Luigi Morsello
È comprensibile: ormai da anni non si costruiscono carceri nuove, quelle 4-5 varate dal Ministro Castelli saranno ultimate, ammesso che siano i cantieri ancora aperti, nei soliti tempo biblici.
Anche i tempo biblici non sorprendono, posto che il meccanismo dei Lavori Pubblici soffre di mille inceppi che, com’è ovvio, non mettono al riparo da mercimonio e allungano inverosimilmente i tempi di esecuzione con (un altro paradosso: sarà casuale ?) un aumento esponenziale dei costi, che raddoppiano rispetto alle stime progettuali.
È anche vero a furia di fare riforme ad ogni piè sospinto si è finito con l’incartare a tal punto il sistema legislativo italiano da non esserci più qualcuno che sappia quante leggi abbiamo in Italia. Mentre le riforme, rectius le delegificazioni sono un emergenza ormai ordinaria (un ennesimo ossimoro): troppe leggi, ma noi italiani non ci facciamo mancare niente.
In questi casi cosa farebbe il cittadino comune ? Chiederebbe aiuto agli altri cittadini (vero è che difficilmente lo otterrebbe, in una società spietata ed imbarbarita come la nostra).
Fuor di metafora, il problema del sovraffollamento delle carceri è irrisolvibile in tempi brevi, per molti motivi, dei quali a mio avviso i più importanti sono:
- la totale mancanza di una politica dell’esecuzione penale, male antico ma non troppo;
- la mancanza di un piano di edilizia carceraria pluriennale, in prosecuzione di quello varato negli anni ’80 e durato una ventina d’anni, calato sull’analisi dei flussi di incarcerazione che, allo stato della legislazione penale, tendono ad aumentare;
- un nuovo codice penale, nonostante vari progetti (almeno due) che sono rimasti nei cassetti dei vari Ministri della Giustizia (Castelli e Mastella per ultimi) con la conseguenza depenalizzazione dei reati di minor allarme sociale, da ridurre a semplici infrazioni amministrative, sanzionate don pene pecuniarie;
- un nuovo codice di procedura penale, quello del 1998 è ormai un colabrodo;
- la mancanza di una politica giudiziaria, intesa a rafforzare il funzionamento della macchina della Giustizia: qui quasi tutte le forze politiche dell’arco costituzionale sembrano impegnate a ridurre il controllo di legalità sull’attuale ceto politico, con al sola eccezione dell’Italia dei Valori e cha fatto guadagnare al partito di Antonio Di Pietro l’accusa di “giustizialismo” (posizione pubblica e processuale dominante agli organi della pubblica accusa quando appartengono all'ordine giudiziario.), nulla rilevando la circostanza della illegalità diffusa nell’ambito della classe politica attuale. L’ex premier Romano Prodi non si è mai sottratto alle indagini della magistratura, per ultimo quando non era più presidente del consiglio: un infausto esempio da non seguire, evidentemente !
- le (croniche) insufficienti risorse economiche destinate al Ministero della Giustizia. Quando Clemente Mastella prese possesso, nella passata legislatura che poi ha contribuire a far finire in modo il più traumatico possibile, delle funzioni di Ministro della Giustizia, nel giro 30 giorni relazionò che durante il precedente quinquennio di governo Berlusconi III il ‘budget’ destinato a quel dicastero, di anno in anno, era stato ridotto del 60%.
Ora il Ministro della Giustizia Angiolino Alfano, ministro per grazia di Berlusconi e volontà della Nazione, si è trovato di colpo sballottolato fra giganteschi problemi, che avrebbero fiaccato un spirito ben più forte.
Egli invece procede, navigando a vista, con un perenne ineffabile sorriso stampato sul volto: sa che Berlusconi domina la sua parte politica, ha i numeri dalla sua parte e domina quindi il Parlamento.
In queste circostanze, stante l’inesistenza di una credibile opposizione del PD e la relativa forza dell’Italia dei Valori (che però non si arrende), qualunque soluzione, anche la più strampalata, può trovare un accoglimento normativo: il legislatore, il Parlamento, è proprietà privata di Silvio Berlusconi !
Bene, ecco il colpo di genio (che poi è tutt’affatto una novità), la soluzione (temporanea, questo non possono non averglielo detto) di ogni problema:
- il braccialetto elettronico;
- l’espulsione degli extracomunitari.
Vediamo come viene riferito dai mass-media.
Scrive Liana Milella (La Repubblica, 7 settembre 2008): “DUE NUMERI. E il totale dei due. 3.300 stranieri. 4.100 italiani. In tutto 7.400 detenuti, che presto potrebbero uscire. È pronto il piano del governo per "alleggerire" le carceri e affrontare l'allarme del sovraffollamento come ai tempi dell'indulto. I primi vengono rispediti nei paesi d'origine, i secondi passano dalla cella ai domiciliari, ma con un braccialetto elettronico alla caviglia per controllare gli spostamenti. Gli uni e gli altri con un "qualcosa" in comune: due anni di pena da scontare per delitti che non suscitano allarme sociale.”
La Milella scrive: il piano del Governo.
E continua: ”Ecco la strategia del ministro della Giustizia Angelino Alfano e del direttore delle carceri Franco Ionta per evitare l'esplosione dei penitenziari "senza pensare neppure per un attimo a un nuovo sconto di pena", come continua a ripetere il Guardasigilli, e "limitandosi ad applicare le leggi che già esistono", come chiosa il responsabile dei penitenziari. Un piano studiato con le statistiche alla mano nella sede centrale del Dap di largo Luigi Daga dove, ad agosto, e appena insediato, l'ex procuratore aggiunto di Roma ha cominciato subito a far di conto sempre più preoccupato dei prospetti che, ogni giorno, venivano depositati sul suo tavolo. “
A questo punto occorre dire che si sono verificate due congiunture astrali negative: un nuovo Ministro della Giustizia ed un nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (che la Milella chiama, impropriamente il “direttore delle carceri”).
Per fortuna Franco Ionta, piemontese, è uomo e magistrato avveduto e, pur avendo assunto l’incarico da pochi giorni, ha capito rapidamente qual’era il pericolo (probabilmente, in qualità di Procuratore della Repubblica Aggiunto a Roma, ha dimestichezza coi problemi delle carceri).
Certo è che il problema va affrontato subito, sul piano pratico (forse poi anche su quello legislativo generale), altrimenti rischia di scoppiargli nelle mani.
La Milella scrive: ”I timori del capo della polizia penitenziaria (questa volta c’ha preso, è veramente il capo della Polizia Penitenziaria, n.d.a.) sono diventati quelli del ministro della Giustizia. Che, giusto qualche giorno fa, con Ionta a fianco, ne ha parlato con Napolitano, col ministro dell'Interno Roberto Maroni, con la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno. Lega e An, i due partiti che potrebbero anche mettersi di traverso, e contrastare l'uscita dal carcere di 7mila tra italiani e stranieri in nome del "sacro principio" della certezza della pena.”.
Dunque, pare che “Bobo” Maroni – Ministro dell’Interno - ne sia a conoscenza.
Si tratta di far uscire dal carcere 3.100 detenuti extracomunitari.
“Per costoro – prosegue la Milella - la legge Bossi-Fini, all'articolo 16, è chiara, "il magistrato di sorveglianza può disporre l'espulsione dello straniero identificato che deve scontare una pena residua non superiore a due anni". E perché finora sono rimasti qui? Al Dap danno tre spiegazioni possibili: "Tribunali di sorveglianza restii, paesi stranieri non disponibili all'accoglimento, identificazione difficile". Sui tre fronti vogliono muoversi Alfano e Ionta. Ecco una delle ragioni del lungo incontro con Maroni per riesaminare il dossier degli accordi di riammissione con i paesi stranieri. Ma al Viminale il piatto forte è stato il braccialetto elettronico. Per gli italiani detenuti, ovviamente.”
Sono 4.100 detenuti con pena residua inferiore ai due anni.
Qui Franco Ionta si aggrappa un po’ al lessico e parla di “persone detenute” e lo spiega così: "le parole sono importanti e non voglio parlare di "detenuti", perché anche una persona condannata all'ergastolo deve avere il diritto di pensare alla propria condizione come transitoria e destinata a un futuro, a tempo debito, di uomo libero".
Eccellente Presidente, ma si sapeva già, almeno il personale delle carceri.“Non è certo un perdonista Ionta, tant'è che il registro dei 41bis è aggiornato quotidianamente, ma vuole garantire una macchina "efficiente e rieducativa". Per questo ha riletto, e vuole applicare, l'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario. Lì c'è scritto che "la detenzione domiciliare può essere applicata per una pena non superiore ai due anni, anche se costituisce la parte residua di una pena maggiore". Codice alla mano, vizio di chi ha lasciato solo un mese fa le stanze di piazzale Clodio, ecco il rimando all'articolo 275 del codice diprocedura che consente l'uso dei "mezzi elettronici" a patto che l'interessato dia il consenso.“.
In realtà si tratta dell’art. 275 bis (particolari modalità di controllo) c.p.p., che recita:
“1. Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, se lo ritiene necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti.
2. L'imputato accetta i mezzi e gli strumenti di controllo di cui al comma 1 ovvero nega il consenso all'applicazione di essi, con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura. La dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l'ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale previsto dall'articolo 293, comma 1.
3. L'imputato che ha accettato l'applicazione dei mezzi e strumenti di cui al comma 1 è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli.”.
Vediamo di che si tratta.
Lo leggiamo nel sito del Ministero di Giustizia: “E' un mezzo elettronico destinato al controllo delle persone sottoposte agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare che si applica alla caviglia e permette all'Autorità giudiziaria di verificare a distanza e costantemente i movimenti del soggetto che lo indossa. Nel caso di alterazione o manomissione del braccialetto, è previsto il ritorno in carcere e una pena aggiuntiva.”
Chissà perché viene chiamato “braccialetto”, al più è una “cavigliera” elettronica.Cercando notizie più accurate in Internet ho trovato questo articolo del quotidiano La Sicilia del 18 aprile 2003:
”Il braccialetto elettronico ha fatto flop. Ricordate i provvedimenti varati dal governo D'Alema e il piano sicurezza 2000 del ministro agli Interni, Enzo Bianco, che comprendeva, tra le altre misure, l'uso del bracciale elettronico per controllare indagati o imputati agli arresti domiciliari per ridurre il numero degli agenti destinati al controllo dei detenuti fuori dal carcere?Catania non era una delle cinque città "pilota" (con Roma, Milano, Napoli e Torino) a sperimentare l'apparecchio, mettendo a disposizione 75 braccialetti: 34 a polizia, 34 a carabinieri, 7 alla Finanza? Uno, in verità, la Polizia, nel 2002, lo ha installato agli arti inferiori di Mario Marino, che qualche settimana dopo, non credendo forse nel controllo a distanza del braccialetto, decise di sfilarselo, buttandolo in un cassonetto della nettezza urbana, ed "evadere" dagli arresti domiciliari, finendo però nuovamente in carcere perché al momento di uscire di casa era scattato l'allarme alla centrale operativa della polizia.
Ma quello è stato il primo e l'unico braccialetto "sperimentato" in provincia di Catania. E non perché i magistrati non ne hanno previsto l'utilizzo, ma perché non ce ne sono.
O meglio, la convenzione con il ministero all'Interno è sospesa.
A fare emergere questa "stortura" è stata la vicenda di un detenuto, Mario Crisafulli, 39 anni, accusato di estorsione aggravata e danneggiamento in quanto, nel luglio 2002, arrestato per avere estorto denaro a una concessionaria di Catania.
L'uomo era stato ripreso dalle telecamere di polizia e carabinieri mentre si faceva consegnare il "mensile" di 1.290 euro – tanto era lievitato il pizzo, che veniva ritirato da otto anni - da uno dei soci della concessionaria.
Sette mesi dopo la cattura, il Gip Antonino Ferrara, pur evidenziando la pericolosità del soggetto, accogliendo l'istanza dell'avv. Maria Lucia D'Anna, concesse al Crisafulli gli arresti domiciliari, disponendo, tuttavia, l'applicazione del braccialetto elettronico affinché la polizia potesse esercitare i dovuti controlli.
L'ufficio matricola del carcere di piazza Lanza lo stesso giorno informò la squadra mobile e il nucleo operativo dei carabinieri della disposizione del Gip, aggiungendo che l'indagato avrebbe lasciato la casa circondariale appena sarebbe pervenuta "la disponibilità dell'autorità di Ps all'installazione dell'apparecchiatura elettronica per potere effettuare i controlli di polizia".
E qui comincia il bello.
La sezione Antiestorsioni della Mobile risponde che "questa autorità di PS non dispone di braccialetto elettronico"; il nucleo operativo del comando provinciale dei carabinieri, più articolatamente riferisce di avere interessato il dott. Antonio Martone, dirigente della ditta inglese "Soc. On Guard Plus Italia", responsabile per l'Italia della fornitura dei braccialetti, il quale rappresenta l'impossibilità a fornire l'apparecchio in quanto la stipula della convenzione con il ministero dell'Interno era stata sospesa.
Gli arresti domiciliari sono già stati concessi e quindi il Gip, impossibilitato a fare eseguire i controlli tramite il braccialetto elettronico, decide, cinque giorni dopo, di modificare parzialmente il provvedimento, con l'eliminazione dell'applicazione dell'apparecchio.
Di qui il ritorno all'antico: da un lato Crisafulli si dovrà presentare al commissariato PS di Nesima e dall'altro saranno i poliziotti a vigilare che l'indagato non "evada".
Avremmo voluto conoscere i motivi della sospensione dal ministero degli Interni, ma il dott. Cardellicchio, che è a conoscenza della vicenda, in quanto ha ricevuto dalla ditta inglese copia del fax inviato ai carabinieri, era in riunione e non ha potuto replicare.
Restano i dilemmi: perché pubblicizzare al massimo questa "innovazione", montare nelle centrali operative terminali e radiolocalizzatori, in parole povere sperperare tempo e denaro, e poi buttare tutto nel cestino?”
Torniamo all’articolo della Milella: “Qui Ionta suggerisce una modifica, togliere quel "consenso" e considerare il braccialetto un obbligo legato agli arresti domiciliari. Quattromila braccialetti sono tanti. Vanno acquistati, va rivisto l'accordo tra Viminale e Telecom, vanno create, suggerisce Ionta, "centrali operative distribuite in Italia".
Ma il risultato complessivo, 7mila detenuti in meno, farebbe dormire sonni più tranquilli, come dice lui, al ministro Guardasigilli. E anche a Ionta, ovviamente.”
Qui si finisce col non capire nulla: si tratta di detenzione domiciliare (art. 47 ter Ordinamento Penitenziario), che una misura sostituiva alla detenzione, o di arresti domiciliari (art. 577 bis c.p.p.) ?
Il Ministro Alfano, in una intervista rilasciata oggi a La Repubblica parla – sembra – di modifica all’art. 275 c.p.p. e basta.
È, a quanto punto, corretto pensare ad una modificazione di entrambe le norme; diversamente non avrebbe senso parlare di 4.100 detenuti con fine pena inferiore a due anni.
Saranno queste misure efficaci ?
Antonio Di Pietro nel suo blog scrive:
“ Il ministro della giustizia Alfano, dopo l'impunità alle quattro più alte cariche dello Stato, vuole lasciare un solco ancora più profondo nella storia della giustizia avviandosi verso un indulto mascherato.
La soluzione del braccialetto elettronico è completamente inutile e destinata a fallire come accaduto in altri paesi, cosi come è destinata a fallire l'espulsione dei detenuti stranieri se non si ha la certezza di accompagnarli nel loro Stato ed essere certi che scontino la pena del reato compiuto. Come ho più volte ribadito i cittadini preferirebbero ampliare le carceri piuttosto che svuotarle per riempire le strade di delinquenti.
Gli extracomunitari che vengono in Italia e rubano, rapinano e violentano devono sapere che se lo fanno per loro ci sarà la certezza della galera. Sia nel nostro Paese che nel loro. Per questo, e' doveroso accertarsi che vadano nel loro Paese, non a casa ma in carcere. Siccome molti governi di questi paesi sono instabili e non possono garantire certezze, bisogna stare attenti altrimenti il rischio e' di regalare a chi commette un crimine, anche grave, l'impunita'.
Il messaggio deve essere chiaro: pena uguale per tutti e certezza della pena. Chi delinque deve andare in galera e l'espulsione non deve essere un regalo ma una pena ulteriore ed accessoria che si somma al carcere.”.
Il Ministro dell’interno Maroni, che sembrava fosse al corrente e non avesse alcuna osservazione da fare, invece si scopre che ha dubbi, sulla funzionalità del “braccialetto elettronico”.
“Via libera al piano svuota carceri e all'utilizzo del braccialetto "ma solo se c'è la garanzia che funzioni e che le evasioni siano pari a zero". E' un sì condizionato quello del ministro dell'Interno Roberto Maroni al piano del collega Guardasigilli Angelino Alfano e del numero uno del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta. "Stiamo studiando dove ha funzionato -ha continuato il ministro ospite a Cernobbio del workshop Ambrosetti - e solo se avrò la garanzia che ci saranno evasioni zero, allora lo adotteremo, altrimenti no".(La Repubblica, 7 settembre 2008).
Chi scrive è del parere che si tratta di una operazione di facciata, come lo era quella del Ministro dell’Interno Bianco nel governo D’Alema del 2000.
Ma se non lo dovesse essere, non sarà facile, rapido e sicuro implementare un sistema di controlli elettronici a distanza.
Sarà sicuramente costoso ed è condizionato (ma chi potrebbe giurarlo) al benestare della Lega Nord e del suo ministro dell’interno Maroni.
Certo è che appare insostenibile pensare ad un altro indulto, anche perché, com’è noto, occorre la maggioranza qualificata del Parlamento e il governo Berlusconi IV non ce l’ha.
E allora ? Si tornerà a parlare di dialogo con il PD (il capo dello Stato, ricorrendo ad un frasario formale, parla di confronto) ?
Boh !
2 commenti:
Luigi carissimo, mi è capitato di lamentarmi con una persona che stimo molto dell'indulto mastelliano. Sai che cosa mi ha detto? Poco o nulla, ma ricordando che escludeva i reati sessuali e quelli mafiosi. Come dire: "Cerchiamo di mettere in prospettiva le cose". Non che questo episodio mi abbia fatta particolarmente simpatizzare con Mastella, ma mi ha rasserenata, questo di sicuro, e mi ha anche fatta pensare a quella criminalizzazione oltre misura di cui parli. Fra Prodi (o Mastella) e Berlusconi si sono applicate troppo spesso i due pesi e due misure a sfavore del primo.
L'indulto "mastelliano" fu il risultato di un compromesso.
Da una parte le carceri erano sovraffollate (65.000 detenuti contro un capienza di 40.000), dall'altra occorreva, come occorre oggi, per una legge di concessione di amnistia e indulto, la maggioranza qualificata dei due terzi del Parlamento.
Mastella, appena insediato, si 'precipito' "Regina Coeli" (la vecchia casa circondariale romana) per promettere amnistia e indulto ai detenuti, cosa che fece.
Mise il carro davanti ai buoi o, se preferisci, forzò la mano al governo di Romano Prodi, il quale dovette abbozzare.
Poi iniziarono le trattative con l'allora opposizione (oggi governo Berlusconi IV).
Sappiamo che il Nostro nelle trattative è abilissimo, anche perchè la controparte è fatta di fessi.
Risultato, nella legge di concessione dell'indulto (l'amnistia venne stralciata e mai più esaminata, oggi è decaduta in uno con quella legislatura) furono inseriti una serie di reati, appositamente per mettere Cesare Previsti (ormai condannato definitivamente a sei anni di carcere: processo:IMI-SIR) al riparo dal pericolo di scontare la pena per intero in carcere.
Previti, dopo essersi dimesso dal Parlamento (un tira e molla di circa 9 mesi) si presentò spontaneamente a Regina Coeli il 5 maggio 2006 e il 10 maggio successivo ottenne l'affidamento in prova ai servizi sociali perchè ultrasettantenne (è nato a Reggio Calabria il 21.10.1934.
Sono andato a memoria, ma sull'indulto a suo tempo pubblicai qualcosa, la cerco e te la invio provatamente.
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