lato senza condurre una propria istruttoria approfondita e dall’altro impedendo alla società oggetto del procedimento di conoscere adeguatamente la documentazione all’origine dell’attività di verifica richiamandosi al segreto d’indagine relativo agli atti che il ministero dell’Interno, o gli organi investigativi e inquirenti, trasmettono all’Autorità.
Se i “paletti” imposti dai giudici amministrativi sembrano restringere le possibilità di intervento e controllo dell’Autorità di Vigilanza, in realtà la motivazione della decisione richiama l’attenzione sulla necessità che l’attività dell’organismo di controllo sia caratterizzata da un maggior grado di autonomia di valutazione e non si limiti all’acquisizione di documenti investigativi, ritenendoli – per ciò solo – sufficienti a determinare la revoca delle autorizzazioni.
La cronologia degli eventi è utile per individuare i punti deboli del provvedimento annullato.
Il 18 agosto 2005 il comando Nucleo speciale Tutela Mercati della Guardia di Finanza consegnava all’Autorità un rapporto relativo a un’indagine condotta nei confronti della SOA Nazionale Costruttori Spa dalla Procura della Repubblica di Savona.
Il successivo 6 ottobre anche la Direzione distrettuale antimafia di Napoli trasmetteva un ulteriore rapporto del Nucleo provinciale della Polizia Tributaria della Finanza riguardante la compagine sociale della stessa SOA. Pochi giorni dopo vengono recapitati all’Autorità, sempre a cura della Dda di Napoli, anche i verbali di sequestri eseguiti – oltre un anno prima, nel maggio 2004 – presso la sede della SOA e del Consorzio Novus srl.
Sulla base di questa documentazione il Consiglio dell’Autorità, il 10 novembre 2005, delibera l’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione nei confronti della SOA Nazionale Costruttori ai sensi dell’articolo 10 commi 5 e seguenti del Dpr 34/2000, e il 28 dicembre invita la società a presentare le proprie deduzioni entro il 10 febbraio 2006.
Ma il giorno seguente – e questo è un passaggio fondamentale per comprendere la decisione del Consiglio di Stato – il 29 dicembre 2005, la SOA chiede un accesso agli atti indicati nella nota di avvio del procedimento che gli è stata notificata.
La richiesta viene respinta, sottolineano i giudici di Palazzo Spada, “in quanto si tratta di documentazione attinente alla fase istruttoria di procedimento penale”. Il provvedimento di rigetto viene anche confermato dal Tar, al quale si rivolge la SOA Nazionale Costruttori.
Il Tribunale amministrativo, però, precisa (anticipando, di fatto, le consure del Consiglio di Stato) che “non sarebbe stato legittimo opporre la segretezza degli atti qualora l’Autorità avesse ritenuto di utilizzarli al fine di adottare provvedimenti limitativi della sfera giuridica della SOA”.
Trascorsa una parentesi di sospensione dei termini del procedimento disposta dall’Autorità per acquisire il parere obbligatorio della Commissione Consultiva, il 12 aprile 2006 l’organo di vigilanza invita la SOA a prendere visione del parere. La società ribadisce la richiesta di accesso agli atti e l’Autorità rinnova il proprio rifiuto “per la vigenza del segreto istruttorio”.
Il successivo 20 giugno l’Autorità revoca l’autorizzazione alla SOA.
Nel ricorso al Tar contro il provvedimento di revoca, la società sosteneva, tra l’altro, che la comunicazione di avvio del procedimento da parte dell’Autorità era stata irregolare in quanto pervenuta, di fatto, ad istruttoria compiuta. I giudici di primo grado hanno liquidato questa eccezione bollandola come “un’affermazione apodittica e indimostrata”: una conclusione che il Consiglio di Stato non condivide.
“La comunicazione di avvio del procedimento – scrive invece – è stata illegittimamente trasmessa all’appellante allorché il procedimento stesso risultava non solo avviato, ma caratterizzato dalla reiterata acquisizione di molteplici atti poi rivalitisi determinanti”. E tutto ciò, concludono i giudici, “in contrasto con l’articolo 10 comma 6 del Dpr 34/2000”.
Il riferimento ai “molteplici atti” acquisiti introduce l’altra censura: la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.
“L’Autorità – scrive il Consiglio di Stato – non ha mai portato l’interessata a conoscenza degli atti dell’indagine penale essendosi sempre trincerata dietro il segreto istruttorio che li caratterizzava: di qui la grave contraddittorietà del suo comportamento”.
La motivazione approfondisce questo punto e andrà tenuta in considerazione per tutti i procedimenti analoghi a venire: “la stessa (Autorità, n.d.r.) ha da un lato basato la propria condotta inquisitoria su tali atti, che ha ritenuto quindi utilizzabili anche ai fini dell’indagine amministrativa, d’altro lato ha posto l’impresa nell’impossibilità materiale di conoscerli. In tal modo si è creato un inammissibile divario tra la parte pubblica e quella privata”.
La decisione è molto chiara su questo passaggio: “Se gli atti povenienti dal procedimento penale in corso sono utilizzabili a fini amministrativi, devono essere portati a integrale conoscenza dell’interessata fermo il carattere riservato degli stessi”. Insomma, delle due l’una: se vengono utilizzati non possono essere segreti. Se invece sono segreti il Consiglio di Stato indica anche la via d’uscita: “il relativo procedimento avrebbe dovuto, per l’effetto, essere sospeso”.
Un’ultima notazione riguarda le obiezioni avanzate dall’appellante alla “non definitività” degli atti ai quali l’Autorità ha fatto riferimento per la revoca dell’autorizzazione. Un eccezione già respinta dal Tar che aveva sottolineato come gli “ambiti operativi e valutativi” tra magistratura ordinaria e procedimento dell’Autorità siano diversi.
“E’ vero - concorda il Consiglio di Stato - che l’autorità amministrativa può accordare particolare valore probatorio, ai propri fini, agli atti di indagini penali anche nell’ipotesi in cui non emergano, in concreto, condotte penalmente rilevanti, ma ciò è possibile in presenza di atti penali definitivi o, quanto meno, di fatti oggetto di autonomo riscontro ai fini amministrativi”.
L’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici è, di fatto, invitata a valorizzare i propri poteri istruttori senza limitarsi a recepire le segnalazioni provenienti dagli organi investigativi e dalla magistratura ordinaria.
Roberto Ormanni

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

E' chiaro che Roberto Ormanni ha una solida preprazione giuridica, ma è altrettanto chiara la sua abilità nel rendere facile e piacevole la lettura di sentenze per chi preparazione giuridica non ne ha.
Riassumo in estrema sintesi: 1) possono essere utilizzati atti di un procedimento penale solo quando questi si è concluso e si tratta, quindi, di atti definitivi;
2) se si usano atti infraprocedimenti di un procedimento penale in una procedura di revoca di una concessione amministrativa, poi non si può opporre il segreto istruttorio per negarne l'accesso e l'acquisizione;
3) la comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca di una concessione amministrativa va fatta all'inzio del procedimento stesso e non quando è già in corso.
Semplice no ?