LA STAMPA
9 settembre 2008
Era una «riforma» di qualche mese fa: via gli incentivi economici e i punti-premio ai magistrati che scelgono le cosiddette «sedi disagiate» del Sud. E per di più divieto a quelli di prima nomina, ai giovanissimi, di ricoprire molte funzioni. Li ritenevano troppo inesperti per fare i pm oppure i giudici monocratici. Risultato finale, non c’è più nessuno a combattere la criminalità organizzata. In molti uffici giudiziari di Campania, Sicilia e Calabria i vuoti sono spaventosi.
Il caso è esploso quest’estate, quando ignoti hanno bruciato il portone di casa di una giovane magistrata a Gela, Serafina Cannatà. E il suo capo, un’altra donna, Lucia Lotti, aveva raccontato la «desertificazione» dell’ufficio. Così si corre ai ripari. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, riscopre gli incentivi ed ecco un decreto legge che andrà in discussione giovedì prossimo a palazzo Chigi. Prevede consistenti aumenti di stipendio, circa 2.500 euro netti al mese, per i quattro anni che il magistrato s’impegna a trascorrere nella sede disagiata. E c’è di nuovo anche il riconoscimento di un maggiore punteggio di anzianità. A godere degli incentivi saranno al massimo cento magistrati (ma resta il divieto per quelli di prima nomina) che sceglieranno di andare in trincea. La bozza di decreto prevede uno stanziamento di 4 milioni e 500 mila euro lordi all’anno per quattro anni. Sarà anche riconosciuta un’anzianità di servizio doppia per ogni anno svolto nella sede disagiata. Non si placa intanto la polemica sul braccialetto elettronico. L’idea è stata lanciata dal ministro della Giustizia, alle prese con il cronico affollamento delle carceri. La difende il neodirettore del dipartimento penitenziario, Franco Ionta, che rivendica come «priorità» la lotta al sovraffollamento carcerario. Diffidente invece il ministro dell’Interno, Maroni, che ha sul tavolo un rapporto letteralmente catastrofico sull’esperienza di otto anni fa. A parte le «evasioni», che pure si sono verificate, la sperimentazione ha evidenziato che il vecchio braccialetto va in tilt se entra in contatto con l’acqua. Oppure che il segnale si perde quando il detenuto entra in un locale con mura troppo spesse, tipo la cantina. Moltissimi i falsi allarmi. E poi comporta costi spaventosi.
Ognuno degli apparecchi aveva bisogno di una centralina in casa, una linea Isdn dedicata, un collegamento con la sala operativa più vicina di una forza di polizia. Così l’esperimento del 2000 era finito malinconicamente in cantina. Dopo quindici mesi, di 400 kit presi in affitto, ne funzionavano appena 13. Poi più nessuno. Oggi al Viminale si riuniranno gli esperti del ministero dell’Interno e della Giustizia per verificare l’efficienza di nuove tecnologie. Senza perdere di vista i prezzi: quel contratto del 2000, valido fino al 2011, costa allo Stato 11 milioni di euro all’anno. Soldi buttati senza che nessuno se ne ricordi più.
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